Musei e digitale. Intervista a Nicolette Mandarano
L’indagine sul rapporto fra musei e linguaggi digitali fa tappa in Italia. La parola va a Nicolette Mandarano, Digital Media Curator alle Gallerie Nazionali di Arte Antica di Roma Palazzo Barberini e Galleria Corsini, uno dei musei statali coinvolti nella riforma Franceschini.
Quanto conta (o dovrebbe contare) la comunicazione digitale e lo sviluppo sul digitale in un museo per te? E per l’istituzione presso cui lavori?
Oggi la comunicazione digitale è – o meglio dovrebbe essere – parte fondamentale di un museo. Finora si è sempre sottolineata la differenza fra fisico e digitale, invece penso che il museo vada inteso come un’unica entità. Alle Gallerie si è cominciato, dal gennaio 2016, a lavorare intensamente sul digitale. È stata progettata una nuova identità visiva, è stato lanciato un nuovo sito web e sono stati aperti o rinnovati i profili social. Tutto studiato per dare una nuova immagine alle Gallerie.
Quanto la digitalizzazione delle risorse e dei processi influisce sulla possibile efficacia della comunicazione digital e social?
La digitalizzazione delle risorse è fondamentale, anche se è un processo che richiede del tempo. Noi stiamo procedendo per gradi. L’idea è quella di ampliare man mano la collezione digitale sul sito e contemporaneamente di sviluppare nuovi sistemi di fruizione interna. Intanto utilizziamo i profili social per far conoscere le nostre collezioni e tutte le attività che vengono organizzate (mostre, presentazioni di libri, convegni, laboratori didattici).
Per un’istituzione come la vostra, cosa significa svolgere un’attività “relevant”?
Svolgere un’attività relevant significa coinvolgere il più ampio pubblico possibile, mirare a essere inclusivi e fornire a ognuno ciò di cui sente il bisogno.
Che competenze deve avere chi si occupa di comunicazione digitale in un museo o in un’istituzione culturale? E quali caratteristiche personali (soft skill)? È un profilo cui sono richieste competenze di tipo “tecnico”?
Penso che la persona che si occupa di comunicazione digitale in un museo debba avere una grande conoscenza delle collezioni e della storia dell’istituzione per cui lavora. Deve essere molto flessibile e capace di affrontare “crisi” che possono nascere online, spesso anche inaspettatamente. Deve avere una grande capacità di relazionarsi con lo staff del museo per organizzare al meglio una comunicazione di qualità, rendendo i contenuti con un linguaggio scientificamente corretto, ma accessibile a tutti, e deve certamente sapere dialogare con il pubblico online, rispondendo alle richieste o risolvendo problemi. Ovviamente deve conoscere al meglio gli strumenti che utilizza, deve saper adeguare la comunicazione a ogni mezzo scelto, cercando sempre lo stile più adatto. Deve monitorare costantemente i dati per poter effettuare gli aggiustamenti necessari. Ritengo, inoltre, che debba avere una visione ampia per interpretare i cambiamenti, dell’istituzione, della società e dei propri pubblici.
Online e offline sono due mondi o uno solo? Ha senso cercarne il confine? Quando i processi di integrazione delle figure potranno dirsi conclusi, avrà senso usare ancora il suffisso “digital” davanti ai nomi dei ruoli?
Come ho già detto, ho difficoltà a intenderli come due mondi separati. In ogni momento tutti noi siamo capaci di varcare il confine dall’analogico al digitale e ritorno senza neanche accorgercene. Forse un giorno non sarà più necessario anteporre il suffisso digitale, ma spero che prima saremo stati capaci di trovare una definizione condivisa delle professioni culturali (del digitale) anche in Italia.
Come valutate l’andamento e l’efficacia delle comunicazioni online per Barberini-Corsini? Li mettete in relazione diretta con l’afflusso fisico dei pubblici?
Non avrei mai pensato di poter cambiare idea. Per molto tempo ho pensato che non ci potesse essere – o meglio – che non avesse senso cercare una relazione fra visitatori reali e pubblico online che seguiva i musei sul web o sui social. Oggi mi sono parzialmente ricreduta. Uno degli obiettivi fissati con il direttore delle Gallerie, Flaminia Gennari Santori, era quello di far conoscere di più e meglio Palazzo Barberini e la Galleria Corsini ai romani. Abbiamo così iniziato un intenso lavoro di diffusione dei contenuti relativi alle due sedi museali sui social, con post pensati appositamente per avvicinare i musei ai romani. Il lavoro sul territorio ha iniziato a dare i suoi frutti. Dai questionari che stiamo somministrando stiamo scoprendo che, rispetto allo scorso anno (dopo circa un anno di attività digitale), molti visitatori scrivono che ci hanno scoperto tramite il sito web o – i più giovani – attraverso Instagram. Sappiamo inoltre che il sito web e i profili social sono molto visitati da utenti localizzati su Roma e il territorio circostante, e credo che la comunicazione digitale, insieme a tutte le altre attività svolte, abbia certamente aiutato il notevole incremento dei visitatori nel 2017.
Infine qualcosa su di te. Raccontaci della tua formazione, anche professionale.
Sono una storica dell’arte, ma da sempre mi sono interessata a quella materia che un tempo veniva chiamata Informatica applicata ai Beni Culturali. Inizialmente mi occupavo di valutazione di siti web museali e di postazioni multimediali per verificarne l’efficacia comunicativa; poi l’evoluzione costante del web, la nascita dei social e l’incontro, nel 2013, con le recensioni che i visitatori rilasciavano sul web in relazione ai musei mi hanno posto davanti nuove sfide. E così la comunicazione (digitale) del patrimonio culturale al più ampio pubblico possibile è diventata non solo il mio lavoro, ma anche il mio obiettivo e la mia passione.
In ultimo: un libro da consigliare ai colleghi. Quello che trovi più geniale e ispirante di tutti.
Il ricchissimo Partecipatory museum di Nina Simon e Sei lezioni americane di Italo Calvino, per non perdere mai di vista la “leggerezza pensosa”.
‒ Maria Elena Colombo
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