Lionello Puppi, l’umanista. Il ricordo di Elisa Bastianello
La storica dell’architettura Elisa Bastianello, editor tecnico del volume “Con Palladio”, ultima fatica di Lionello Puppi, descrive il lavoro dello studioso. Tra aneddoti e professionalità.
Chiunque si occupi di storia dell’architettura, e di storia dell’architettura di Vicenza in particolare, non può non conoscere il nome di Lionello Puppi. Così anch’io, come studentessa IUAV prima e come studiosa di storia dell’architettura poi, ho potuto apprezzare la vastità degli studi, spesso pionieristici, che il professor Puppi ha dedicato all’arte del Rinascimento e del Barocco veneto, e non solo. In tempi recenti ho avuto la fortuna e l’onore di conoscerlo di persona nell’ambito delle mie proprie ricerche, e di poter collaborare con lui come editor tecnico al suo ultimo progetto di studio, il volume Con Palladio, in corso di pubblicazione per le Edizioni Engramma di Venezia. Quando raccontavo che stava completando il suo nuovo libro, le reazioni di chi mi ascoltava erano sempre più o meno le stesse: “Ma scrive ancora? Quanti anni ha adesso?”, come se fosse strano che a 86 anni fosse ancora attivo. Certo, Lionello lamentava qualche acciacco, come il ginocchio dolorante che gli aveva impedito, non più di quindici giorni fa, di assistere alla presentazione del lungometraggio su Palladio alla Mostra del Cinema di Venezia, a cui aveva contribuito fornendo generosamente tutto il suo qualificatissimo sapere. Alla conferenza della Magnitudo film, produttrice del documentario, aveva infatti mandato in sua rappresentanza la curatrice del libro, Olivia Sara Carli, e la sottoscritta, con uno scatolone di copie-pilota del libro da presentare in anteprima. Completare impaginazione e stampa del volume per l’occasione era stata una lotta contro il tempo, e a ripensarci oggi sembra quasi che Lionello non volesse mancare un appuntamento con il destino e farsi trovare impreparato. Pochi giorni dopo ero andata a Treviso a consegnargli una copia del libro per le ultime correzioni, e lo avevo trovato intento a studiare alla Fondazione Benetton Studi e Ricerche, la sua seconda casa. Subito dopo aver controllato insieme il volume, la discussione si era spostata su tutti i temi di ricerca a soggetto vicentino che avrebbero meritato di essere studiati. Aveva iniziato a parlarmi di Goffredo Parise, dei primi romanzi e di quella che a suo dire era l’ossessione per la ricerca del padre; di quando si trovavano a cena insieme e Parise lasciava i presenti allibiti per i suoi atteggiamenti anticonformisti. Avrei potuto restare ad ascoltare Lionello ogni volta per ore: non erano lezioni, ma l’entusiasmo di una persona che ama condividere il suo sapere. Così si ritornava a discutere di architettura: di Palladio, ovviamente, di Scamozzi, ma anche e soprattutto di Muttoni e di Zago, di Marchi, di tutti gli architetti e i personaggi della cultura vicentina a cavallo tra Sei e Settecento che erano solitamente al centro delle nostre interlocuzioni, in virtù del mio essere vicentina e delle ricerche che mi avevano portato a conoscerlo.
Avevamo ammirato insieme la digitalizzazione della Pianta Angelica di Vicenza, richiesta espressamente per illustrare il nuovo libro, e i suoi occhi si erano illuminati di fronte alla possibilità di studiare il disegno con una qualità di dettaglio fino a oggi impensabile. Perché ogni spunto attuale di ricerca, ogni nuovo documento che riconfermava o completava qualche vecchia ipotesi lasciata in sospeso lo riempivano di entusiasmo, un entusiasmo che trasmetteva direttamente a chiunque volesse condividerlo con lui, e che non sembrava per nulla offuscato dal passare degli anni.
IL “PUPPESE”
Certo, a leggere la prima bozza del manoscritto, o più precisamente il dattiloscritto del suo ultimo libro, non si poteva negare che nel suo stile di scrittura riverberasse, oltre che una vita dedicata agli studi, anche l’uso di un linguaggio talmente attento a sceverare, con impareggiabile delicatezza, tutte le possibili variabili storico-artistiche, da richiedere al lettore una particolare concentrazione. Oltre trecento pagine trascritte, “tradotte” ed editate dalla curatrice, nel corso dell’ultimo anno, a partire da quello che in redazione di Engramma chiamiamo affettuosamente il “puppese”. Eccone un esempio:
“Non sono stati reperiti, sinora, documenti espliciti intorno al momento e alle modalità dell’incontro del giovane lapicida oriundo di Padova con quest’ultimo, grande letterato [Giangiorgio Trissino], habitué delle maggiori corti d’Italia e accolto con onore anche presso quella imperiale di Carlo V, autore della prima tragedia in volgare (la Sofonisba), di un interminabile poema in endecasillabi sciolti dedicato all’epopea romana di Belisario (l’Italia liberata dai Goti), e di innumerevoli rime; propugnatore di una riforma dell’alfabeto; studioso di Vitruvio e delle problematiche teoriche dell’architettura in un’ottica classicistica rigorosa ‒ è, però, fuor di dubbio che la svolta di Andrea dai ruoli tradizionali e artigianali di scalpellino alla professione intellettuale di architetto, e la sua consegna all’attenzione di una committenza, non più solo vicentina, in vista del progetto di rinnovamento architettonico della città berica, su cui s’era compattata la nobiltà cittadina di cui Giangiorgio aveva assunta la regia, ma anche veneziana e veneta, sia da riferire agli sviluppi di quell’incontro, dal quale, però, al lume degli studi più recenti, non si può dissociare la presenza attiva del problematico Antenore Pagello”. (Con Palladio, p. 23)
“Avrei potuto restare ad ascoltare Lionello ogni volta per ore: non erano lezioni, ma l’entusiasmo di una persona che ama condividere il suo sapere“.
È lo stile forbito di un ragazzo degli Anni Trenta, in cui tutti i cognomi sono regolarmente preceduti da articolo determinativo e le perifrasi si perdono tra incisi e costruzioni ricercate, dal sapore tanto demodé quanto auto-irretito dal barthesiano “piacere del testo”. Ancora giovedì Puppi mi aveva telefonato per dettarmi le “tre minuzie” che aveva rilevato nella copia-pilota. Ne avevo approfittato per comunicargli che in revisione di bozze si era deciso di togliere dai titoli alcuni punti e virgola, sostituendoli con delle virgole. Mi aveva spiegato che erano lì (la curatrice aveva già provato a toglierli, ma Lionello li aveva rimessi) per indicare una pausa più lunga: a me, che giustificavo la scelta redazionale spiegando che erano retaggio di una raffinata grammatica d’antan, aveva risposto con un po’ di malinconia che non stavamo facendo un torto a lui, ma a Sergio Bettini, da cui li aveva mutuati. L’ombra dei Maestri era sempre presente, nei suoi ricordi. Il libro avrebbe dovuto uscire proprio il 15 settembre (data slittata di qualche giorno), e Lionello stava contattando personalmente tutti i giornalisti a cui avrei dovuto inviare una copia da recensire. Quella sera avevamo parlato animatamente anche di altri progetti da realizzare in futuro: una nuova edizione della cronaca Dian a partire dalle sue vecchie tesi, i miei saggi scientifici da completare. Solo qualche accenno al ginocchio dolorante sembravano ricordare la sua età, perché il genuino piacere nella sua voce nel parlare di tanti progetti non tradiva né stanchezza né vecchiaia.
Ed è così che vorrei venisse ricordato, pieno di entusiasmo per ogni nuovo lavoro e sempre gentile con tutti, capace di ascoltare anche il meno esperto dei ricercatori facendolo sentire importante come un luminare. Non solo il grande studioso che tutti in queste ore stanno ricordando, ma soprattutto un grande uomo, capace di incarnare concretamente quei valori di humanitas che da sempre erano oggetto della sua passione, del suo studium.
‒ Elisa Bastianello
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