Teatro. Intervista ai Leoni d’Oro Rezza e Mastrella
Insigniti del Leone d’Oro alla carriera dalla Biennale di Venezia, Antonio Rezza e Flavia Mastrella si raccontano. Con uno sguardo sempre rivolto al futuro.
Antonio Rezza e Flavia Mastrella. Trent’anni assieme. L’uno performer e autore, l’altra artista e autrice. La Biennale di Venezia, presieduta da Paolo Baratta, ha assegnato loro il Leone d’Oro alla carriera per il Teatro 2018.
Antonio Rezza è “l’artista che fonde totalmente, in un solo corpo, le due distinzioni di attore e performer, distinzioni che grazie a lui perdono ogni barriera. Flavia Mastrella è l’artista che crea habitat e spazi scenici che sono forme d’arte che a sua volta Rezza abita e devasta con la sua strepitosa adesione”, è stato scritto nelle motivazioni del premio proposto dal direttore del Settore Teatro Antonio Latella.
“Non potevamo immaginare nemmeno lontanamente quanto ci avrebbe fatti contenti un premio come questo. Ha sorpreso anche noi”, ci dicono intrecciando le voci nell’intervista.
È una tappa, un traguardo o un inizio?
Antonio Rezza e Flavia Mastrella: Si illumina una strada. Dopo tutto senti che il lavoro che hai fatto non è così inutile.
Cosa avrà colpito Latella?
Antonio Rezza e Flavia Mastrella: Ha visto tutti i nostri progetti. Ancora non sappiamo cosa sia piaciuto, di certo hanno analizzato tutto il nostro lavoro.
Nella motivazione si sottolinea il rapporto tra performer e attore? Qual è alla fine la linea di demarcazione?
Antonio Rezza: Nel mio essere performativo non c’è niente che serva lo stato d’animo, non c’è spazio per l’attore. La performance agisce con altri presupposti. Sfinisco il mio corpo in uno spazio che non mi appartiene. Inizio le prove assieme a Massimo Camilli in attesa degli habitat di Flavia. Poi arrivano Ivan Bellavista e poi Manolo Muoio, Chiara Perrini ed Enzo di Norsia.
Il premio suppone la necessità di creare una eredità o un metodo, o peggio ancora una scuola?
Antonio Rezza e Flavia Mastrella: Non possiamo fare scuola, siamo anti-scolastici, possiamo dare qualche consiglio. Non è ancora il tempo, vogliamo fare tante cose noi prima di tramandarle.
In che modo il corpo sopporterà un inevitabile cambio di ritmo e di tempo?
Antonio Rezza e Flavia Mastrella: La nostra inevitabilmente è una parabola discendente perché non abbiamo vent’anni; ma è solo biologicamente discendente. Siamo ascendenti per la padronanza che abbiamo dell’incoscienza. Siamo come Munari che ha lavorato fino a novant’anni. Ci chiedi come si adatterà il corpo? Ci aspetta una assenza di velocità. Ma ora non lo sappiamo, adesso il corpo non dà nessun problema, io faccio meno fatica di anni fa. Col tempo domeremo la tensione, che è ciò che più stanca.
Nella genesi creativa quale idea resiste e sopravvive come la migliore da cui partire per costruire lo spettacolo?
Antonio Rezza e Flavia Mastrella: Quella che resiste alla nostra autocensura. Non è detto che sia la prima, le prime le regaliamo ai poveri.
Quanto conta il panorama figurativo dei vostri vissuti?
Flavia Mastrella: Tantissimo. Se non avessi saputo le cose che so, non avrei potuto usare i frammenti di dialogo che ho colto dall’arte figurativa. Frammenti di Fontana o di Burri, ad esempio, mi servono per costruire un discorso.
Nei vostri lavori è il corpo che abita lo spazio o lo spazio che si fa indossare e violentare dal corpo?
Antonio Rezza e Flavia Mastrella: Tutte e due, perché siamo soggiogati dalla sorpresa, non ci interessa sapere dove il mio corpo agisce. Non vogliamo che la mente abbia il sopravvento sul corpo. Il corpo va da sé e diventa l’unico dittatore. Perché quando si ammala non c’è niente che tenga, lasciamolo quindi dettare legge anche quando sta bene.
Come devono essere frequentati gli habitat che costruite sul palco?
Flavia Mastrella: Gli habitat si chiamano così perché sono piccoli mondi. Andrebbero vissuti “da dentro”, ma un teatro totale credo che in Europa esista solo a Zurigo. Il palco ridimensiona, è ovvio.
Antonio Rezza: Se il nostro spettacolo, per ipotesi, avesse il pubblico intorno, questo darebbe potenzialità immense. Pensa solo alle spalle, sapere che qualcuno le guarda. Il teatro in Italia purtroppo non prevede mobilità della platea.
Chi descrive i vostri spettacoli usa spesso la parola surrealismo…
Antonio Rezza e Flavia Mastrella: Surreale è chi ogni giorno si sveglia per andare a fare un lavoro che non ama. Noi non faremmo mai una vita del genere. È surreale l’infelicità di chi subisce ciò che non vuole fare. Passiamo per strani noi che facciamo quello che vogliamo. Ci sentiamo più iperrealisti. Noi portiamo in forma il ritmo contemporaneo. Per quello le persone ci seguono, perché capiscono. Capiscono quello e perché lo facciamo. Noi diamo delle tracce e dei frammenti. Siamo molto chiari per chi non vuole capire.
E certo anticlericalismo non è forse anacronistico?
Antonio Rezza e Flavia Mastrella: No. Al momento c’è la guerra santa, siamo sulla cresta dell’onda. Troviamo comico che l’essere umano creda che ci sia qualcuno che gli copra le spalle. Non si può credere che ci sia qualcuno che un giorno ci giudicherà. In base a quali meriti pensiamo che ci sia qualcuno? Chi non crede in niente è umile. Credo in questa umiltà, si vive di qualità, si vive di umiltà se si sa che non c’è l’aldilà.
Siete reduci da lezioni fatte a universitari. Cosa vedete nei loro occhi?
Antonio Rezza e Flavia Mastrella: C’è vita, nei loro occhi vediamo noi. Sono vitali. È bellissimo, c’è voglia come sempre e sempre sarà. Beato chi ha tempo davanti.
E per voi? Cosa c’è nel vostro tempo?
Antonio Rezza e Flavia Mastrella: Abbiamo vinto il Leone e punteremo al Nobel. Vorremmo la laurea honoris causa. Sai dirci una università in cui ce la possano dare?
‒ Simone Azzoni
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