Collezioni in mostra. Intervista a Roberto Casamonti
Parola a Roberto Casamonti, storico fondatore della Galleria Tornabuoni di Firenze e collezionista di fama internazionale. La sua raccolta è ora in mostra a Palazzo Bartolini Salimbeni, nel cuore della città toscana.
Firenze è ormai uscita dalle pur attraenti secche del culto esclusivo per l’arte rinascimentale. E rivela un’energia pienamente contemporanea, sia con gli eventi (magari non tutti propriamente impeccabili, Urs Fischer docet) promossi dal duo Nardella-Risaliti che con le mostre della Fondazione Palazzo Strozzi (da Ai Weiwei alla magnifica Nascita di una Nazione, appena inaugurata). Un altro balzo in avanti verso questa direzione si avrà dal 24 marzo con l’apertura al pubblico, a ingresso gratuito, della “Collezione Roberto Casamonti”, nel piano nobile di Palazzo Bartolini Salimbeni, lungo l’asse che congiunge Piazza Santa Trinita con l’elegante via Tornabuoni. Come per una sorta di trionfale ritorno alle origini, proprio in questa magnifica via Roberto Casamonti aveva fondato nel 1981 la galleria Tornabuoni Arte oggi diventata un influente network articolato in sette spazi fra l’Italia e l’estero (tra Firenze, Milano, Forte dei Marmi, Crans-Montana in Svizzera, Parigi, Londra). Eppure, questo gallerista così deciso e autorevole, mentre ci mostra in anteprima la stupefacente collezione messa su con una passione pluridecennale, rivela una profonda emozione, quasi una sorta di timidezza ansiosa che sembra chiedere conferme sulla bontà delle scelte fatte. E va detto subito che ha ragione Bruno Corà, curatore scientifico della Collezione diretta da Sonia Zampini, nel dire che questa “si configura come una delle maggiori raccolte d’arte moderna e contemporanea aperte al pubblico esistenti oggi in Italia”. Per un anno saranno esposte circa cento opere comprese fra la fine dell’Ottocento e i primi Anni Sessanta del ventesimo secolo, poi toccherà ad altrettante distese fra il 1960 e i giorni nostri.
L’INTERVISTA
Roberto Casamonti, allora è vero che per andare avanti, verso il futuro, bisogna anche saper guardare indietro. In pratica, acquistando il piano nobile di questo palazzo rinascimentale progettato da Baccio d’Agnolo, lei è tornato in quella via Tornabuoni da cui era partito quasi quarant’anni fa…
Se non avessi trovato un luogo straordinario come questo, nel cuore di Firenze, probabilmente non avrei neppure avviato questo progetto a cui pensavo da qualche anno. È il posto ideale, mi è costato un grande impegno comprarlo e ristrutturarlo nel modo migliore possibile, ma ora è la sede perfetta per la mia collezione che non intendo alienare per nessuna ragione al mondo.
Come è nata la sua passione per l’arte del ‘900 che qui è magnificamente rappresentata, con un’antologia pressoché completa?
Sono autodidatta e lo dico con orgoglio. Tutto è cominciato quando avevo dieci anni e accompagnai mio padre Ezio nello studio di Ottone Rosai, gloria della pittura toscana novecentesca, mentre dipingeva un suo ritratto. Rimasi in silenzio per ore, a guardare quel mondo solenne, fra tubetti di colore, odore di trementina e stracci per pulire i pennelli. Nel corso degli anni ho seguito ancora mio padre che sceglieva le opere di Ardengo Soffici e Lorenzo Viani, poi fu la volta di Casorati e Carrà, per arrivare a de Chirico. Quindi mossi i primi passi da solo, un po’ incerto, interessandomi a Campigli, Dova, Mafai e Guttuso. Fra la fine degli Anni Sessanta e l’inizio dei Settanta mi sono appassionato a linguaggi completamente diversi, con le opere di Burri, Fontana, Rotella, Vedova, Dorazio, Boetti. Ho quasi sempre agito guidato dall’istinto e dalla passione, cercando soprattutto l’opera rara, particolare, fuori dal gusto mainstream. Ne cito una, per fare un esempio: Uccelli (1947) di Renato Birolli, una tecnica mista, materica, su faesite che sembra anticipare addirittura Fontana.
Diciamoci la verità, questo in pratica è un museo. Che cosa è scattato in lei all’improvviso per farla passare dall’attività privata delle sue gallerie alla vocazione “pubblica” di una raccolta del genere?
Lei è troppo generoso, questo non è un museo, la definisco semplicemente “Collezione Roberto Casamonti”, gestita da un’Associazione culturale che non ha alcuno scopo di lucro e volta a far conoscere meglio l’arte moderna e contemporanea anche attraverso presentazioni di libri, seminari, borse di studio per giovani artisti. Amo moltissimo queste opere e vorrei che rimanessero alla mia famiglia, ma sento l’esigenza che non restino chiuse nelle nostre case per essere invece esposte al pubblico. Desidero mostrare le scelte di una vita sperando che Firenze e tutti i visitatori possano apprezzare questo spazio. Corà dice che il mio è un autentico gesto da mecenate, un atto di riconoscenza verso la mia città, ma io arrossisco.
Pensa di trovare una sinergia con le istituzioni culturali fiorentine?
Certamente, ho avviato contatti in questo senso sia con l’amministrazione comunale che con la Fondazione Palazzo Strozzi. Sarà importante creare una sorta di circuito condiviso che stabilisca connessioni fra antico e contemporaneo.
È veramente impossibile citare tutti i capolavori che saranno offerti al godimento dei visitatori. Si va da un Boldini del 1890 (Ritratto femminile) e da In ricognizione (1899) di Fattori al primo Novecento di Balla (Grande serata nera al Salone Margherita, del 1903-04) e Boccioni (Il gelso, del 1908), al Tozzi (Il pittore, del 1931) che fu nella collezione Rockfeller, ai tanti de Chirico (da La passeggiata del 1909 a Ettore e Andromaca del 1950), al bellissimo Savinio (L’orateur, 1932), a Casorati, Sironi, Licini, Morandi e Magnelli, per non parlare, nel contesto internazionale, di Klee, Kandinsky, Picasso, Braque, Soutine, Fautrier, Hartung, Mathieu. E poi sono di altissimo livello gli Anni Cinquanta-Sessanta, con cinque spettacolari Fontana, tre Burri, due Marino Marini, due Capogrossi strepitosi, tre Castellani, tre Dorazio emozionanti, Afro, Turcato, Vedova, Klein, Kounellis, Manzoni, Rotella, Tancredi, Warhol. Fra questi nomi ce ne è qualcuno che si lega a qualche ricordo particolare?
Come scegliere? Sono tutte opere a cui sono affezionatissimo, per un motivo o per l’altro. La passione per de Chirico l’ho ereditata da mio padre che ne possedeva uno bellissimo: l’avevo venduto, me ne sono pentito e dopo dieci anni l’ho ricomprato. Invece non ho dormito per tre notti quando ho pensato e direi sognato di comprare un Picasso, riuscendoci. Tra gli artisti a cui sono debitore dovrei citare per primo Fontana: l’ho amato quando non lo voleva ancora quasi nessuno. E poi vorrei ricordare Piero Dorazio, con il quale ho avuto un rapporto speciale, una vera amicizia, un uomo e un artista straordinario da cui ho imparato molto. Ora penso al presente, ho comprato opere importanti di Tony Cragg, Anish Kapoor e Bill Viola. Non riesco proprio a fermarmi.
‒ Gabriele Simongini
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