Da Raymond Roussel a Palermo. Conversazione con Luca Trevisani
Maria Rosa Sossai ha intervistato Luca Trevisani, ideatore del progetto “Raymond”, in corso a Palermo nel celebre hotel in cui Raymond Roussel si suicidò nel 1933.
Iniziamo da una data, quella della morte di Raymond Roussel, suicidatosi nella stanza 224 del Grande Hotel et des Palmes di Palermo il 14 luglio 1933, giorno del festino di Santa Rosalia, patrona della città. Il facchino Antonio Krentz trova il suo corpo supino su un materasso a terra. La tua avventura invece ha inizio il 27 luglio 2015, quando vieni a Palermo per preparare la tua mostra personale dedicata a Raymond Roussel presso il Museo Civico di Castelbuono. E si concluderà il 29 luglio prossimo quando inaugurerà la tua seconda mostra personale sempre al Museo di Castelbuono dal titolo Raymond controfigura. E in questo lungo intermezzo hai costruito il progetto Raymond in collaborazione con Olaf Nicolai, invitando trentuno artisti internazionali a soggiornare nell’hotel e a lasciare tracce del loro passaggio nei vari ambienti. Cosa ti ha spinto a lavorare per anni sulla vicenda umana e artistica dello scrittore francese? Faccio delle ipotesi: la sua eccentricità, la visionarietà delle sue opere, l’influenza che esercitò sugli scrittori francesi, il libro Atti relativi alla morte di Raymond Roussel di Leonardo Sciascia che riscostruisce gli atti giudiziari?
Roussel è un vero visionario, il suo lavoro è la celebrazione dell’immaginazione, e l’immaginazione è una forza primigenia incredibile, è un atto di resistenza, è quella cosa che ci fa vedere il mondo come ancora non è, ci fa progettare il non esistente, realizzare il cambiamento, inseguire il sogno.
L’opera di Roussel è così originale e dirompente da essere stata inattuale per moltissimo tempo, incompresa per decenni, respinta e perfino derisa. Roussel è un fallito di successo, dall’eredità indiscutibile: non esiste Duchamp senza Roussel, non esiste la macchina celibe per come la conosciamo, molto del secolo scorso è rousseliano, e lo è così profondamente da non saperlo chiaramente, come quando ci si ammala di un virus e questo lavora silenziosamente, senza farsi visibile.
Tra gli interventi realizzati dagli artisti da voi invitati, quali ti sembrano più vicini alla visionarietà radicale di Roussel?
Francesco Cavaliere e i suoi viaggi da fermo, la sua oralità allucinata, euforica, delicata e spiazzante. Michael Dean ha realizzato un’incarnazione scultorea lucidissima, precisa e implacabile del metodo compositivo che Roussel illustrò in Comment j’ai écrit certains de mes livres, la potete vedere se prenotate la stanza 347 del Grand Hotel et Des Palmes. Il profumo che Jason Dodge ha realizzato per il personale dell’hotel è un gesto poetico tanto leggero quanto esplosivo, dolce e profondo, dandy e politico. Haris Epaminonda ha concepito un’atmosfera fatta di suoni che si ripetono senza preavviso, qua e là negli spazi dell’hotel, un’architettura eterea continua ma frammentata, sempre uguale ma sempre diversa a se stessa. Maurizio Mercuri ha messo a dieta due persone per tutta la durata della mostra, con la sua grammatica flemmatica ha disegnato la loro alimentazione, facendone sculture viventi sotto copertura. Tutti i lavori sono radicali a mio avviso, perché sono raffinati e capricciosi, vivono di vita propria e ingaggiano un combattimento con la realtà, non sono stati creati per fare bella mostra di se stessi, ma esistono a prescindere dallo sguardo che si scoprirà. Raymond è come uno zoo che ospita forme di vita poetiche.
In occasione della biscuit-soirée, organizzata da Olaf Nicolai il giorno dopo l’opening a Villa Airoldi, per onorare l’ottantacinquesimo anniversario del viaggio a Palermo di Raymond Roussel, mi hai raccontato dell’esperienza che ha dato una svolta al tuo modo di lavorare. Quando hai saputo dell’esistenza dell’ultimo rinoceronte bianco in Kenya, hai organizzato un viaggio insieme ad amici che ti hanno seguito in questa avventura, per vederlo e fotografarlo. In quell’occasione hai rivendicato l’importanza di condividere con altri l’esperienza creativa e la possibilità di iniziare una ricerca senza che fosse necessariamente finalizzata alla produzione di un’opera. È interpretabile secondo questa prospettiva la collaborazione con Olaf Nicolai e il coinvolgimento di tanti artisti?
Sudan è stato un lavoro molto importante, è stato un viaggio di formazione, perché mi ha aiutato a capire una cosa che era già latente in molti dei miei lavori filmici ed editoriali, rendendo palese il lato collaborativo. Ogni mio film è sempre stato come un’agenzia di viaggi, che, al posto di spostare persone e corpi in un luogo, portava il luogo davanti alle persone, in formato digitale. Il film è sempre stato per me un aspirapolvere, un raccoglitore di storie e di informazioni. Con Sudan ho iniziato a portare delle persone con me, per renderle parte attiva di questa trasformazione, di questa condivisione di conoscenze.
Raymond nasce proprio da questa nuova consapevolezza, da questa nuova energia. L’idea di base è stata portare Olaf Nicolai e gli altri autori che avremmo invitato assieme, là dove Roussel era morto. Il mio lavoro fotografico, il mio diario notturno scattato nelle stanze dell’hotel, mentre gli autori dormivano, è nato proprio dall’idea di far fare loro questo viaggio verso Palermo, perché dormissero là dove morì il presidente della Repubblica dei sogni. Viaggiare è un’esperienza di apertura, oggi che il turismo è diventato la vera unica industria pesante, mi intrigava coinvolgere tutti questi compagni di strada in un viaggio così inutile e necessario.
Ora ti aspetta l’atto conclusivo, la mostra al museo di Castelbuono, nella quale qualcuno sarà la controfigura di Roussel. Sarai tu a interpretare questa parte?
La mostra a Castelbuono è l’ulteriore, ennesima, conclusiva, riflessione dello specchio. Questo progetto dedicato a Roussel si è sviluppato usando tanti linguaggi diversi, non credendo a nessuno in particolare, e investendo quindi su tutti i formati possibile: l’intervento interstiziale, il viaggio, la collaborazione, il lavoro collegiale, la pubblicazione (che realizzerò con Humboldt Books, Via Roma 398 Palermo) e la mostra istituzionale, al Museo Civico di Castelbuono. La coerenza non è un rettilineo che si è obbligati a percorrere, ma una strada che si costruisce percorrendola, senza perdere con leggerezza l’itinerario che ti sei imposto di perseguire. Questo sogno si è realizzato grazie a preziosi supporter istituzionali, la Direzione Generale Arte e Architettura Contemporanee e Periferie Urbane- DGAAP, Italian Council, la Fondazione per L’arte e il Museo di Castelbuono. Il Museo civico diretto da Laura Barreca è stato il primo attore, in ordine di tempo, che ha creduto in Raymond, con coraggio e grande fiducia, è bello e giusto sia qui che tutto questo prenda l’ultima forma possibile.
‒ Maria Rosa Sossai
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