Apulia Land Art Festival. Intervista a Carlo Palmisano
Nasce nel 2012 come esperimento collettivo e oggi è un festival strutturato, inserito nei programmi dell’Anno Europeo del Patrimonio Culturale 2018. L’Apulia Land Art Festival è il primo festival di Land Art itinerante che quest’anno, dal 7 al 9 settembre, si tiene nella Casa Rossa di Alberobello, riportata a nuova vita. Ideato e diretto da Carlo Palmisano e Martina Glover, il festival si prefigge di far rivivere la storia e le tradizioni di luoghi perduti, ma importanti per la memoria collettiva. Ne abbiamo parlato con Carlo Palmisano, fondatore e direttore artistico.
Come e quando nasce il vostro progetto di portare opere di arte ambientale in Puglia?
Tutto nasce nel 2012, chiacchierando in un salotto tra amici. Tornato in Puglia, dopo sei anni di esperienze in giro per il mondo, ho iniziato a guardare la mia regione con occhi diversi. Ho iniziato a vedere luoghi abbandonati, pezzi di memoria importanti del territorio lasciati a se stessi, trascurati e negletti. Ho pensato che questi luoghi meritassero di rivivere attraverso la loro conoscenza. L’arte, la tradizione e la cultura sono, nel nostro progetto, espressi attraverso il festival. L’interesse generato dall’iniziativa ci ha convinto a continuare su questa strada.
Vivete a Roma, quale formazione avete maturato e come siete arrivati fin qui?
Inizialmente avevamo pensato a una esperienza di landscape. Grazie al background americano e scientifico di Martina abbiamo iniziato a studiare la Land Art, con l’obiettivo di codificare uno stile unico e personale. Ci affascinava l’utilizzo di materiali esclusivamente naturali, in un’ottica di riutilizzo e riciclo, di attenzione all’ambiente e al rapporto tra uomo e Natura, che oggi più che mai va rivisto per la sopravvivenza di entrambi.
Questa edizione si svolge ad Alberobello. Quali sono le ragioni di questa scelta?
Siamo stati contattati dal fondatore della Fondazione Casa Rossa, Riccardo Strada, che ci ha esposto la sua idea ‒ la stessa del MiBAC che sulla casa ha posto un’attenzione e un vincolo particolari ‒, cioè di riaprirla al pubblico dopo oltre trent’anni di abbandono totale. La Casa Rossa nasce come istituto agrario nel 1887 per divenire poi un campo di internamento durante il fascismo. Oppositori politici, intellettuali e artisti furono internati qui. Uno degli artisti ci ha forse lasciato il primo esempio al mondo di cappella ornata da un mosaico stile bizantino-ortodosso fatto interamente a gessetto. Toccò poi alle donne, la loro esperienza fu raccontata nel primo film in assoluto girato in Puglia, Donne senza nome.
Chi vi ha aiutato a riaprirla?
Il Comune, l’Assessorato alla cultura, la Fondazione Casa Rossa e ovviamente Apulia. Speriamo di recuperarla in maniera definitiva perché la Casa Rossa è patrimonio integrale della storia di Alberobello e dei suoi cittadini, ma non solo. Le storie, le memorie, i dolori e le gioie delle cinquemila persone passate per questo luogo hanno il volto di molti popoli. Quello che però ci ha portato a scegliere questo luogo è il fatto che gli alberobellesi aiutarono in ogni modo chi era detenuto, sfidando così le leggi fasciste del tempo. È questo senso di comunità che vogliamo risvegliare.
Come avete selezionato gli artisti in residenza?
Attraverso una open call internazionale aperta a tutti e la selezione di un comitato composto dai tre curatori delle varie sezioni del festival, rispettivamente: Carmelo Cipriani per la residenza artistica, Giuseppe Capparelli per le installazioni ambientali e Fabio De Chirico per il progetto speciale ‒ e da noi due direttori. La scelta è avvenuta in base a quattro criteri: idea progettuale, fattibilità, impatto ambientale e curriculum dell’artista. Oltre settanta proposte sono giunte da tutto il mondo e l’alta qualità artistica ci ha spinti a selezionarne undici invece delle dieci previste da bando. Questa edizione ha registrato una buona presenza di artisti pugliesi, affiancando nomi di grande esperienza ed emergenti dalle grandi potenzialità. I loro lavori sono in alcuni casi molto fisici, in altri più relazionali e pensati per resistere oltre il festival.
Avete dedicato il festival a Jolanda Spagno, l’artista da poco scomparsa.
Avrebbe dovuto partecipare con un progetto site specific nella sezione installazioni ambientali curata da Giuseppe Capparelli. Un progetto a cui si è dedicata fino all’ultimo con la generosità e la passione che hanno costellato tutta la sua vicenda artistica e umana e che avrebbe dovuto rappresentare “un orizzonte spezzato”. L’unica cosa che ci rimane di quest’opera è il pensiero dell’artista: “Mi piacerebbe riuscire a creare nelle nicchie un muretto a secco di carbone utilizzando varie dimensioni. Quando io nascevo, Kounellis esponeva il carbone nelle sue installazioni, era il 1967. Omaggio alla sua ricerca, considerata qui a Bari “schifezza”. Omaggio alle mie origini greche, terra che ora brucia”.
Avete prodotto anche progetti nati molti anni fa e mai realizzati.
Sì, come l’opera monumentale di Nini Pasquale Santoro davanti a Casa Rossa, progetto nato quarant’anni fa e che ha dovuto aspettare questo momento e questo luogo per poterlo realizzare. Pietro Guida, artista pugliese che ha codificato e realizzato il “Premio Apulia”, ha creato una nuova scultura, un regalo prestigioso per Alaf, prima opera costruttiva a distanza di cinquant’anni dal suo periodo astratto.
Avete individuato dei temi portanti all’interno delle opere presentate?
Credo che tutte le opere, in un modo o nell’altro, rendano visibile e tangibile un senso di vuoto/pieno che caratterizza l’idea di casa e di noi stessi. Le opere in residenza alla Casa Rossa sono molto toccanti, così come l’opera di Pietro de Scisciolo, dal titolo Heil oder kaputt?, che siamo certi muoverà le coscienze e forse farà anche discutere (ruolo primario dell’arte).
Come vi accolgono le istituzioni, la politica e il territorio?
Non è sempre facile far convergere l’interesse verso iniziative culturali considerate di nicchia. La scorsa edizione a Margherita di Savoia, ad esempio, abbiamo dovuto superare difficoltà riconducibili ai rapporti problematici tra il Comune e l’azienda che ha in gestione le saline, l’edizione ha poi registrato un grande interesse da parte del territorio e del pubblico. Basando il festival sul coinvolgimento diretto e l’inclusione, piuttosto che solo sulla disponibilità di risorse finanziarie, anno dopo anno siamo riusciti a penetrare nei cuori delle persone, che all’inizio non riescono a immaginare cosa andremo a realizzare.
La Land Art offre maggiori spunti relazionali tra artisti e pubblico.
Quando le persone vedono gli artisti al lavoro, le loro opere prendere forma davanti ai loro occhi e con il loro ausilio, la cosa per loro si fa intrigante. Alberobello ne è l’emblema. Intimoriti e un po’ dubbiosi all’inizio, l’amministrazione e la popolazione hanno poi abbracciato in tutto e per tutto il progetto, mettendo a disposizione alloggi, vitto, materiali, il loro aiuto personale. Il nostro festival dimostra che l’arte parla veramente a tutti e che è l’unica cosa che può aprire tutte le porte.
‒ Nicola Davide Angerame
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