Tutte le novità da Le Murate di Firenze. Intervista a Valentina Gensini
Su incarico dell’amministrazione comunale, la storica dell’arte e curatrice Valentina Gensini ha rafforzato il suo ruolo a Le Murate, definendo una strategia per renderlo un “distretto culturale evoluto”. Con “Viaggio Immaginario”, personale dell’artista camerunense Barthélémy Toguo, il 15 febbraio inizia la nuova stagione.
Fatto per essere vissuto, abitato – letteralmente ‒ da tutti. È questo l’aspetto identitario de Le Murate PAC | PAC Progetti Arte Contemporanea di Firenze. A quattro anni dall’apertura, prende il via una nuova fase della sua storia, con il consolidamento della direzione affidata a Valentina Gensini. In una città nota per una certa “impermeabilità al contemporaneo”, dopo aver concluso l’esperienza triennale al Museo Novecento, con un incremento dei visitatori nel 2017, – il nuovo direttore è Sergio Risaliti –, la curatrice è stata chiamata a dedicarsi in forma piena alle attività destinate agli spazi recuperati e rifunzionalizzati dell’ex carcere. Confermati sia il lavoro di rete sia le collaborazioni con soggetti di rilievo internazionale; molte le novità nell’impianto curatoriale e nella struttura architettonica. Il 25 marzo tutto il complesso sarà aperto al pubblico nell’ambito della Giornata FAI di primavera: quindici giovani operatori condurranno i visitatori alla scoperta delle sue stratificazioni storiche e architettoniche. L’esperienza de Le Murate, inoltre, è stata inclusa in un saggio di prossima pubblicazione, coordinato dal Politecnico di Milano, focalizzato su casi eccellenti di recupero di strutture carcerarie su scala europea. Il volume fa seguito a un convegno, nel corso del quale ha iniziato a prendere forma l’idea di costituire una sorta di “network” tra soggetti che con il centro fiorentino condividono il desiderio di riscrivere il destino degli edifici originariamente destinati alla reclusione, presenti nelle nostre città.
Per Le Murate sta iniziando un nuovo ciclo: il tuo incarico è ora più ampio rispetto al passato e sono in arrivo novità anche sul fronte architettonico.
Esattamente. Sono arrivata qui nel 2013 e abbiamo aperto l’anno successivo. È curioso: lo spazio era vuoto, sembrava enorme! Ora è così denso che in realtà avremmo molta più programmazione di quella che possiamo accogliere. Anche per questo il sindaco ha lanciato una duplice sfida: raddoppiare gli spazi del piano terra e puntare su un coordinamento generale per l’intero distretto, come noto provvisto di due piazze ‒ una dedicata all’innovazione tecnologica, l’altra agli aspetti culturali – e di alcuni servizi di pertinenza comunale, tra cui gli sportelli dedicati ai giovani e ai progetti europei. Il mio nuovo incarico è molto affascinante: definire una vera e propria strategia culturale per l’intero complesso, affinché Le Murate diventino un “distretto culturale evoluto”, un propulsore culturale sostenuto da una strategia specifica.
Cosa puoi anticipare in merito al progetto di ampliamento?
La prossima estate sono in programma lavori nell’area già di pertinenza de Le Murate. Questo primo intervento è già nel bilancio 2018 e riguarda il restyling degli ambienti in nostro possesso, con una completa riconfigurazione, un rinnovamento dell’arredamento e tutte le azioni necessarie per farlo diventare un centro per l’arte contemporanea adeguatamente attrezzato a iniziative diverse. I nuovi spazi verranno invece consegnati al Comune questa primavera: l’orizzonte per la loro apertura è nel 2019, dopo i necessari lavori di adeguamento.
Come hai concepito la nuova linea curatoriale?
Fin qui non avevo potuto dedicare piena attenzione a Le Murate. Finalmente, a partire dal 2018 si cambia: questa volta si è costruito un vero e proprio palinsesto. Il primo semestre è incentrato sul ciclo Global identities. Postcolonial and cross-cultural narratives; nel secondo avremo una monografica e ci concentreremo sul Progetto Riva. Con Global identities, il cui titolo è quasi un ossimoro vista la difficoltà di conservare caratteristiche identitarie nella globalità, affronteremo uno dei grandi temi del contemporaneo: in che modo la globalità stempera le identità locali? Come far coesistere insieme il dialogo globale e il mantenimento di caratteri peculiari delle singole culture? In particolare, ci focalizzeremo sul fenomeno del post-colonialismo e sugli aspetti di ibridazione culturale, argomenti poco affrontati in Italia. Mi interessa verificare come la dimensione post-coloniale e quella delle culture ibride stiano agendo sull’immaginario contemporaneo. Lo faremo attraverso il formato della mostra-residenza, con permanenze di minimo quindici giorni.
Una scelta legata a una precisa presa di posizione rispetto a certe tendenze comuni nell’universo delle mostre?
Proseguirà, e con grande convinzione, quanto già fatto fin qui a livello di produzione: siamo in un’era globale, con internet possiamo vedere e farci un’idea di lavori realizzati in tutto il mondo. Ma se un artista si ferma qui, monta il suo lavoro, fa un talk, realizza un’opera partecipata, tiene un workshop riusciamo davvero a fare la differenza. Non basta che il “sistema mostre” sposti opere da una parte all’altra del mondo, alimentando quasi una “mania persecutoria” nei confronti delle opere stesse e degli artisti. Per noi è importante la produzione e in ogni mostra cerchiamo di presentare qualcosa di inedito o di nuovamente prodotto: è avvenuto anche con Adrian Paci e il suo Di queste luci si servirà la notte. Credo che valga la pena creare una mostra o un setting se accompagnati da un’esperienza forte: per l’artista, che si misura con un luogo e con le sue memorie, e anche per il territorio che lo accoglie. Il fatto che qui portiamo lavori inediti, realizzati site specific o ricontestualizzati, è un valore non secondario.
Scendendo nel dettaglio, cosa vedremo da qui a giugno a Le Murate?
In occasione del Black History Month Florence ‒ festival fiorentino dedicato alla produzione culturale “black”, che celebra la diversità delle culture afro-discendenti nel contesto italiano, N.d.R. – avremo il camerunense Barthélémy Toguo: sarà con noi in residenza. Dal 15 febbraio, presenteremo la sua personale, Viaggio Immaginario, con il lavoro Dustbin per la prima volta in Italia. Quindi proseguirà la collaborazione con la Corea, con un progetto presentato in concomitanza con il Korea Film Fest. Matteo Innocenti curerà A certain identity, con quattro artisti lituani presenti. Si tratta di un progetto itinerante in Europa ‒ la Lituania è il primo paese del blocco sovietico che si è distaccato per richiedere di aderire alla NATO, dunque ha un passaggio identitario molto forte ‒, la cui tappa italiana è a Firenze.
E poi?
Sarà poi la volta della mostra Macao: The impossible black tulip, che permetterà di interrogarci su un territorio particolare, nel quale influisce anche l’esperienza della colonizzazione portoghese: è Cina o non è Cina? Ci saranno tre artisti che impiegano medium completamente differenti; con loro faremo diversi laboratori didattici perché queste dimensioni, così complesse, generano situazioni di notevole interesse per la lettura della storia e della contemporaneità. Infine, spazio agli artisti del territorio, che qui sono da sempre accolti e sostenuti. La fiorentina Lisa Batacchi presenterà Il tempo della discrezione, una mostra curata da Veronica Caciolli, con tutte opere inedite, da lei realizzate in Mongolia e in Cina. Così facendo avremo anche uno sguardo europeo sull’Oriente, attraverso un lavoro sviluppato in collaborazione con le donne mongole. Grazie alla partnership con l’Archivio di arte contemporanea cinese, arriveranno tre artisti cinesi a Firenze: trascorreranno l’intero mese di aprile a Le Murate, ciascuno in uno studio, per produrre nuove ricerche e nuovi lavori.
Il programma delle residenze si preannuncia denso…
Abbiamo chiuso il 2017 con 313 artisti in residenza, divisi su oltre 30 programmi diversi: eravamo partiti con qualche decina, ora siamo arrivati a una quota davvero interessante. Nel 2018 si alterneranno residenze di lunga durata ed esperienze più brevi, concentrate su temi specifici. Questo ritmo si tradurrà in un ciclo di mostre coerenti, capaci di offrire sempre sguardi diversi. Inoltre, anche per volontà dell’amministrazione comunale, si rafforzerà il lavoro con i partner internazionali e con le tante realtà culturali attive in questo territorio.
In quale modo potrete diventare un unicum nella dimensione fiorentina, distinguendovi anche da precedenti esperienze intraprese in città sul fronte del contemporaneo?
Tutte le realtà precedenti avevano una connotazione diversa. Erano spazi destinati a mostre, seguivano una programmazione precisa. Sicuramente Le Murate eredita una funzione appartenuta ad altri, ad esempio, a EX3. Tuttavia, un po’ provocatoriamente, posso dire che qui la mostra è quasi un appuntamento “collaterale”, proprio perché del contemporaneo ci interessa soprattutto la processualità. Questo è un dato critico che definisco militante: trovo veramente limitativo concentrarci solo sulla fase finale del setting. A mio avviso guardare all’Europa vuol dire anche essere in grado di concepire una kunsthalle che sia attenta prima di tutto alla ricerca e alla selezione degli artisti, all’attenzione del progetto nello spazio, dunque alla processualità. Preferisco fare una mostra in meno e produrre un lavoro in più: la mostra, per noi, è un momento di condivisione con la cittadinanza, all’interno di un’operazione più ampia. Inoltre, generalmente i centri di arte contemporanea in Italia ‒ perché il fenomeno è solo italiano – sono destinati a un pubblico di addetti ai lavori. La nostra mission è diffondere il verbo del contemporaneo a tutti e l’aver scelto di proporre solo iniziative gratuite è un segno molto forte del ruolo assegnato alla nostra azione.
Azione che, tra l’altro, è da sempre molto orientata anche a sollecitare le giovani generazioni…
Chi ha una misura media, come noi, riesce a programmare con una certa agilità, cambi inclusi. Questa dimensione è un vantaggio importante e ci consente di fare attività continua rivolta a tutta la città, giovani e non. A uno primo sguardo, ad esempio, il tema Global identities. Postcolonial and cross-cultural narratives può risultare complesso per il “cittadino comune”, ma è il modo in cui lavoriamo a fare la differenza. Faccio un esempio: organizziamo workshop con i grandi artisti per i neonati e le loro mamme, per bambini fino a tre anni, per i ragazzi, senza dimenticare la formula dei Murate Art Labs, per i non professionisti. Tutte queste esperienze, con i grandi professionisti dell’arte, lasciano il segno in chi viene qui a provarle. Ed è proprio quello a cui puntiamo.
‒ Valentina Silvestrini
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