L’omaggio di Salisburgo a Gioacchino Rossini. Intervista con Cecilia Bartoli
A centocinquant’anni dalla morte, Gioacchino Rossini è protagonista del Festival di Pentecoste, a Salisburgo. Ne abbiamo parlato con la direttrice, Cecilia Bartoli.
Mozart era morto da tre anni quando, il 29 febbraio 1792 (anno bisestile), mentre infuriava la Rivoluzione francese, nacque Gioacchino Rossini. Rossini, come è noto, si mise in pensione (dalla composizione di opere) a 37 anni a ragione di una grave depressione ma, superatala, visse a Passy, nei pressi di Parigi, sino all’età di 76 anni. Il 2018 è il centocinquantenario dalla morte. In Italia sembra se ne siano ricordati un numero relativamente modesto di fondazioni liriche (Palermo, Cagliari, Venezia, Napoli, Trieste) e il circuito lombardo di “teatri di tradizione”. Tra le fondazioni liriche solamente tre hanno programmato nuovi allestimenti. La Cenerentola del circuito lombardo è una produzione nuova di zecca.
Non lo hanno dimenticato, invece, il Festival di Salisburgo e una delle maggiori cantanti rossiniane e manager musicale, Cecilia Bartoli (ha venduto oltre dieci milioni di dischi e di video, numerosi dedicati al compositore pesarese). Oltre a un’intensa attività professionale come cantante, la Bartoli è dal 2012 direttore del Festival di Pentecoste (il suo predecessore è stato Riccardo Muti), incarico rinnovatole sino al 2020. Il festival è quest’anno dedicato a Rossini e avrà luogo dal 2 al 18 giugno. Il suo “pezzo forte” (una nuova produzione de L’Italiana in Algeri) sarà ripresa al festival estivo, sempre a Salisburgo (dal 20 luglio al 31 agosto), e in numerosi altri teatri.
Cecilia ha voluto dedicare il festival a Rossini, autore da lei amatissimo e di cui è una grandissima interprete (al Rossini Opera Festival ci si ricorda ancora della sua straordinaria interpretazione de La Scala di Seta quando era giovanissima).
L’INTERVISTA
Come legge il significato di questo anno “rossiniano”?
La vera scintilla che mi ha ispirato nella programmazione della manifestazione è aver realizzato che la prima mondiale de I Maestri Cantori di Norimberga è avvenuta l’anno stesso della morte di Rossini. Mi sorprese che due pianeti musicali, spesso considerati differenti, avessero avuto un punto in comune. E ho continuato a studiare cosa avvenne nel 1868: Rossini è stato con me per tutta la mia vita, sin dal mio debutto a Roma nel 1967. È sempre stata una gioia tornare a lui, perché la sua musica rende felici. Sono orgogliosa di potergli dedicare il festival che dirigo nel centocinquantenario della sua morte.
Da quando è alla guida del Festival di Pentecoste a Salisburgo, ogni anno è stato dedicato a una figura femminile: Cleopatra, Norma, Cenerentola, Maria (in Ariodante), Ifigenia. Come si colloca Isabella (protagonista de L’Italiana in Algeri) in questo contesto?
È la prima volta che interpreto il ruolo e non vedo l’ora di essere sul palcoscenico. Isabella non è una principessa da racconto fiabesco, ma una donna intelligente e forte che si comporta in modo emancipato e moderno.
Ci sono riferimenti all’attualità?
Assolutamente no. Non ho forzato alcun riferimento alle vicende di questi tempi. Nel libretto ci sono cliché come il fato di una bella donna bianca nelle mani di nordafricani molto maschilisti. Sarebbe un peccato prendere il testo troppo alla lettera e non porre l’accento sulle doti atemporali de L’Italiana, ad esempio come Isabella riesce a utilizzare il suo umorismo e la sua intelligenza nello sviluppo dell’intreccio. Lavorerò con due registi, Moshe Leiser e Patrice Caurier, con cui, a Salisburgo, ho già realizzato Giulio Cesare in Egitto (2012), Norma (2013) e Iphigénie en Tauride (2015) Sono due artisti meravigliosi, il cui lavoro è incredibilmente preciso e acuto e la cui cultura musicale è eccellente. Le scene non sono mai costruite solo sul libretto ma sulla musica. Ciò ha un doppio impatto, in quanto rispecchia sia il testo sia la partitura.
Il direttore d’orchestra, Jean-Claude Spinosi, è stato già ospite del Festival di Pentecoste; nel 2014 ha concertato sia la Cenerentola sia Otello (di Rossini). Come lavora con lui?
Ci conosciamo da tanti anni. È un grande partner e la sua orchestra è fantastica. È una vera gioia interpretare Rossini con lui alla bacchetta e un’orchestra come la sua: tutto diventa chiaro, luminoso e pieno di bollicine, come una coppa di champagne.
Tutti i musicisti di fama diventano disponibili quando li cerca. Come li attrae a Salisburgo?
È il risultato di una lunga carriera. Quando si fa musica, non si è mai soli; si è circondati da vari musicisti che lavorano insieme in modo molto intenso. Ho avuto la fortuna di lavorare con tanti grandi artisti e utilizzo i miei contatti. Coloro che invito a Salisburgo sono persone che conosco bene e ho una chiara idea del programma che voglio eseguire con loro. Il nostro scopo comune è di promuovere l’eccellenza e creare qualcosa di rimarchevole e prezioso.
Il 1868 è anche l’anno della prima assoluta de La Périchole di Jacques Offenbach, che è nel programma del festival per un’unica sera in versione da concerto. Cosa ci dice oggi questo capolavoro dell’opera comica?
Ammetto che non ho mai osato accostarmi a Offenbach, anche se forse un giorno lo farò. Il compositore può essere visto come un’estensione di Rossini in un Paese diverso e soprattutto in un’epoca differente. Ha la leggerezza e l’effervescenza essenziale all’opera comica.
‒ Giuseppe Pennisi
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