Arte e comunicazione a Milano. Intervista a Gianni Romano
Un grande personaggio della comunicazione, dell’editoria, dell’arte e della cultura a Milano e quaranta studenti a intervistarlo. Esperimento di intervista performativa allo IULM con Gianni Romano in persona a rispondere. Ecco cosa ne è uscito fuori.
Partiamo dagli inizi. Lei non si è formato studiando arte. Questa scelta che conseguenza ha avuto sul futuro della sua carriera?
L’arte per me è una stronzata!
In che senso è una stronzata?
Nel senso che ad esempio io ho studiato letteratura e conosco la categoria della letteratura. Ecco, nelle riviste d’arte non si leggono mica Edward Morgan Foster, Marino Moretti o Roland Barthes. Peccato che siano proprio questi gli autori che reputo tappe fondamentali nel mio percorso di crescita intellettuale.
Solo questi?
Ma no. Oltre alla letteratura naturalmente c’è anche il cinema ad avermi aiutato ad avere una visione più ampia del termine arte e come esempi vorrei citare Truffaut e Buñuel. Insomma, lo schema che ho sempre seguito nelle mie idee, sia artistiche che politiche, è stato quello di far ragionare il mio interlocutore. Nel corso degli anni ho potuto notare che la gente non ha bisogno di persone che si definiscano vincenti, ma di persone che li aiutino a ragionare.
Situazione culturale a Milano. Sviluppi, arte contemporanea, tutela del patrimonio. Lei come la vede?
Nei confronti del patrimonio le cose sono migliorate, abbiamo una buona situazione. Nei confronti della cultura contemporanea invece direi che stiamo peggio di prima.
Addirittura peggio? In che senso?
Si è privilegiata una cultura fatta di grandi eventi orientati più che altro al turismo, ma non c’è alcuna cultura che parta dal basso.
Ad esempio?
Beh, se ci fate caso stanno chiudendo i teatri: questo è un indicatore estremamente importante del processo in atto. Per citare un esempio, l’ATIR, che aveva in gestione il Teatro Ringhiera a Milano e che si sostentava esclusivamente di soldi pubblici, ha dovuto abbandonare la gestione perché non era supportato adeguatamente dal Comune.
Tornando al suo percorso professionale: cosa l’ha spinta a intraprendere la carriera da editore dopo aver ricoperto altri ruoli?
Ho preso la mia decisione per due motivi: da una parte, il lavoro come curatore diminuiva e l’idea di lavorare per i privati non mi allettava dopo aver realizzato grandi mostre pubbliche come Media Connection nel 2001; dall’altra, fin da bambino sono stato appassionato di libri. L’effetto wow nello scoprire una lettura nuova mi ha sempre affascinato. Averne a che fare in prima linea era perfetto in quel momento.
Come concilia i diversi ruoli professionali (curatore, docente, editore) e quale la rispecchia di più?
Non c’è una ricetta per essere Gianni Romano: viene naturale! In realtà non sono professioni diverse, sono parte dello stesso discorso riguardante l’arte e la sua fruizione da parte del pubblico, a più livelli. Come insegnante, ho cercato di educare i miei studenti al riconoscimento dell’arte come evento sociale in continuo divenire, e non come realtà circoscritta a un passato che si studia sui libri. Come curatore, ho permesso al sottobosco artistico milanese di emergere con forza, rivelando una voce potente e ricca di propositi, che aveva solo bisogno del megafono delle mostre indipendenti e delle gallerie private per rivelarsi. Il ruolo in cui riverso maggiormente il mio impegno è però quello di editore
Per quale motivo?
Perché questo ruolo regala a critici, artisti e performer la possibilità di evidenziare un’anima critica, verso la quale le grandi case editrici soffrono una certa diffidenza data dalla tematica troppo settoriale. In questo senso, le professioni a cui mi sono dedicato sono legate da un filo conduttore unico.
Se ce lo dovesse sintetizzare in un’espressione?
Veicolare delle opportunità.
Tutto questo presenta sicuramente delle difficoltà. Quali sono le più significative?
Se parliamo di editoria, il problema principale è la distribuzione. Gli editori più grandi sono riusciti a crearsi il loro monopolio. Come direttore di una piccola casa editrice, mi sento fuori da questo gioco: il libro è un prodotto delicato.
Lo strapotere delle grandi case editrici è l’unico problema?
No. Questo è il problema più grande, ma esiste anche il fenomeno della scomparsa delle librerie dal territorio. Al loro posto stanno subentrando i nuovi rivenditori online (come Amazon) che da una parte hanno trasformato il mercato, ma dall’altra almeno hanno risolto uno dei problemi primari: quello della reperibilità.
Risvolti positivi in tutto questo quadro e possibili soluzioni?
Il lato positivo è che Postmedia è sopravvissuta. Una delle possibili soluzioni resta quella di entrare nel mondo accademico, perché rimanere nella saggistica è molto difficile. La speranza è che i nostri libri vengano adottati da corsi, master e università.
Negli ultimi tempi non è mancato un suo impegno civico e politico. Cosa l’ha spinta a candidarsi al Consiglio Comunale di Milano?
In realtà non è che volessi candidarmi. Stavo lavorando ad altri progetti con Stefano Mirti ed è partita l’opportunità di gestire i social media di supporto alla candidatura di Beppe Sala. A quel punto si è creato un bel gruppo di una trentina di persone e in quell’ambito si è pensato anche alla mia candidatura come logico sviluppo di un progetto di comunicazione, non tanto per ambizioni politiche personali.
Su quali temi si è concentrato durante la campagna elettorale?
Sui temi di cui mi occupo da anni con il mio lavoro, cercare di sminuire l’idea obsoleta che la cultura sia qualcosa relegata all’assistenza (pubblica o privata) ma, come succede altrove, la cultura legata all’innovazione e all’inclusione può produrre reddito. Insomma, non pensate sia un paradosso che il Paese che ha sfornato più cultura al mondo non sia capace né di gestirla né di riconoscere i propri talenti quando questi emergono? Durante la campagna, poi, abbiamo anche sperimentato una comunicazione molto atipica rispetto alle campagne elettorali tradizionali. Ad esempio, a un certo punto affiggemmo dei manifesti elettorali senza alcun riferimento alla mia candidatura, ma con immagini pensate da artisti e dedicate all’arte.
E se fosse stato eletto, cosa avrebbe fatto subito?
Il progetto che mi stava più a cuore era quello di una residenza per artisti. L’idea era di realizzarla a Lambrate, dove esistevano possibilità concrete, destinando in parti uguali gli spazi ad artisti milanesi, italiani e internazionali. Un centro culturale (in parte auto-sostenuto) dove i cittadini (non solo chi frequenta il mondo dell’arte) avrebbero potuto confrontarsi direttamente con gli artisti. L’altro progetto era una rifinitura di quello che si chiama mecenatismo culturale: in campagna ho incontrato tanti imprenditori vicini alla cultura e che sentono la mancanza di strumenti (non solo di iniziative estemporanee) che li aiutino a promuoverla. Questo progetto dava corpo al concetto di cultura che parte dal basso e nella lista civica c’erano anche altri protagonisti della vita culturale milanese.
Dopo la vittoria di Sala, che fine hanno fatto questi progetti?
Purtroppo per ora non se n’è fatto più niente…
Negli ultimi anni lei è molto attivo sui social media, in particolare Facebook e ancor più Instagram.
È molto complicato parlare di arte sui social, come lo è anche in tv. Parlare di arte in ambienti che non siano cartacei oppure orali è una missione difficile. Tuttavia queste piattaforme introducono la dimensione del gioco e io, a volte, utilizzo questo tono di voce anche con i miei studenti. È una forma di intrattenimento che una volta ho anche provato a utilizzare come strumento di divulgazione della storia dell’arte in modalità partecipata peer-to-peer, in modo tale che tutti potessero contribuire ai contenuti a partire da un argomento specifico, ad esempio Picasso, il Cubismo o altro. Ci furono anche moltissimi iscritti ma poi il progetto, che si chiamava ONEONE, si è arenato perché è stato difficile convertirli in iscritti paganti.
Qual è il ruolo della rivista Sketchbook all’interno della cultura visiva contemporanea?
Sketchbook è il progetto di rivista accademica di Postmedia. Come dicevo sopra, è molto importante per noi agganciare il mondo accademico, e questa pubblicazione cerca di ottenere il risultato proponendosi come raccolta di brevi saggi firmati da giovani al debutto, intenzionati ad affacciarsi al mondo del giornalismo e della scrittura.
A proposito di giovani che vogliono affacciarsi a questa professione: quali consigli ci darebbe?
Se il vostro progetto è autosostenibile e sostanzioso, in termini contenutistici e pratici, allora provate ad approcciarvi a questo mondo. In caso contrario, consiglio di stare alla larga.
Quando parla di auto-sostentamento intende dire che siamo in un mondo più che altro adatto a chi è ricco di famiglia?
Ehm…
L’intervista è stata realizzata dagli studenti della cattedra di Forme di comunicazione dell’arte:
Claudia Abate, Alice Alessandrini, Valentina Bazzoli, Rachele Bettinelli, Giuseppe Bonanomi, Cecilia Buccioni, Eleonora Buttinoni, Chiara Camaccioli, Luca Cantore, Eleonora Casale, Claudia Castellucci, Alice Celeste, Luca Ceresoli, Marta Cossettini, Beatrice Curti, Daniele Di Stefano, Laura Favalessa, Alice Formentini, Elena Giorgini, Beatrice Giudici, Giada Iori, Giulia Lanzi, Marta Lavit, Francesca Marino, Erica Massaccesi, Camilla Maver, Matilde Meinardi, Corinna Paoletti, Rachele Pezzetta, Francesca Pezzuto, Davide Pirovano, Beatrice Pizzi, Irene Rivolta, Manfredi Rovella, Giuseppe Scornavacche, Monica Sedini, Marianna Soru, Francesca Tisselli, Mara Trementozzi, Valentina Viscione.
www.gianniromano.org
www.postmediabooks.it
www.iulm.it
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati