Il 2018 dell’American Academy in Rome. Intervista al nuovo direttore John Ochsendorf

Abbiamo incontrato John Ochsendorf, che ha da poco assunto le redini della istituzione americana a Roma e gli abbiamo chiesto come sarà la sua Accademia.

Ha assunto le redini dell’American Academy in Rome, seguendo un florido triennio che ha visto sotto la direzione di Kimberly Bowes, cominciata nel 2014, la presidenza di Mark Robbins e la direzione artistica di Peter Benson Miller, entrambi in carica, l’istituzione americana diventare uno degli avamposti culturali più interessanti e all’avanguardia della Capitale. Artribune ha incontrato il nuovo direttore John Ochsendorf. Docente di Architettura e Ingegneria Civile e Ambientale al MIT, Università del Massachusetts, Istituto di Tecnologia, si è laureato alla Cornell University nel 1996 e ha ottenuto un Master alla Princeton University nel 1998. Noto per le sue ricerche sulla meccanica e su comportamento delle strutture nella storia, con un focus specifico sul crollo delle strutture in muratura, Ochsendorf è stato Rome Prize Fellow presso l’American Academy in Rome nel 2008 in Historic Preservation, con un progetto sullo studio delle volte in muratura.

John Ochsendorf, Courtesy LafargeHolcimFoundation

John Ochsendorf, Courtesy LafargeHolcimFoundation

CHI È OCHSENDORF

Nel 2008 è stato nominato MacArthur Fellow per il suo lavoro pioneristico che metteva a. confronto storia e studi culturali per indagare le tradizioni ingegneristiche pre-industriali. Fondata nel 1894, l’American Academy in Rome è uno dei principali centri americani fuori dagli Stati Uniti dedicati allo studio indipendente e alla ricerca avanzata nelle arti e nelle discipline umanistiche. L’anno 2017/2018 è dedicato al tema New Work in the Art & Humanities: East and West analizzando con mostre, talk, conferenze, testimonianze dei maggiori protagonisti del dibattito internazionale (il 2017 si è chiuso con un intervento di Don DeLillo) il complesso rapporto tra Oriente e Occidente, dalle sue radici culturali alle sue fondamentali e urgenti connessioni con l’attualità. Ochsendorf ci ha raccontato come sarà la sua Accademia e le novità del 2018.

Sei già stato borsista all’American Academy in Rome. Che ricordo hai di quell’esperienza?

Sì, esattamente dieci anni fa. Il mio ricordo più vivo è legato alla sensazione che questo luogo fosse diverso da ogni altra istituzione culturale avessi conosciuto: qui il mondo degli artisti e dei creativi, con le loro ricerche proiettate verso il futuro, entrava in contatto diretto, e fertile, con quello degli studiosi e dei ricercatori della storia. Questo dialogo tra futuro e passato era così stimolante ed emozionante che ha dato vita ad alcune delle intuizioni più significative del mio percorso di ricerca. Stare qui per un anno, dal 2007 al 2008, è stato per me come un risveglio, una fonte di vivacità intellettuale come nessuna altra esperienza prima.

American Academy in Rome

American Academy in Rome

E di Roma?

È stata una grande opportunità conoscere meglio Roma e l’Italia, ma soprattutto ricordo gli incontri con persone molto speciali. Sul piano personale è stata poi l’occasione per riconnettermi con le mie radici italiane, e crearne un nuovo capitolo. Mia nonna, emigrata negli USA nel 1921, era infatti di origini abruzzesi: il cognome della famiglia era De Lucia, e il nome di mia figlia, a Roma nel 2008, è Lucia, la prima nata di nuovo in Italia dopo tre generazioni.

Come è tornare in veste di direttore?

È una grande emozione, come dieci anni fa, forse anche di più. È un assoluto privilegio essere qui, vivere in un contesto come Roma, con la sua storia, il suo clima, le sue fontane. Ma essere direttore è un privilegio ancora più grande, perché mi da l’opportunità di dare forma a nuove occasioni di scambio con la città di cui potranno beneficiare nuove generazioni di ricercatori e artisti, ricambiando così quello che ho ricevuto nella mia esperienza di fellow, da Roma e dall’Academy. Questo certo implica anche delle responsabilità, ma è l’aspetto più stimolante. Se qualcuno mi chiedesse di descrivere la “vita ideale” sicuramente includerei questa esperienza speciale.

La precedente direzione di Kimberly Bowes ha dato una linea molto chiara che ha portato insieme alla direzione artistica di Peter Benson Miller l’American Academy ad essere uno dei laboratori di produzione culturale più stimolanti a Roma. Quale sarà la tua linea? Cosa manterrai del percorso precedente, quali elementi di novità vuoi invece apportare?

Sono estremamente grato di essermi insediato in un momento in cui l’Academy ha guadagnato visibilità e un ruolo tra gli attori dello scenario contemporaneo di Roma e di questo devo ringraziare i miei colleghi che hanno fatto un grande lavoro negli ultimi anni. Vorrei raccogliere questa eredità proseguendo il nostro impegno non solo nei confronti di Roma, ma dell’Italia, continuando a coinvolgere i nostri colleghi italiani e facendo crescere il nostro raggio di collaborazioni per rappresentare al meglio la promessa di quello che l’America può essere, come Paese generoso e aperto. Penso al potenziale dell’America come luogo di incontro di culture, di apertura a nuove idee, alla sperimentazione, capace di ospitare ogni forma di dibattito per creare un mondo migliore e più aperto. Penso che ogni direttore sia tenuto a rafforzare questa istituzione per offrirla alle future generazioni, sperimentando il più possibile. In questo momento storico è importante essere una voce critica, che stimoli la riflessione nella cultura contemporanea, e avere al tempo stesso la capacità di offrire opportunità di puro godimento delle materie umanistiche.

American Academy in Rome

American Academy in Rome

Ogni direttore dell’AAR ha una formazione differente, per rispondere anche alle esigenze dell’istituzione. La tua ricerca è nell’ingegneria dei crolli e sulla storia delle strutture, come questi temi si coniugheranno con il nuovo programma dell’accademia per l’anno 2017/2018?

Sono una figura ibrida, che associa un ricercatore, uno storico, un architetto, un esperto di costruzioni, e che si muove tra l’archeologia, la conservazione e il design contemporaneo. Per questo il mio interesse come ricercatore e come progettista tocca davvero molti dei campi di studio dell’Academy. Non a caso dieci anni fa sono arrivato qui spinto dal desiderio di combinare archeologia e ingegneria. I miei primi studi riguardavano i ponti costruiti dall’impero Inca in Perù molti secoli fa, e mi hanno fatto subito capire che c’è molto più da imparare quando si indagano temi che stanno tra i confini delle discipline tradizionali. Nel mio lavoro di accademico – insegno Architettura al MIT da 15 anni – il mio impegno è proprio rompere questi confini nella formazione delle nuove generazioni: che si studi conservazione o design contemporaneo penso che le migliori intuizioni non si trovino nella specializzazione ma nelle connessioni con altre forme di sapere.

In che cosa invece la tua ricerca personale di studioso beneficerà dalla presenza in Italia?

Certamente migliorare sempre di più la lingua, anche grazie ai miei bambini che frequentano scuole italiane e ci stanno superando velocemente! Il mio progetto principale per i prossimi anni è supportare l’American Academy e rafforzare la sua relazione con l’Italia, anche grazie al programma degli Italian Fellows, il nostro progetto di residenze destinato ad artisti e studiosi italiani. Se dal punto di vista personale sto raccogliendo molti stimoli per le ricerche che condurrò quando tornerò al MIT, la mia agenda, come ricercatore e progettista, è in questo momento condizionata dalla più ampia agenda dell’Academy. Questo ruolo non è solo individuale, è legato a supportare l’agenda intellettuale di molte persone e questo è l’aspetto più stimolante, perché è come tornare studente e avere l’opportunità di imparare giorno per giorno.  Ho comunque già due o tre idee per dei libri che vorrei scrivere dopo questa esperienza. Roma è un luogo d’ispirazione “pericoloso”, sto ancora lavorando sugli spunti di ricerca nati quando sono stato qui dieci anni fa, quindi mi aspetto che questo periodo mi fornirà delle nuove domande su cui indagherò per il resto della mia vita. Roma è la nostra università, e vivere in una comunità di artisti e studiosi è un sogno per chiunque abbia deciso di dedicare la sua vita alla ricerca, insomma è una vera gioia essere di nuovo qui.

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Redazione

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