Frammenti sonori. Intervista ad Alfredo Pirri
Palazzo Altemps, Roma ‒ fino al 6 gennaio 2019. “Passi” di Alfredo Pirri anima la loggia meridionale del palazzo romano. Trovando un supporto complementare nella traccia sonora di Alvin Curran.
Come ti sei relazionato con uno spazio tanto connotato come Palazzo Altemps?
Palazzo Altemps si qualifica per due aspetti integrati fra loro che lo caratterizzano e lo fanno amare: da una parte vanta una collezione unica al mondo ma, allo stesso tempo, questa è presentata in modo molto naturale, attraverso un fare quasi domestico. Tale relazione fra monumenti di pietra e spazio intimo e accogliente è contraddistinta da un senso della proporzione e da un rapporto dimensionale fra le cose (e fra esse e lo spazio) capaci di generare in chi lo frequenta una visione armonica e, contemporaneamente, tesa. Chi vi entra prova subito una tensione armoniosa, un continuo muoversi fra peso e leggerezza, pietra e aria, storia e oblio. Questa premessa sul palazzo che ci ospita è necessaria per dire che il mio lavoro, l’opera Passi (già realizzata altrove), trova in questo contesto una sua collocazione ideale in quanto contiene gli stessi spunti, le stesse materie e le stesse percezioni offerte dallo spazio che l’accoglie: una visione fatta di frammenti che il tempo tende a rendere fra loro indipendenti pur in una visione unica e un clangore rumoroso e a volte fastidioso che fa da sottofondo. Nel mio lavoro il rumore dello specchio che si frantuma sotto il peso del visitatore, nel museo il rumore del passato fatto di urla, ferro contro ferro, popoli che cantano in maniera selvaggia e sguardi persi nella frase di una poesia.
Dove è installata l’opera?
Il lavoro è installato lungo l’accesso al museo in cima allo scalone che si chiama “loggia meridionale”, un corridoio lungo e stretto, un cannocchiale che sovrasta il cortile sul lato destro e si contrappone alla “loggia settentrionale”, al lato opposto del cortile stesso. Attraverso l’opera il tratto di cammino che intercorre fra il primo e il secondo ingresso alle sale espositive predispone alla visita del museo pulendo lo sguardo di chi entra e collocandone le percezioni dentro uno spazio infinito e rotto, come lo è quello specificamene museale che ci attende al termine dell’attraversamento. L’intenzione è di creare uno spazio capace di generare una tale sorpresa visiva per cui la consapevolezza di conoscere la storia e le materie con cui ci confrontiamo (… la cultura) non sono sufficienti a esaurire lo stupore che si genera in noi: spettatori inermi del passato proiettati in un tempo a venire che s’incrina sotto il nostro stesso peso.
Come mai hai pensato di coinvolgere Alvin Curran?
Con Alvin Curran abbiamo avuto già un’esperienza simile a Firenze presso il Museo Novecento nel 2015. La disposizione spaziale era però esattamente l’opposto: l’opera Passi era nel cortile e visibile dall’alto. Inoltre, a differenza del rettangolo lungo e stretto che caratterizza l’opera qui al Palazzo Altemps, aveva la forma di una croce inscritta in un quadrato. Quello che fa Alvin rappresenta ai miei occhi e alle mie orecchie qualcosa di molto vicino all’essenza del suono, grazie al suo distinguersi dal semplice rumore per piccole quantità di materiale amministrato con sapienza e sensibilità senza la quale la frontiera fra suono e rumore sarebbe troppo esile per distinguere l’uno dall’altro. Allo stesso tempo questa frontiera non diventa mai una barriera insormontabile o un confine disegnato nettamente. In questo vedo una parentela fra il suo modo di fare musica e l’opera Passi.
Che cosa vi accomuna?
Ci accomuna forse un certo elemento mimetico che però viene continuamente contraddetto impedendo all’immagine (o al suono) di fissarsi una volta per sempre o di rispecchiare in maniera definita e chiara lo spazio, perché svanisce o si riorganizza dinamicamente. E poi vi è anche il fatto di partire da un dato reale, da un materiale concreto, per dissolverlo nell’aria, senza mai fare sparire del tutto la sua naturale concretezza. L’esempio che faccio sempre è di immaginare che lo specchio si rompa sotto i piedi dello spettatore in maniera talmente fine da perdere completamente sostanza fisica, fino a diventare polvere luminosa, eppure in ognuno dei granelli di questa polvere sarebbe ancora possibile continuare a cogliere un dato reale, un’immagine essenzialmente vera. Infine, Alvin è una persona con cui è bellissimo condividere idee e azioni e, in questo caso, è come se il suo contributo portasse a compimento una dimensione acustica dell’opera che ho sempre immaginato coessenziale.
Qual è il rapporto tra spazio e suono in quest’opera?
Per me si tratta di rendere evidente, attraverso il suono e in rapporto all’immagine, l’essere immateriale e compositivo nascosto dentro l’architettura, fra le sue pareti. Si tratta di mettere a confronto e di rispecchiare due linee orizzontali contrapposte (la loggia meridionale e quella settentrionale) che si affacciano sul grande vuoto centrale del cortile. Quando si sta dentro una delle logge si è naturalmente proiettati, visivamente e acusticamente, verso l’altra che le sta di fronte. I due ambienti producono un suono autonomo e costantemente in dialogo: uno è animato dal rumore degli specchi che s’infrangono sotto il peso dello spettatore, l’altro da un brusio di voci frammentate. Il cortile serve da mixer naturale, dove i suoni e i rumori s’incontrano e si fondono dando vita a un luogo vuoto dove l’immaginazione prende forme inaspettate. Di conseguenza, quella porzione di spazio composto dalla somma delle logge e del cortile, che normalmente è scomposto e utilizzato solo per un transito distratto, viene riordinata e concepita come un ambiente unitario anche se a differenti livelli di altezza. I veicoli di questa resa unitaria, di questa integrazione, sono il suono e l’immagine.
Dunque suono e immagine sono in una relazione molto stretta.
Mi trovo d’accordo con chi sostiene una matrice acustica dell’immagine, di tutte le immagini. È come se esse prendessero forma e sostanza precipitando e raggrumandosi, rendendo momentaneamente solido un pulviscolo acustico che avvolge ogni cosa e in espansione continua. Un ronzio costante difficile da cogliere ma esistente ovunque. Un mega deposito iperattivo che non si ferma mai. L’immagine, secondo me, attinge forza da questo luogo misto di tempo e storia originandosi dal loro attrito.
Come si sviluppa il rapporto tra l’opera e la statua romana della collezione Ludovisi?
Questa statua rappresenta un elemento essenziale della composizione. Si affaccia di poco ma volge le spalle al cortile. Sembra quindi collaborare a chiudere lo spazio della loggia meridionale rivolgendo lo sguardo al suo interno. Sembra così esserne l’epicentro decentrato, la punta del compasso piantata nel pavimento. Sarà forse lei il personaggio cui si rivolgono i busti della loggia settentrionale? Parlano alle sue spalle? Alle spalle della storia con la s maiuscola?
Qual è la funzione delle teste parlanti all’interno dell’opera?
L’idea di dare voce ai personaggi scolpiti nel marmo della loggia settentrionale è di Alvin Curran e io l’ho accolta molto volentieri, perché in questo modo tornano a vivere le persone umane nascoste dentro le personalità pubbliche in esse rappresentate. Appaiono come un brusio latino e anche un piccolo coro che fa da accompagnamento e contrappunto al passo solitario della statua, e di chi cammina sul lato opposto, nella loggia meridionale.
‒ Ludovico Pratesi
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