Sulle tracce del Faust. Intervista a Fabrizio Cotognini
Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, Torino ‒ fino al 4 novembre 2018. Parola all’artista che ha dato vita alla “scenografia” ispirata al Faust di Goethe negli spazi della sede torinese.
Durante l’inaugurazione della mostra Reversed Theatre presso la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, la sala espositiva dedicata all’installazione di Fabrizio Cotognini (Macerata, 1983) pullulava di persone. Lo spazio brulicava di giovani che, come in un’asta poco silenziosa di idee, chiedevano alle guide spiegazioni e aneddoti; tutti intenti a capire i riferimenti culturali ed estetici di Cotognini, frutti di un’operosa e sacrificale ricerca di contenuti filosofici, letterari e teatrali. E l’opera non ha tardato a manifestare anche la propria carica emotiva e carismatica, forte degli aneddoti stessi: l’artista marchigiano, dopo anni di ricerca – strenua inertia contemporanea concessaci con esaustivo studio di bellezza –, ha regalato una scenografia colta e universale, temporale e intrinseca, intima e fruibile – e tutto il vissuto personale è giunto all’osservatore attraversando l’opera di Goethe, il Faust, cimelio letterario di nobile retaggio e di arcano ascendente. Abbiamo chiesto alcune precisazioni a Cotognini – forse più tecniche che poetiche, in quanto non basterebbe un saggio critico per esaurire i quesiti di un’opera che persino nella citazione apparentemente diretta non cede mai al puro didascalismo.
La prima cosa che si nota entrando nello spazio è un impatto espositivo potente e fondamentale; se ne deduce subito la tua premura, tanto che si parla di “scenografia” nella tua opera. Come hai curato l’allestimento?
Durante il primo sopralluogo ho effettuato il rilievo dello spazio a me destinatomi e l’ho fotografato. In seguito ho iniziato a schizzare varie ipotesi, confrontandomi con Lorenzo Bendetti, il curatore della mostra: dopo l’analisi delle varie ipotesi e da un positivo confronto con Lorenzo è nato il progetto della mostra. Durante la fase progettuale, uno degli aspetti che mi ha maggiormente interessato sono state le dodici aperture luminose dello spazio: adesso le finestre sono rosse, perché volevo rappresentare, fin dall’inizio, la figura di Mefistofele, che nel Faust è il diavolo. E quale miglior colore se non il rosso per rappresentare il diavolo? Altro aspetto molto importante, emerso dal dialogo avuto con il curatore (ma che nasce dalla residenza fatta in Basilicata da Visioni Future e curata da Lorenzo), è la descrizione del processo creativo attraverso i “materiali minimi”.
Riguardo ai materiali, che sono preziosissimi – tra tutti spicca l’oro, ovviamente autentico ‒, come li selezioni e combini tra loro? Quale ti rispecchia di più?
Durante lo studio del Faust, uno degli aspetti che rincorrevo nella mia mente era fare emergere dal disegno la tridimensionalità. La tridimensionalità del disegno è espressa dalle sculture dell’installazione. Il marmo è combinato con i tre metalli preziosi per eccellenza: rame, argento e oro. È un processo alchemico che creo e che mi conduce verso una sorta di purificazione. Mi chiedi quale sia il materiale che mi rispecchia di più: certamente è la carta, quella preziosa, quella ancora tirata a mano che segue un processo di lavorazione millenario. È la carta a darmi le sensazioni uniche che contribuiscono alla creazione dell’opera.
La mostra si concentra sul Faust di Goethe. Perché quest’opera? Più in generale, come si articola il tuo rapporto con la letteratura e la cultura passata e antica?
La mia nuova ricerca, nata durante la residenza in Basilicata, si concentra su immense opere teatrali: Faust, Parsifal, Salomè e Olandese Volante. Il Faust è la prima parte della mia ricerca; ciò che ho realizzato per la Fondazione Sandretto rappresenta un po’ la mia summa della storia dell’essere umano alla continua ricerca della felicità. Il dottor Faust viene tentato da Mefistofele, che apparentemente gli dona tutto quello che desidera ma che effettivamente non gli concederà mai né la conoscenza della Natura né la Verità. La mia formazione è incentrata sull’antropologia dell’arte: mi interessano in particolar modo i testi antichi, il primo sapere che ha formato l’essere umano. Tra gli autori che maggiormente hanno contribuito alla mia formazione non posso non citare Baltrušaitis, Le Goff, Eco e Panowsky.
Hai progetti nel prossimo futuro? Continuerai il percorso intrapreso approfondendo lo studio iniziato alla Fondazione Sandretto?
Tutto parte con la residenza e la mostra a Potenza con Visioni Future e curata da Lorenzo Benedetti. La prossima mostra sarà quella presso la Fondazione Morra Greco di Napoli. I progetti per la primavera e l’estate 2019 mi vedono impegnato in Svizzera e Danimarca.
‒ Federica Maria Giallombardo
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