Fra arte e scienza. Intervista a Carsten Höller
Parola all’artista belga in scena nella cornice di Palazzo Strozzi, a Firenze, con un progetto che unisce creatività e studi scientifici.
In occasione dell’apertura della mostra-evento di Carsten Höller (Bruxelles, 1961) a Palazzo Strozzi, abbiamo intervistato l’artista tedesco, protagonista a Firenze di un progetto che, come afferma Arturo Galansino, rappresenta una prima mondiale per come è strutturato, e riporta in città quel connubio fra arte e scienza che la caratterizzò durante il Rinascimento. Un evento che dimostra come Firenze sappia andare oltre il passato, in maniera rigorosa ma anche originale.
La scelta di Palazzo Strozzi è dovuta a ragioni estetiche o concettuali, oppure semplicemente perché, da un punto di vista architettonico, il cortile ben si adatta ad accogliere la struttura degli scivoli?
Per la verità, è stato Palazzo Strozzi a scegliere me, nel senso che ho ricevuto una proposta da parte del direttore Galansino, e ho colto l’occasione per questa nuova esperienza nella quale ho coinvolto il professor Stefano Mancuso. Volevo realizzare qualcosa che avesse a che fare con il mondo delle piante, ma l’idea dello scivolo è nata soltanto dopo un sopralluogo a Firenze. E sicuramente il cortile ha agevolato la scelta.
Lei ha fatto dell’indagine della natura umana un punto chiave del suo percorso artistico. Adesso l’affianca all’interesse per il mondo delle piante; da questo punto di vista, si tratta di un’evoluzione del suo percorso artistico?
Se guardiamo soltanto al mio lavoro artistico, sicuramente si tratta di un passo avanti. In realtà, però, se guardiamo alla mia formazione accademica, si tratta di un passo indietro, di un “ritorno alle origini”, perché ho conseguito un dottorato in scienze dell’agricoltura all’Università di Kiel. Con questa mostra-esperimento si può dire che l’inizio è scientifico e il finale è artistico, perché ci sono le emozioni del pubblico con il quale ho cercato di creare la più ampia interazione possibile.
In questo progetto, dove finisce la parte artistico-scientifica e dove comincia quella della spettacolarità? In altre parole, che ruolo riveste l’aspetto ludico nella comunicazione al pubblico? Già con Double Carousel with Zöllner Stripes al MACRO nel 2011, l’aspetto ludico ebbe molta rilevanza. Lo ripropone oggi, fortificato da quella prima esperienza?
Il confine viene stabilito soggettivamente, e appunto varia da persona a persona. Del resto, l’esperienza è aperta a tutti, uomini e donne, adulti e ragazzi, appassionati d’arte, appassionati di scienza, e semplici curiosi. Ognuno, quindi, dell’esperienza prenderà quello che più ritiene opportuno. Rispetto al MACRO, questa è una nuova tappa, completamente diversa. E così ho voluto, perché non mi piace cristallizzarmi nel lavoro, ma studiare le differenti dinamiche afferenti all’esperienza artistica.
Per come questo progetto fiorentino è stato realizzato, costituito com’è da stimoli psicofisici e strumenti interattivi, è esatto dire che si riallaccia a Synchro System, con cui “debuttò” in Italia diciotto anni fa?
Sì, il percorso è quello, però, come detto sopra, le dinamiche sono diverse. A Roma avevo lavorato con i fenomeni allucinatori, qui invece si studiano le relazioni emotive fra individui e piante. In ogni caso, resta l’indagine sulla sfera cognitiva, che qui però coinvolge le piante, e non solo l’individuo come era accaduto sinora.
Lei ha una lunga esperienza di esposizioni in Italia. Ha notato delle differenze nelle reazioni, fra il pubblico italiano e quello, ad esempio, tedesco o comunque nordeuropeo? Nel caso, pensa che queste differenze possano essere dovute alla diversa sensibilità verso la ricerca scientifica?
A questa domanda non saprei rispondere, perché non indago mai le reazioni del pubblico, al di là del coinvolgimento con le mie installazioni.
Quali pensa o vorrebbe che fossero le applicazioni pratiche degli studi che lei sta conducendo attraverso la pratica artistica?
Anche in questo caso, sono in difficoltà nel rispondere, perché mi limito a pensare che le mie azioni artistiche, anche quando toccano la scienza, siano dei suggerimenti, degli stimoli, delle “provocazioni”, non finalizzate a effetti concreti, sicuramente non nel breve periodo. Fra dieci, venti, trent’anni… chissà.
In linea generale, pensa che il suo studio possa avere ricadute sulla maniera in cui l’umanità guarda alla natura?
Non mi illudo che l’arte possa avere tanto potere sull’opinione pubblica. Mi limito a educare i miei figli.
Fra qualche decennio cosa si augura resti, nel sentire della società, di un progetto come questo?
Certi giudizi li dà solo la storia, come accennavo prima. Del resto, in futuro potrebbero esserci grossi cambiamenti nel sentire sociale, e quello che oggi è giudicato importante potrebbe non esserlo più. Anche le mie proposte artistiche corrono i rischi di questo possibile processo. E poi, a ben guardare, io mi limito a lanciare dei segnali, delle riflessioni, ma l’impatto preciso non lo saprei giudicare.
Fra i suoi molteplici interessi c’è anche il cinema. Come procede il progetto Fara Fara? Possiamo aspettarci di vedere realizzato il lungometraggio previsto?
Anche in questo caso si è trattato di un “seme” lasciato sul cammino, dell’implementazione di un’idea, legata alla realizzazione di un film, di cui ho appunto seguito tutta la fase progettuale. Ma dubito che, per i tempi che richiede, si passerà mai alla fase realizzativa. L’auspicio è che l’idea venga raccolta da qualcun altro, ma al momento è prematuro fare ipotesi.
‒ Niccolò Lucarelli
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