Un osservatorio non profit sulla giovane arte sudafricana. Il Centro Luigi di Sarro a Roma

Intervista ad Alessandra Atti di Sarro, vice presidente del Centro fondato a Roma dallo zio Luigi e votato alla promozione della giovane arte sudafricana.

Italia chiama Sudafrica. Il Centro Luigi di Sarro da dieci anni è osservatorio sensibile sulle tendenze dell’arte contemporanea nel territorio africano. Bandi, scambi, residenze e, dal 2009, il progetto ARP-Art Residency Project. Ideato e promosso dal Centro, supporta la formazione di giovani artisti. Roma e Cape Town sono antenne di una comunicazione attiva e sensibile. Nel panorama affollato delle residenze internazionali Alessandra Atti di Sarro – vice presidente del Centro e responsabile dei progetti internazionali ‒ ci racconta le peculiarità di ARP.
Abbiamo cercato di rivolgerci agli artisti emergenti giovani e completamente fuori del sistema: persone a cui dare la prima chance. Le residenze devono essere inoltre un’esperienza completa, non solo un laboratorio artistico ma anche esperienza umana, possibilità di dialogo con il Paese e il luogo”.

L’INTERVISTA

Cos’è ARP oggi?
Un progetto misto, tra l’arte professionale e l’esperienza di dialogo con le culture. Le normali residenze prevedono le classiche borse di studio. Noi incontriamo invece l’artista all’inizio del suo curriculum; in quel momento è recettivo, ha bisogno di vedere, esplorare una scena diversa dalla sua, conoscere luoghi, immagazzinare immagini.

Dieci anni fa era pionieristico, oggi come mantiene la sua forza?
Luigi di Sarro era mio zio, è importante tutelare la sua memoria, rimanendo in scia, cioè promuovendo i giovani e l’arte giovane quando ancora non ha opportunità. Oggi con le università si viaggia, ma è diverso viaggiare usciti dalla scuola e poterlo fare con qualcuno che ti offre una serie di attività.

ARP-Art Residency Project. Visita al Macro per la mostra di William Kentridge, 2016

ARP-Art Residency Project. Visita al Macro per la mostra di William Kentridge, 2016

Ad esempio in Sudafrica chi accompagna l’incontro dell’artista con i luoghi?
A Cape Town c’è Massimo Dal Corso, che con grande sensibilità racconta la storia della città. I suoi non sono semplici tour ma incontri con le persone e con le esperienze.

Un progetto che, pur mentendo questa vocazione, sarà ridisegnato prossimamente…?
ARP continuerà a esistere con questa caratteristica “informale”, ma si sta strutturando in parallelo una ulteriore possibilità con l’Istituto Italiano di Cultura.

Qual è il destino degli artisti dopo le residenze?
Gli artisti che con noi hanno fatto qualcosa rimangono poi nella collezione del Centro e tutti sono così nell’alveo delle nostre attività. Creiamo una grande famiglia.
Ciò che ci interessa sono soprattutto le relazioni, con quelle si va avanti quando non ci sono soldi a sufficienza per sostenere i progetti. Il mondo del non profit è così.

Ma non fate talent scouting?
Non penso di aver fatto talent scouting, però quando vedo che artisti con cui ho lavorato oggi vincono premi e vanno avanti, io sono contenta e orgogliosa: significa che ci ho visto giusto.

Lo stand di ARP-Art Residency Project alla ICT Art Fair 2017

Lo stand di ARP-Art Residency Project alla ICT Art Fair 2017

Dai giovani arrivano segnali sullo stato dell’arte sudafricana? Quali direzioni sta prendendo la giovane arte locale?
La giovane arte sudafricana, quella dei “nati liberi” (post apartheid), è molto influenzata dall’Occidente. Bisogna però considerare che durante l’apartheid l’arte sudafricana si sviluppava attorno a tre filoni: la pittura, il disegno a carboncino e la xilografia. Tre forme con cui l’arte degli “artisti resistenti” si è espressa. I giovani che sono arrivati dopo avevano questa formazione. Quando il Paese si è aperto al mondo c’è stata una accelerazione velocissima. È entrato l’Occidente e immediatamente gli artisti sono stati catapultati da quei linguaggi su cui si erano formati al nulla. Parlo di giovani sradicati, ma liberi. Gli artisti occidentali sono legati a un tema, a un contenuto, a una ideologia. Lì invece c’è una scollatura. Siamo in una fase di passaggio. Certo, chi è sui mercati internazionali è occidentale, ma chi saprà gestire lo iato con il carboncino e il disegno fra qualche anno produrrà cose interessanti.

Come si muovono le istituzioni come il MOCAA, di recente inaugurazione a Cape Town? Il museo svolge la sua funzione pubblica o è compromesso col privato?
Le istituzioni che hanno fondi e soldi sono private. Le istituzioni pubbliche sono ancora tutte da ridisegnare, hanno problemi di fondi, strutture decadenti. Ma ci sono bravissimi curatori, giovani e realtà interessantissime come l’esperimento creato da William Kentridge a Johannesburg.

Simone Azzoni

www.centroluigidisarro.it

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Simone Azzoni

Simone Azzoni

Simone Azzoni (Asola 1972) è critico d’arte e docente di Storia dell’arte contemporanea presso lo IUSVE. Insegna inoltre Lettura critica dell’immagine e Storia dell’Arte presso l’Istituto di Design Palladio di Verona. Si interessa di Net Art e New Media Art…

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