Vettor Pisani, la performance, il ricordo. L’intervista alla moglie Mimma Pisani
Al Museo Carlo Bilotti di Roma le opere di Vettor Pisani dialogano con la performance scritta da Mimma Pisani e interpretata da Gaia Riposati e dal primo ballerino del Teatro dell’Opera di Roma Manuel Paruccini. Con Marco Valabrega al violino.
Una mostra senza rimpianti quella pensata e voluta fortemente da Mimma Pisani per il Museo Carlo Bilotti. L’intervista realizzata durante questa occasione ripercorre la lunga carriera di Vettor Pisani (Ischia, 1934 – Roma, 2011), che insieme a lei ha vissuto al di sopra di ogni tempo e tecnica oltre cinquant’anni anni di attività artistica.
Qual è il ruolo della donna all’interno delle opere di Vettor Pisani?
Ci sono anch’io all’interno delle opere di Vettor Pisani, nelle sue opere c’è una bipolarità fortissima. È sempre il nostro rapporto che è venuto a galla, anche in performance a cui lui poi non ha più partecipato. E questo eterno polemos che c’è tra il maschile e femminile è ancora più forte se si è artisti perché si pensa di possedere la verità e la verità è simbolica. La simbologia, quella eterna, è sempre uguale, cioè dà un ruolo al maschile preminentemente spirituale, mentale e concettuale e invece alla donna il ruolo della materia, dell’eros.
Cosa racconta Orazione (2018), la performance alla quale abbiamo assistito durante l’inaugurazione?
Sono i mille volti del femminile rispetto al maschile: le Medee, le invasate, le donne obese e tutte le donne che rischiano di avere una loro predominanza rispetto a questo dio uomo che è messo sul tavolo. Vettor ironizzava su questo, cercava di capire questo rapporto che forse anche per lui è stato estremamente difficoltoso.
Quindi una performance che traduce e ironizza sul rapporto uomo-donna che voi stessi stavate sperimentando?
Del rapporto tra due artisti: Vettor artista acclamato, io scrittrice però con una visione del femminile molto forte.
Questa performance, dunque, era la vera essenza di questa mostra. È stata scritta da Vettor Pisani o è un suo omaggio all’artista?
Tutta la mostra è un mio omaggio a lui, è stata voluta e pensata da me con le opere di Vettor. Ho pensato a questa performance continuando l’opera che avevamo iniziato insieme e partendo dall’idea del cibo perché proprio il cibo è fondamentale come divaricazione tra il maschile e il femminile.
Questa non è la prima retrospettiva che la città di Roma dedica all’artista. La prima è stata al Museo del Louvre di Roma a meno di un anno dalla sua morte.
Sì, e anche lì c’era Orazione, una versione precedente della performance, pensata da me e da Vettor. Quella presentata in questa occasione però è diversa, ironica, con un tavolo che diventa come Il Grande Vetro di Duchamp: fatto di sotto e di sopra, di visibile e di invisibile.
Quindi si tratta di una seconda versione quella alla quale abbiamo assistito?
In realtà nel 2007, ancor prima, noi facemmo con Vettor una prima versione di Orazione presso la Domus Sessoriana.
Voi siete stati definiti una coppia cosmica per il vostro sodalizio dove ricerca poetica e figurativa si incontrano. Come vi siete conosciuti?
Ci siamo conosciuti a Bari, io sono di Bari e lui era di passaggio. Si faceva teatro a Bari Vecchia e Vettor era lo scenografo di questo teatro fatto da questo gruppo di amici baresi. Era un nucleo di amici, c’era anche Michele Mirabella e tanti altri. Poi sono entrata anch’io. In seguito ci siamo trasferiti a Roma, lui ha continuato a lavorare a teatro e poi ci siamo anche sposati.
Lei vive ancora in via Paolo Caselli, in quella casa che era stata presa di mira dalla procura di Roma visto che faceva parte di un conglomerato abusivo?
No, no. Quella casa è stata sgomberata, Vettor l’aveva scelta per la sua posizione. Era il suo studio, io abitavo vicino al Colosseo. Solo nell’ultimo periodo Vettor decise di andare a vivere lì perché i prezzi erano diventati folli. Poi mi sono aggiunta io nell’ultimo periodo, ma ci abbiamo vissuto pochissimo.
Che rapporto aveva Vettor con quel luogo?
Quella casa Vettor l’ha amata perché era di fronte al cimitero degli inglesi e di fronte soprattutto alla Piramide, che è stata una sua ossessione: tutto il suo lavoro si svolge attorno al tema della piramide, alla geometria esoterica, occulta, e alla sfinge che rappresenta l’enigma, l’ignoto, il misterioso.
Che cosa è rimasto di irrisolto nella sua opera, qualcosa di incompleto?
No, io credo che un artista si suicidi quando forse pensa che l’opera è stata proprio completata.
Torniamo alla mostra. I corpi smembrati provengono da una cultura surrealista o in parte alludono a un corpo che diventa oggetto?
No, corpo ironico, ironizzante, diffidente, mai oggetto. Questi smembramenti derivano anche da una cultura surrealista, da Hans Bellmer ad esempio, che Vettor ha sempre amato molto. Quindi uno smembramento del proprio corpo per trovare sempre una spiritualità. Sono smembramenti metaforici, non è un’arte da macelleria, come ad esempio il gruppo viennese. Il lavoro di Vettor è stato sempre estremamente simbolico e mentale, ecco perché io, con tutto il mio femminismo, sono potuta entrare e relazionarmici.
Lei ha curato anche l’allestimento della prima sala, dove sono posizionati otto ripiani paralleli che ha definito “il sentiero delle sculture”.
Sì, ho voluto ripristinare il dialogo con Vettor, ecco perché ho fatto questa mostra, per riallacciare dei fili con Vettor. Ma ho fatto anche delle cose che Vettor non avrebbe mai fatto, ad esempio proprio questo sentiero, con dei ripiani molto alti e tutti uguali. Io penso che Vettor una cosa così uguale e parallela non l’abbia mai fatta. Avevo bisogno di mettere un binario, una rotaia, a questo mio dialogo, a questo ricordo di Vettor e di fare, attraverso Gaia Riposati in mia vece, un percorso dentro una rotaia di memorie di sculture di Vettor.
E cosa ci dice delle altre sale?
La mostra, a ingresso gratuito, espone diverse opere di grandi e piccoli dimensioni, pittoriche e scultoree, raccolte attorno al tema del cibo. Vettor ha fatto grandi opere sul cibo che sono altrove come il busto della Venere di Milo ricoperto di cioccolato e il pianoforte con le mele ma queste sono le opere che ho potuto raccogliere a Roma e nel Lazio, tranne due che mi sono state portate dal nord di persona.
Dopo la morte di Vettor come procederà il suo lavoro? Potremmo aspettarci un lavoro tutto suo che non senta l’influenza di Vettor?
Di mio solamente mio uscirà, spero durante la mostra, un mio romanzo. Si chiama Muraglia e si svolge presso una famiglia pugliese, visto che io sono pugliese. È sempre sul cibo e sulle patologie legate a questo. Spero di farlo uscire per tempo al Museo Bilotti, prima che la mostra chiuda.
‒ Donatella Giordano
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