Fotografia e natura. Intervista a Lutz & Guggisberg
In mostra presso la Collezione Maramotti fino al 30 dicembre 2018, il duo artistico di Zurigo si racconta. A partire dalla rassegna allestita a Reggio Emilia.
Nelle opere di Andres Lutz (Wettingen, 1968) e Anders Guggisberg (Bienne, 1966), duo artistico di Zurigo, gli ambienti appaiono rovinati da eventi calamitosi o immersi nei residui di una tormentosa ascendenza umana. Si presupporrebbe un carattere monitorio, se non fosse che il sentimento di stupefazione attivato con la poetica del dettaglio e un’oculata giustapposizione pittorica plachino l’impronta precettistica, consentendo la partecipazione a un’idea di Natura che reagisce alla violenza della civilizzazione. Nella dimensione materica, d’altro canto, si svolge la sovversione del rapporto con l’oggetto, che favorisce un modo diverso di pensarsi uniti al mondo.
Inaugurata nell’ultima edizione di Fotografia Europea, la mostra sviluppa alcuni percorsi cari alla Collezione Maramotti, della fotografia, della pittura, per via degli interventi pittorici sulle stampe, e della riflessione sul rapporto uomo-natura. Ne abbiamo parlato con i due artisti in occasione della loro personale.
Perché questa mostra si chiama Il Giardino?
Abbiamo scelto questo titolo in chiave metaforica. Giardino vuol dire tutta la superficie terrestre influenzata dall’uomo e dalle sue attività macro-culturali, ma anche agricoltura, giardinaggio, industrie, abitazioni, strutture stradali e così via, l’intero strato di civilizzazione che ricopre la terra.
Come è nato il progetto?
Abbiamo trovato dei giardini abbandonati che sembrano essere stati scenari di una guerra o di un uragano. Nonostante ciò la primavera è arrivata con una grande varietà di piante, fiori, cespugli e alberi ancora nel terreno che continuano a crescere, trovando la loro strada attraverso lo strato di spazzatura umana, ed è stato questo, quindi, a rendere lo spettacolo ancora più interessante e poetico. Poi quando abbiamo sentito che il tema per Fotografia Europea sarebbe stato “Rivoluzioni” ci è sembrato potesse adattarsi bene al nostro lavoro. Se noi pensiamo alle Rivoluzioni come a un miscuglio tra distruzione e innovazione, di solito è qualcosa che già esisteva e che torna in una nuova forma. Se ci si fa caso, c’è sempre un aspetto ciclico che ritorna in ogni rivoluzione.
Dietro gli scheletri e i rottami della modernità vi è la natura come elemento primario che nessuno può sopraffare. In che rapporto ritenete sia l’uomo con essa?
Cultura e natura sono due termini opposti che hanno sempre cambiato e mescolato il loro significato. Oggi non c’è ambito che concerne il naturale che non sia influenzato dall’uomo. In questo senso la natura, intesa come riserva, non sembra altro che un fantasma. D’altra parte, puoi guardare una città, un’autostrada, una fabbrica come se tu stessi guardano un fungo fuoriuscire dal terreno. Quindi, se vuoi, tutto è natura e ogni cosa deve seguire la grande regola della creazione e della distruzione.
Quale ruolo ha la pittura nel vostro lavoro?
Nei lavori in mostra la pittura ha il ruolo di qualcosa che si aggiunge a qualcosa che già esisteva. È una divertente combinazione tra fotografia e pittura. Il divertimento è importante perché vuol dire che riesci a farti ispirare da ciò che ti sta intorno.
Dei vari linguaggi che adoperate ce n’è uno in particolare che ritenete vi appartenga di più? Se sì, perché?
Lavoriamo insieme da più di vent’anni e, dal momento che ci consideriamo persone allegre, abbiamo prodotto cose con qualunque tipo di media, visibili sul nostro sito web. Quindi, come accennato, il momento di serendipity, ovvero una miscela di pura coincidenza e intenzione, gioca una parte rilevante nel nostro lavoro. Puoi vederlo ad esempio nelle sculture che fanno parte della mostra, che consistono in un misto di cose trovate a Reggio Emilia e di cose portate da noi.
‒ Domenico Russo
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