La terza via dell’arte. Intervista a Enrico Corte e Andrea Nurcis
Parola ai due protagonisti della mostra allestita a Palazzo Collicola, a Spoleto. Non un duo, ma due entità complementari, che fanno tesoro delle loro differenze.
Per la prima volta il Palazzo Collicola di Spoleto, oltre al piano dedicato abitualmente alle mostre, apre le porte del Piano Nobile, affrescato e arredato, per ospitare una mostra di Enrico Corte (Cagliari, 1963) e Andrea Nurcis (Cagliari, 1962). Due artisti formatisi negli Anni Ottanta che, oltre a realizzare opere a quattro (o sei mani), lavorano individualmente. Hanno intitolato la mostra EXCERPTⒶ, dove la A cerchiata, simbolo universale del movimento anarchico, indica qui, secondo gli artisti, il “lasciarsi fluire nell’anarchia dei linguaggi nel perseguire una nostra visione”.
La mostra non si sviluppa cronologicamente, ma è una sorta di viaggio alla scoperta di piccoli mondi, dove il caso e la sorpresa regnano. Ce la siamo fatta raccontare dagli artisti che, seppur nelle loro differenze formali e concettuali, sembrano voler fortemente perseguire un comune obiettivo: distinguersi da tutto e tutti. Solo le generazioni future potranno dire se sono riusciti o meno nell’intento.
Siete un duo ma lavorate anche indipendentemente. In mostra presentate sia lavori individuali sia realizzati a quattro mani.
Enrico Corte: Non siamo un duo. La nostra attitudine di base fin dagli esordi è quella di uscire dal convenzionale individualismo dell’artista visivo per confrontarci con altri ambienti e discipline. Noi due collaboriamo in base ad alcuni particolari progetti, ma attuiamo anche collaborazioni con “terze parti”: non necessariamente “artisti”, ma persone di altri ambiti che vivano la loro creatività sulla propria pelle e siano disposte a relazionarsi con noi su questo piano. In mostra è presente una piccola selezione di tali collaborazioni “a sei mani”: la scultura “da indossare” col piercer romano Pino Piercing e il fumetto concettuale col comic artist inglese Gary Splitter, entrambi del ‘97. Vi sono anche due opere realizzate da me in collaborazione con dei bambini.
Andrea Nurcis: A ben pensarci, nei tanti anni di conoscenza, frequentazione, convivenza, i progetti che abbiamo realizzato insieme sono pochi. Abbiamo sempre lavorato indipendentemente l’uno dall’altro. I nostri lavori sono così differenti tra loro che potrebbero apparire incompatibili, come le nostre stesse personalità artistiche. Siamo come dei musicisti che suonano insieme in cui lo stile dell’uno arricchisce e valorizza quello dell’altro. Detto questo, fin da ragazzi ci è sembrato importante suggerire una “terza via” del fare artistico: né artisti unicamente individualisti né tradizionale coppia di artisti, bensì attuazione di collaborazioni occasionali su progetti specifici anche includendo altre personalità, ma in cui comunque il rapporto tra noi due sia privilegiato.
Nelle vostre biografie leggo: “Enrico Corte procede come un chimico dell’immagine; Andrea Nurcis procede come un paleontologo dell’immagine”. Che cosa vi accomuna e perché avete deciso di lavorare in coppia.
E. C.: Le definizioni rappresentano il punto di vista del curatore della mostra, Gianluca Marziani. Apprezzo sempre la sua capacità immaginifica di trovare collegamenti filologici in due personalità differenti come me e Andrea. Se a volte lavoriamo in coppia è per alchimizzare le divergenze.
A. N.: Mi riconosco nella metafora del paleontologo. Faccio un lavoro di scavo nel corpo dell’arte e di me stesso, estraggo fossili, lavoro sulle scorie lasciate da altri scavi. Quello che raccolgo è da scoprire e interpretare; il mio studio è come il magazzino di un museo di paleontologia in cui viene catalogato e dato un valore importante a tutto ciò che proviene da una qualche profondità storica o personale.
Cagliari, Roma, campagna ravennate. Com’è cambiato il vostro lavoro negli anni?
E. C.: Io potrei aggiungere Londra, New York, Berlino; in verità per me i luoghi non contano molto. Non sono “based” (termine orrendo) da nessuna parte. In campagna ho uno studio immenso e le dimensioni delle opere tendono a svilupparsi in proporzione, ma il senso di un’opera non è custodito solo nella metratura.
A. N.: In questo momento storico non riesco a trovare delle ragioni valide per ritenere la dimensione metropolitana utile per un artista. Non credo più ai centri dell’arte che, come accadeva nel 1900, rappresentino i luoghi dove si elaborano nuovi linguaggi, e dove sia necessario esserci, confrontarcisi. Non ho nemmeno mai sentito la necessità di cercare protezioni laddove esistano delle comunità di persone che operano all’interno di un sistema artistico. Non sono mai andato a vivere in un determinato luogo per fare il mestiere dell’artista.
Vorrei partire dal titolo della mostra, EXCERPTⒶ. La A cerchiata non è un simbolo a caso. Anarchico popolarmente inteso, nel vostro caso, è riferito a una libertà di linguaggi e a una rottura con codici stabiliti e categorie?
E. C.: La A cerchiata inserita nel titolo è un artificio grafico molto funzionale per attirare l’occhio: trasforma un semplice titolo in un logo riconoscibile a distanza. Di sicuro rimanda anche alla struttura della mostra, pensata in base a una metodologia di selezione di opere e organizzazione degli spazi non rigida secondo un ordine canonico di tipo cronologico o tematico. Per sviluppare il viaggio labirintico e intricato di EXCERPTⒶ ci siamo affidati al principio di piacere ma anche al caso e alla sorpresa: in questo senso il percorso è anarchico.
A. N.: D’altra parte, il lasciarsi fluire nell’anarchia dei linguaggi nel perseguire una nostra visione, un nostro miraggio estetico, è ciò che ha sempre caratterizzato il nostro fare.
Usate molti mezzi, tra cui video, scultura, illustrazione, pittura, architettura, design… L’anarchia nell’arte però ha un suo lato debole. Prese singolarmente, le opere sembrano spesso appartenere a mani diverse. Non credete che sia comunque importante per un artista che il suo lavoro sia riconoscibile di primo acchito? Credo sia la cifra che rende gli artisti unici.
E. C.: EXCERPTⒶ è una doppia retrospettiva su due piani che raccoglie un estratto (excerpta, appunto) del nostro lavoro lungo un arco di decenni, visto che abbiamo incluso anche opere adolescenziali; il minimo che ci si possa aspettare dagli artisti è che in tale arco temporale ci sia stato del movimento sul piano della sperimentazione tecnica, dell’afflato. Riconoscibilità e inconfondibilità sono due concetti diversi; le nostre opere non sono confondibili con altro, e ciò che rende gli artisti unici può anche essere la capacità di sorprendere il pubblico e se stessi. Avrai sentito usare spesso termini come genderqueer, genderfluid, genderfree (e la loro controparte cisgender); sono parole oggi di moda ma noi “ci siamo dentro” da prima che venissero coniate. Esistono certi “cisgender dell’arte” a cui da subito viene appioppato un genere artistico che si trascinano dietro per tutta la vita: ne ho visti molti avvizzire nella strenua difesa della loro intoccabile identità, del loro “segno”.
A. N.: La mostra ci dà l’occasione di presentare lavori realizzati in varie epoche, anche lontane, come l’installazione multimediale all’Orto Botanico di Cagliari realizzata all’età di 18 e 19 anni, di cui presentiamo un video documentativo. È un lavoro che potrebbe essere stato fatto in anni recenti, non accusa per nulla i suoi quasi 40 anni e le tematiche e forme che vi erano presenti si ritrovano sviluppate nel tempo fino a oggi. Io presento una piccola parte di un altro progetto, quello dei Disegni Neri, iniziato nel 1981 e portato avanti con una coerenza e disciplina che rasenta l’ossessività patologica pur nella sua apparente confusione e anarchia, nel suo accumulo quotidiano di immagini. Penso che chiunque abbia visto EXCERPTⒶ potrà riconoscere una caleidoscopica varietà di forme e idee caratterizzate da una forte riconoscibilità del linguaggio e sensibilità personali nel trattare forme e materiali.
EXCERPTⒶ non segue un percorso cronologico. È come un viaggio dove il caso e la sorpresa diventano elementi cruciali.
E. C.: Ciò è favorito dalla peculiare struttura architettonica di Palazzo Collicola, che in parte esemplifica il perfetto spazio neutro per l’esibizione della contemporaneità e in parte contraddice queste convenzioni.
A. N.: L’architettura del Palazzo, nei suoi labirintici percorsi su più piani, sia lasciati integri nella loro forma storica sia rimodernati per soddisfare i criteri espositivi dell’arte di oggi, consuona molto bene con il nostro modo di fare arte, stratificato e articolato.
Alcuni aggettivi per descrivere la mostra.
E. C.: Sagittabonda: quando entri ti fa innamorare.
A. N.: Ora mi viene in mente il titolo di una canzone: Contort Yourself
È la prima volta che il Piano Nobile e il Piano Mostre vengono utilizzati per un singolo progetto espositivo. Il piano nobile del Palazzo è affrescato e arredato. Come avete interagito?
E. C.: Siamo orgogliosi di essere stati scelti come i forerunners del nuovo corso del museo, più orientato su mostre personali di ampio sviluppo. Installare le opere nel contesto storico del Piano Nobile non presenta grandi drammi: se non puoi forare le pareti per appendere i quadri, li si appoggia sui molti piedistalli, tavoli o supporti che l’arredamento storico fornisce. D’altra parte al Piano Mostre, con i suoi muri bianchi e immacolati, alcune opere sono “fuse” con le pareti stesse: ci fanno l’amore.
A. N.: Per quanto mi riguarda ho seminato nel Piano Nobile una serie di piccole sculture realizzate tra la fine degli Anni ’90 e gli inizi del Duemila, opere dalla presenza matericamente grumosa e informe che, accostate alla sontuosità barocca dell’arredamento, interagivano in un interessante contrasto. Il Piano Mostre invece può apparire organizzato in un’alternanza di piccole mostre personali mie e di Enrico, che talvolta s’incontrano nella mescolanza di certi lavori.
‒ Daniele Perra
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