Arte e comunicazione a Milano. Intervista a Elena Bordignon
Dagli inizi accademici al primo blog italiano dedicato all’arte contemporanea, passando per le gallerie d’arte e le riviste di moda. Intervista a sorpresa a Elena Bordignon di “ATPdiary” su editoria e professioni dell’arte da parte degli studenti dello IULM di Milano.
Nel 2010 ha aperto un blog oggi ancora attivo e di successo dopo alcuni anni di esperienza nell’editoria cartacea. Cosa l’ha spinta a scegliere questa modalità?
Ho scelto una piattaforma digitale perché un sito web permette di non avere fardelli come la stampa o le spedizioni. Inoltre, sia la fruizione da parte dei lettori sia la mia comunicazione verso di loro potevano permettersi di essere più leggere ed era quella l’esigenza che avevo in quegli anni.
Era insomma una soluzione più semplice?
Esatto, ho optato per la strada più agevole. E per fortuna le cose sono andate per il verso giusto fin da subito.
Il blog è stata senz’altro una scelta di indipendenza, ma allora perché lei dichiara di essere così attenta ai numeri, al pubblico e al traffico generato dalla piattaforma? Non è una contraddizione?
Assolutamente no! Monitorare il numero di visitatori risulta importante per determinare la visibilità dei miei contenuti. A partire dal boom dei social media è normale tendere a essere più attenti a queste metriche, bisogna coinvolgere il maggior numero di persone possibili e il blog continua a offrire una strada alternativa e densa rispetto ai vari Facebook e Instagram.
In questo quadro, dunque, come si colloca il ruolo del web rispetto ai social? E come evolve uno strumento come il blog?
Effettivamente, dopo 6 anni di vita ATPdiary non è più soltanto un blog. Il web si è via via integrato ai social. Abbiamo naturalmente un profilo su Facebook, uno su Twitter e poi c’è Instagram, che in questo momento è il canale che garantisce maggiore visibilità: abbiamo molto più seguito lì che sul blog stesso.
Allora perché non trasferire tutto il progetto proprio su Instagram?
Il problema è che Instagram non è il luogo più adatto per fare approfondimenti. Ecco perché il blog è ancora attuale.
L’indipendenza, la singolarità e la differenziazione rispetto a tutte le altre realtà editoriali sono stati elementi cruciali nella partenza del progetto. Si sente ancora indipendente come all’inizio?
Ovviamente le cose sono cambiate. Via via grazie alla crescita della piattaforma sono subentrati gli inserzionisti…
Quindi non possiamo più parlare di un blog personale?
ATP è nato come blog personale, continua a esserlo, ma benché sia io a scegliere cosa e come scrivere, è forse ormai da considerare un vero magazine online. Certo è che resta indubbiamente un taglio editoriale molto specifico: il mio.
Ha parlato di inserzionisti e di clienti. Questo significa che il blog negli anni si è trasformato in una società? In una azienda?
Ci sono tante realtà che sono disposte a pagare qualcosa per essere presenti col loro banner sulla nostra homepage, ma comunque ATP resta un progetto personale, ancora non sufficientemente grande per strutturarci sopra una società.
Nella sua carriera ha avuto molto a che fare col mondo del fashion e dell’editoria di moda, in particolare grazie alle sue collaborazioni con le testate Condé Nast (Vogue, L’Uomo Vogue…). Quali sono le analogie che ha riscontrato tra i due settori?
Ci sono stati molti casi in Italia dove il connubio tra moda e arte ha generato autentici progetti a 360 gradi che diventavano degli approfondimenti antropologici riusciti. C’era ad esempio Francesco Bonami che dieci o quindici anni fa (e dunque prima della grande crisi finanziaria e con risorse economiche ben diverse da quelle disponibili oggi) realizzava a Firenze delle straordinarie mostre all’incrocio tra queste discipline. Massimiliano Gioni ed Emanuela De Cecco, critici e curatori che ebbero poi successo negli anni a seguire e che all’epoca erano giovanissimi, facevano gli assistenti di Bonami in quelle mostre e quell’ambiente contribuì a formarli.
Quando moda e arte si incontrano la sinergia è dunque sempre positiva?
Direi proprio di no: spesso capitano delle cagate allucinanti!
Ad esempio?
Molti progetti scadono nella banalità, diventano didascalici, tutti vogliono fare successo e fare soldi, fare vita mondana. Però non tutti nascono Yves Saint Laurent e riescono a proporre abiti con stampe di Mondrian che poi finiscono in collezione al MoMA.
“Se c’è l’ennesima mostra preconfezionata “Da van Gogh a Cattelan” di certo non mi interessa. Non voglio ridurre e banalizzare tutto ai miei gusti, ma è così“.
Se dovesse sintetizzare in una parola la differenza maggiore tra arte e moda?
I soldi. I due settori hanno delle modalità molto simili, i protagonisti si muovono spesso alla stessa maniera, ma, sebbene il mondo dell’arte faccia girare moltissimo denaro, specie negli ultimi anni, nel mondo della moda tutto questo è esponenziale e le cifre sono esorbitanti.
Al di là delle riflessioni generiche sui due ambiti, come ha contribuito lei personalmente a far dialogare arte e moda?
Beh, è una cosa che ho sempre continuato a fare. Addirittura a partire proprio dagli inizi: la mia tesi di laurea al DAMS di Bologna verteva proprio su questo. Analizzai in quell’occasione vent’anni di uscite di Vogue Italia dal punto di vista delle foto nelle pagine dedicate all’arte del magazine. Tra le altre cose il lavoro per la tesi mi permise di entrare in contatto con la redazione e subito dopo la laurea mi conquistai uno stage: fu da lì che partì la mia carriera.
Tornando al suo blog, tra le varie sezioni ce n’è una denominata “2 minutes”. Come nasce, a cosa serve?
Si tratta di un escamotage che permette al blog di avere una parte dedicata anche alle notizie veloci, alle news e alla pubblicazione diretta di comunicati stampa di mostre. Il nome vuole suggerire una lettura velocissima, che non impegni più di due minuti.
Sul blog troviamo anche la sezione “Artist’s diary”, dove sono direttamente gli artisti a esprimersi sul loro lavoro e sulle loro mostre. Come viene gestito il rapporto con gli artisti e quali sono le difficoltà maggiori?
Beh c’è uno spettro enorme tra l’artista estremamente egocentrico e l’artista che è una roccia, che non si esprime. La scelta dipende dagli artisti che mi interessano, in particolare artisti giovani e di qualità. La sezione Artist’s diary del blog è nata dall’idea di farsi raccontare come è stato sviluppato un progetto dalla viva voce dell’artista che l’ha pensato.
E come vi regolate con gli artisti-roccia?
La tendenza principale è “nascondersi” dietro al testo del classico amico critico o curatore che scrive per loro conto. Molti artisti tendono a servirsi di questo tipo di “stampelle”, ma anche in questo caso è interessante sviscerarne la personalità.
A proposito di mostre. Vederle tutte è impossibile. Con che criterio sceglie a quali andare?
Se c’è l’ennesima mostra preconfezionata “Da van Gogh a Cattelan” di certo non mi interessa. Non voglio ridurre e banalizzare tutto ai miei gusti, ma è così. In estrema sintesi do molto spazio ai giovani artisti, ai giovani curatori e alla ricerca in generale.
Possiamo affermare che questi argomenti costituiscano proprio il focus centrale del blog.
Esattamente. È su questo che io e i miei collaboratori abbiamo sempre costruito la nostra identità.
Cosa bisogna fare per diventare suoi collaboratori nel blog?
Ricevo tanti curriculum. Molto spesso incontro i candidati personalmente. Cerco di comprendere cosa vogliano, cosa si aspettino e cosa cerchino in questo ambito. Senz’altro premio una buona formazione in storia dell’arte, esperienze pregresse nella scrittura e non mi piacciono i troppo ambiziosi. E poi onestamente spesso è anche una questione di sensazione a pelle…
Se è questione di sensazioni allora c’è speranza anche per chi non provenga da studi prettamente artistico-umanistici…
Beh sì, il mondo di provenienza non è necessariamente una discriminante. Se un ragazzo è umile, curioso e famelico di conoscenza potrebbe essere un buonissimo candidato a scrivere su ATP pur avendo una formazione da ingegnere!
Nella nostra classe gli uomini sono in schiacciante minoranza rispetto alle donne. Scherzando su questa nostra situazione di “subalternità” ci viene da chiederle se non consideri superata e anacronistica questa contrapposizione?
Il mio punto di vista è rimasto pressoché invariato rispetto a ciò che ho pensato. Anzi, alcuni dati che mi sono capitati sott’occhio negli ultimi tempi mi hanno confermato le mie convinzioni. Nelle accademie d’arte le iscrizioni femminili sono di gran lunga maggioritarie (67%), ciononostante sono molti di più gli uomini che lavorano in questo campo e hanno risultati economici maggiori. I risultati delle case d’asta sono un esempio lampante in questo senso.
Quale è il suo giudizio personale su questo panorama?
Io continuo a considerare questa situazione agghiacciante.
Ma questo quadro ha avuto un impatto diretto anche sulla sua vicenda personale?
A livello personale non ho incontrato particolari difficoltà. Mi ritengo fortunata! Non ho subito discriminazioni e ho deciso di sfruttare in chiave positiva un potenziale svantaggio. La difficoltà è sicuramente maggiore, ma ho deciso di servirmi di caratteristiche più specificatamente femminili come la leggerezza e la freschezza nel tono di voce del mio blog senza che questo intaccasse serietà e professionalità.
“Molti progetti scadono nella banalità, diventano didascalici, tutti vogliono fare successo e fare soldi, fare vita mondana“.
Nel mondo della comunicazione l’evoluzione è rapidissima: dopo oltre sette anni di vita, come vede ATPdiary tra cinque anni?
Chiuso!
Come chiuso!? Ha intenzione di interrompere un progetto così seguito?
Io mi stufo facilmente delle cose. Vorrei fare altro. Magari non chiuderlo, ma modificarlo, cambiarlo in qualcosa di più fresco.
Quindi ci sono già dei piani per l’evoluzione del blog?
Ho già in mente delle cose, ma per scaramanzia non ve le dirò. Spero solamente che la fortuna non mi abbandoni, in fondo in tutte le avventure che ho tentato sono sempre stata assistita dalla fortuna.
Abbiamo parlato fino a ora di una piattaforma culturale che si è evoluta ed è cresciuta. Perché pensare davvero a chiuderla o a modificarla radicalmente?
In realtà mancano un po’ degli stimoli dei primi anni. L’aspetto positivo di quando ho aperto ATPdiary è che ero l’unica con un blog di arte contemporanea, e in quanto unica potevo permettermi qualsiasi cosa. Essere unici è meglio che essere molto bravi perché se sei unico sei per definizione il migliore. Mi prendevo la libertà di non scrivere veri articoli ad esempio, ma esclusivamente le mie opinioni senza curarmi di forma o errori. Passati alcuni anni, tutto questo ha avuto sempre meno senso e il linguaggio è cambiato molto, diventando più impostato, da magazine.
C’è qualcosa che potrebbe evitare la chiusura del blog e darle stimoli per continuare?
Certo! Quello che dovrebbe capitare in questa fase è l’apporto di forze e idee giovani e fresche da parte di persone appartenenti alla generazione successiva alla mia. Insomma, se avete spunti contattatemi finché siamo in tempo!
L’intervista è stata realizzata dagli studenti della cattedra di Forme di comunicazione dell’arte:
Claudia Abate, Alice Alessandrini, Valentina Bazzoli, Rachele Bettinelli, Giuseppe Bonanomi, Cecilia Buccioni, Eleonora Buttinoni, Chiara Camaccioli, Luca Cantore, Eleonora Casale, Claudia Castellucci, Alice Celeste, Luca Ceresoli, Marta Cossettini, Beatrice Curti, Daniele Di Stefano, Laura Favalessa, Alice Formentini, Elena Giorgini, Beatrice Giudici, Giada Iori, Giulia Lanzi, Marta Lavit, Francesca Marino, Erica Massaccesi, Camilla Maver, Matilde Meinardi, Corinna Paoletti, Rachele Pezzetta, Francesca Pezzuto, Davide Pirovano, Beatrice Pizzi, Irene Rivolta, Manfredi Rovella, Giuseppe Scornavacche, Monica Sedini, Marianna Soru, Francesca Tisselli, Mara Trementozzi, Valentina Viscione.
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