Artisti da copertina. Parola a Lisa Dalfino & Sacha Kanah
Parola al duo di artisti che ha realizzato l’immagine di copertina del nuovo numero di Artribune Magazine, in distribuzione a partire dai prossimi giorni.
Ricerca scientifica e architettura, intesa “in senso primigenio”, sono le chiavi di lettura per decifrare il mondo di Lisa Dalfino e Sacha Kanah, che si definiscono “designer di ambienti ed ecosistemi inediti”. Ogni loro opera presuppone un lungo periodo di analisi, prove, test ed esperimenti incessanti nell’uso dei materiali e di tutte le loro possibili variabili. Qui la realtà e la finzione si mescolano in maniera magistrale, perché ciò che è naturale diventa, all’apparenza, visivamente indecifrabile.
Carta d’identità.
Lisa Dalfino / 9-9-1987, Como / Ha studiato all’Accademia di Brera.
Sacha Kanah / 17-11-1981, Milano / Ha studiato all’Accademia di Brera e al Politecnico di Milano.
Quando avete capito che volevate fare gli artisti?
L.D.: A sedici anni, camminando per una selva oscura.
S.K.: Guidando attraverso un deserto a vent’anni.
Avete uno studio?
Sì, un laboratorio arena.
Quante ore lavorate al giorno?
A volte anche 25.
Preferite lavorare prima o dopo il tramonto?
In studio notte e giorno si rimescolano. Ci alleniamo a disabituarci.
Lavorate sempre insieme?
Non necessariamente.
Che musica ascoltate, che cosa state leggendo e quali sono le pellicole più amate?
L.D.: Lirica, techno, il mio gatto che fa le fusa. Sto leggendo L’anello di re Salomone e Momo. I miei film preferiti sono Fanny e Alexander, Dumbo, Dreams, Fata Morgana.
S.K.: I suoni della foresta pluviale all’infinito, Ravi Shankar, hardcore. Sto leggendo L’isola del tonal e Meeting the Universe Halfway. Come film? L’enfant sauvage e Fitzcarraldo.
Un progetto che non avete potuto realizzare, ma vi piacerebbe…
Spedire delle opere in orbita con un satellite.
Qual è il vostro bilancio fino a oggi?
Stiamo esplorando dimensioni eccezionali con un potenziale inesauribile.
Come vi vedete tra dieci anni?
Più simili agli uccelli.
Ogni vostra opera presuppone un processo molto lungo.
Siamo designer di ambienti ed ecosistemi inediti. Il nostro lavoro gravita attorno alla ricerca e alla definizione delle condizioni di possibilità, tecniche e discorsive, attraverso cui l’interazione tra agenti di un dato sistema possa generare delle entità con un proprio potenziale linguistico e narrativo. Si tratta di un processo di selezione e stratificazione quasi mai lineare, dove ogni apparato, per produrre fenomeni autentici, deve possedere una propria anatomia, sofisticata e invisibile. Indaghiamo nature ignote e immaginifiche attraverso uno studio trans-disciplinare sulle dinamiche di materializzazione sistemica, con le quali elaboriamo alfabeti e strutture di veicolazione del caso.
Quanto la scienza influenza il vostro lavoro?
Tramite la scienza siamo in grado di osservare fenomeni fisici e sintetizzarne la complessità. Tutte le scienze, nelle loro declinazioni categoriali, sono determinanti nella definizione di basi sistemiche solide. Per ogni opera elaboriamo un metodo scientifico irriproducibile in termini di ricerca e sperimentazione, dove studiamo l’intelligenza della materia con un approccio trasversale. Le strategie di biomimesi rivolte a nature ignote ci aiutano a comprenderne le potenzialità formali e linguistiche.
L’architettura sembra essere un elemento importante.
Intendiamo l’architettura in senso primigenio, espansa all’anatomia strutturale e all’organizzazione topologica di ecosistemi, in cui ogni elemento è in costante concertazione. Con l’architettura regoliamo le intensità, i limiti, le tonalità, le possibilità di evoluzione, gli orizzonti. Come in Powers of Ten di Charles e Ray Eames, osserviamo assonanze strutturali a distanze contrapposte dell’Universo. Dalla catalogazione e osservazione delle leggi spaziali che governano le interazioni tra fenomeni generiamo nuovi ordini compositivi e naturali.
Realtà e finzione: un rapporto complesso.
Ci interessa molto come questo rapporto possa generare delle nicchie pre-arcaiche di sospensione del linguaggio. L’interazione tra realtà e finzione, intesa come speculazione intellettuale, ci permette di formalizzare presenze narrative che evocano spazi di relazione culturalmente sospesi tra materialità e significato. Le nostre opere non hanno scala, lo spostamento fisico dei confini linguistici impone una revisione delle coordinate di riferimento.
Com’è nata l’immagine inedita che avete creato per la copertina di questo numero?
Stiamo progettando delle topografie di interazione per sistemi di forze vive, dove i fenomeni si innescano per geometria. L’immagine è il dettaglio di un esperimento con fuochi fatui, nebulose e miraggi.
‒ Daniele Perra
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #43
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