In ricordo di Francesco Masnata, fondatore della galleria La Bertesca a Genova
Ha lasciato un segno nel sistema dell’arte, ma non soltanto con l’Arte Povera. Si è spento a Genova Francesco Masnata, cui si deve la fondazione della famosa galleria La Bertesca.
Dopo una breve e violenta malattia, Francesco Masnata è mancato la sera del 31 agosto, circondato dall’affetto dei suoi cari, tra i quali la figlia Bianca, nella sua amatissima Genova, dove era nato il 22 luglio 1941. “Nella città dei grigi estesi e dei venti radi”, come la definiva lui, aveva fondato nel 1966, a soli 25 anni (insieme al 24enne Nicola Trentalance), la celebre galleria La Bertesca, fucina dei movimenti d’avanguardia dei decenni a seguire.
Nella sede di via SS. Giacomo e Filippo, il cui logo era stato disegnato da Marcello Morandini, era partito forte, esordendo con una mostra dedicata agli American Pop Artists (D’Arcangelo, Dine, Lichtenstein, Rosenquist, Warhol, Wesley, Wesselmann), tenutasi alla fine del 1966.
Dopo le personali di artisti come Michelangelo Pistoletto, Mario Schifano, Marcel Duchamp, Arman, Gianni-Emilio Simonetti ed Ettore Sottsass jr., per menzionarne soltanto alcune, Francesco Masnata è passato subito alla storia soprattutto per aver organizzato e tenuto a battesimo la prima mostra in assoluto dell’Arte Povera.
Scandita in due parti, Arte Povera (Boetti, Fabro, Kounellis, Paolini, Pascali, Prini) e Im Spazio (Bignardi, Ceroli, Icaro, Mambor, Mattiacci, Tacchi), la collettiva si tenne dal 27 settembre al 20 ottobre dello stesso turbinoso 1967. Curata da un altro genovese, Germano Celant, divenne la nuova tendenza dell’arte, dando origine a una serie di eventi, che si mossero poi dal nord al sud d’Italia. Francesco, carattere irrequieto e curioso per natura, non si ferma allora a un solo movimento e, anzi, rifiuta di cavalcarlo a lungo: passa oltre, fa ricerca, viaggia, coglie lo spirito del tempo, ovunque si muova. “Nell’arte cercavo qualcosa da scoprire, da scoprire per primo”, raccontava lui in una delle nostre ultime conversazioni biografiche.
NON SOLO GENOVA
La Bertesca, con il suo nome simbolico, che “sta a significare la galleria coperta in termini medievali”, come sottolineava Francesco, cambierà diverse sedi a Genova, sempre esercitando la propria funzione di “baluardo”: in salita Santa Caterina nel 1972, in via Gavotti nel 1975, in salita della Tosse nel 1980 e di nuovo in salita Santa Caterina nel 1983. Contemporaneamente, Francesco apre anche nuovi fronti di osservazione e azione, antenne sull’attualità, in luoghi in cui “succedeva qualcosa”, precisava, “dove c’era gente che ragionava in maniera diversa, anche nel concepire le mostre”. A Milano inaugura nel 1970 la galleria Modulo Arte Contemporanea (subito dopo denominata La Bertesca); a Düsseldorf – colpito dal Ristorante Spoerri, che era un centro di Fluxus –, conduce dal 1974 al 1977 la sede tedesca, e a Roma, nel 1977, organizza alcune mostre nello spazio di via del Babuino.
La comunità degli artisti lo accoglie e lo respinge al tempo stesso: diventato un gallerista di punta, molti ambiscono a lavorare con lui, anche se raramente scende a compromessi. Oggi le mostre a La Bertesca sono menzionate nei cataloghi di artisti e movimenti che rappresentano la storia del contemporaneo, come il Concert Fluxus ‒ Art Total del 1967, Vasarely, Boetti, Albers, Burri, Arte Povera 1967-69, Max Bill, Piero Manzoni, Fontana, Braque, Picasso, Mirò, Sekine, Arakawa, Opalka, Rotella, Filliou, Brecht, Spoerri, Vostell, Watts, Warhol, Kaprow, Ben, Film Fluxus, Gerhard Richter, Bernhard e Hilla Becher, Christian Boltanski, Gilbert & George, Anne e Patrick Poirier, Dan Flavin, Donald Judd, Sol LeWitt, American Abstract Painting, Analytische Malerei, Transavanguardia (Chia, Clemente, Cucchi, De Maria, Paladino), Nitsch, Anacronismo e Pittura Colta (Abate, Barni, Bartolini, Bertocci, Di Stasio, Galliani, Gandolfi, Mariani).
MOSTRE, ARTE, EDITORIA
Nel 1968 viene realizzata nella sede genovese de La Bertesca una delle mostre più rivoluzionarie del secondo Novecento, Emilio Prini. Pesi spinte azioni, che “con il suo apparato quasi surreale”, raccontava ancora Francesco, “squassa le basi di una concezione vecchia dell’opera d’arte”. Nasce anche Pallone, uno dei primi esempi di rivista autogestita degli Anni Sessanta, con un ironico riferimento al calcio, che la gente ha in testa invece della cultura.
Parallelamente vengono create le Edizioni Masnata, spesso in tirature limitate e numerate – oggi ricercatissime dai collezionisti –, per documentare, attraverso saggi critici e riproduzioni, i movimenti dell’avanguardia artistica e i nuovi linguaggi dell’arte.
Negli Anni Novanta, animato da nuovi stimoli e nuovi incontri, anche attraverso il progetto di Kaiman Art, Francesco Masnata continua a promuovere collaborazioni internazionali. La sua ricerca di giovani artisti emergenti si apre nel nuovo millennio a prospettive di scambi culturali in Paesi lontani come la Russia e la Cina.
Da vero outsider, agisce come artista lui stesso, creando un alter ego di proustiana memoria con lo pseudonimo di Bibesco: nelle vesti di un personaggio nevrotico e inafferrabile, che si muove tra il sogno e il labirinto, utilizza nelle sue opere la pittura, il collage, la mappa e la scrittura, seguendo cicli tematici particolari.
“Il gioco è andato avanti, un gioco alle sue estreme conseguenze, adesso”, scriveva profeticamente Francesco nel 1992, nel suo Diario del narratore o del perché. “Niente più corse, niente più paure, forse niente più soprassalti. Ora sono fermo”, asseriva, mentre “la scena (…) è sparita definitivamente: non più finti personaggi, non più finte azioni. Nessun artificio, nessun imbarazzo, non più”. Se Masnata è scomparso, dunque, Bibesco può e deve (soprav)vivere.
‒ Linda Kaiser
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