Non è una mostra a tema. Vittorio Sgarbi a Catania risponde alle critiche

Il curatore della rassegna allestita al Castello Ursino di Catania ribatte alle critiche mosse da Aldo Premoli agli allestimenti e ai criteri della mostra.

Accade ogni tanto che, nonostante l’esplicita evidenza del titolo, qualcuno pretenda una mostra a tema. Senza sforzo, accade che la più importante mostra in corso in queste settimane in Sicilia sia quella da me curata nello spazio meraviglioso di Castello Ursino a Catania, attraversando, senza smontarle, le sale espositive. Non indicando confini precisi, è possibile che qualcuno confonda le opere della mostra con l’allestimento stabile del museo, “con le opere appese su pannelli nudi trattenuti al soffitto da lunghe catenelle con didascalie battute al computer all’ultimo momento”.
Non pretendo che chi scrive, anche vivendo a Catania, conosca le opere del suo principale museo e non le confonda con quelle in esposizione temporanea. È proprio l’allestimento, tutto meno che “arrangiato in qualche modo”, che lo fa intendere.
Ci sono percorsi diversi, anche forzati dagli spazi dati; ma la mostra da Giotto a de Chirico non pretendeva e non intendeva occuparsi dell’allestimento del museo, bensì, per la terza volta dopo Artisti di Sicilia e il Museo della Follia, stabilire un dialogo, fruttuoso e razionalmente concepito, tra le opere della mostra e quelle del museo. Ne traggono vantaggio le une dalle altre e, in qualche punto, con effetti straordinari e imprevisti: penso al dialogo tra una statua antica di un atleta o divinità sedente e il torso del San Girolamo in penitenza di Jusepe de Ribera. A metà del percorso del piano terra ci si imbatte nella mirabile testa di un “Kouros” arcaico, dopo una sequenza di capolavori tra cui una Natività di Ignazio Stern e il San Giuseppe con il bambino del Piazzetta. Considerare questi intrecci frutto di un “allestimento imbarazzante” è una testimonianza di cecità che sembra impedire la comprensione del divertimento intellettuale. Ciò che accade a Castello Ursino è una riproposizione di quanto, negli ultimi anni, con minor potenza, visto il materiale esposto, si viene facendo a Palazzo Fortuny a Venezia. Le osservazioni dei visitatori registrano senza difficoltà questi effetti speciali.

Da Giotto a de Chirico. I tesori nascosti. Installation view at Castello Ursino, Catania 2017

Da Giotto a de Chirico. I tesori nascosti. Installation view at Castello Ursino, Catania 2017

UNA MOSTRA DI TESORI NASCOSTI

La capacità di comprensione del critico di Artribune è piuttosto limitata, e arriva a deprimere un capolavoro come, se ho ben inteso, il raro e prezioso San Gerolamo di Pietro Faccini. Le osservazioni sembrano lasciate al malumore di un pregiudizio che non riconosce l’evidenza né l’oggettivo rilievo di alcuni artisti. Forme di analfabetismo che rientrano in un imbarazzante quadro di pregiudizi e di incomprensioni. A partire dal titolo che, senza inganni, dice esattamente quale sia il contenuto della mostra. Non collegamenti, filoni, confronti ma, semplicemente Tesori nascosti, ovvero opere poco viste, da collezioni private e istituti e fondazioni bancarie, esposti in ordine cronologico come in un ideale museo, e quasi mai di “pittori minori” (se mai meno conosciuti) né, tantomeno, “opere minori di grandi pittori“. Ogni artista, al di là’ della sua notorietà, è invece rappresentato da capolavori particolarmente emblematici, come nel caso di Ribera, Cagnacci, Francesco Prata, Severo Ierace, Guerrieri, Loves, Mattia Preti, Rosa da Tivoli, Ceccarini, fino ai veri e propri picchi di Pitloo, di Fergola, di Renda, di Tano, di Michele Tedesco, di Amendola, di Sartorio.
Hanno forse un criterio i bei quadri in un museo? Chi non è in grado di capire le opere, chi non gode ad ammettere di vedere cose sconosciute, cerca un senso dove non c’è e non si rende conto dov’è. Basterebbero prudenza e umiltà.

Vittorio Sgarbi

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