SI Fest e fotografia. Parola al direttore Christian Gattinoni
In occasione del XXVII SI Fest, parola a Christian Gattinoni, uno dei tre direttori artistici della rassegna. Di origini francesi, ha descritto la scena fotografica transalpina e raccontato le sue impressioni sulla rassegna savignanese.
Nell’epoca della “fotografia facile”, resa tale dalla tecnologia di telefoni cellulari, iPad, tablet e così via, qual è la missione di una rassegna fotografica?
Proprio considerando la facilità di ognuno a produrre immagini fotografiche, si rischia la banalizzazione della cultura fotografica, ovvero una sorta di “analfabetismo dell’immagine”; si resta prigionieri dell’apparecchio, che funziona in maniera automatica, e dell’oggetto fotografato in sé, dimenticandosi come fare fotografia significhi invece dover utilizzare un linguaggio ben preciso e strutturato, così come competenze tecniche specifiche. La funzione delle rassegne è quella di educare all’immagine, soprattutto i più giovani (coloro che sono i più assidui utilizzatori di tecnologia), e, ad esempio, spiegare loro la differenza che passa tra un selfie e un autoritratto. In quest’ultimo caso si costruisce un’immagine di sé tenendo conto di un vasto numero di variabili, di condizioni di luce, di luogo, di espressione. Un selfie, più banalmente, è il simbolo di quella cultura dell’apparenza, dell’autopromozione di sé, cui ho accennato prima. Ma dietro non c’è una storia.
In Francia, la fotografia come forma d’arte è ormai una realtà assodata per il pubblico. In Italia questo aspetto non è ancora così radicato. Qual è stato, secondo lei, il “segreto” del successo francese?
Credo che buona parte del merito vada a Robert Delpire (scomparso lo scorso anno), che negli Anni Ottanta sviluppò il progetto di Photoproche, collana dedicata alla fotografia di medio formato editoriale, e a prezzo contenuto, che ha avuto un’ampia diffusione fra il pubblico medio, soprattutto nelle scuole, dove molti insegnanti hanno adottato questi testi per i loro corsi. Da questo punto di vista, anche il lavoro del Ministero della Cultura è stato esemplare, essendosi impegnato nella creazione di programmi ad hoc per le scuole e nella formazione degli insegnanti. Ecco, essere partiti dalle scuole è stata una delle chiavi del successo. Ma anche l’aver avuto persone capaci di rivolgersi a un pubblico vasto, non solo di studenti, come appunto è stato Delpire. Credo che in Italia sia mancato questo fondamentale punto di contatto, soprattutto nelle scuole.
Come è nata la sua collaborazione con Savignano sul Rubicone e come la giudicherebbe?
Sette anni fa fui invitato per occuparmi della lettura dei portfolio, e sin da subito mi accorsi della buona organizzazione del festival, dell’alto livello delle mostre, tanto che proprio qui conobbi colleghi con i quali ho poi lavorato in seguito. Posso dire che Savignano è una piattaforma importante per la fotografia, non soltanto italiana. Circa quest’ultima, per me è stata importante Savignano perché ho avuto modo di ampliare la mia conoscenza della vostra scena fotografica, osservando il lavoro di molti giovani interessanti.
La varietà dei temi affrontati è un ottimo stimolo per il pubblico, e adesso poter contribuire alla scelta delle mostre da proporre al pubblico, in qualità di direttore artistico, è un onore oltre che un piacere.
A quali progetti è particolarmente legato, oltre al SI Fest?
Il Festival de la photographie sociale di Carcassonne, che vedrà la sua prima edizione dal 14 novembre al 15 dicembre prossimi, è uno di quelli che mi sta regalando particolari soddisfazioni. Qui si affronta il tema dell’ibridazione tra fiction e documentario, poiché vengono esposti lavori realizzati in giro per il mondo da fotografi che trascorrono sul campo diversi mesi, entrando in approfondito contatto con la realtà che vogliono raccontare. La differenza con il documentario “vecchia maniera” è che questi fotografi ampliano il loro punto di vista includendo nella loro indagine anche aspetti legati alla sociologia, alla medicina, alla psicologia, a linguaggi espressivi come il suono e la parola.
Questa “fotografia sociale”, nel tentativo di andare oltre la mera descrizione fattuale, si propone di porre domande sull’identità individuale e collettiva, di maggioranza e minoranza, della reazione psicologica di fronte agli eventi della società.
‒ Niccolò Lucarelli
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