Parigi omaggia Gio Ponti. Intervista a Salvatore Licitra
A Milano, nella sede dell’archivio del noto architetto che il Musée des Arts Décoratifs si appresta a celebrare con un’ampia retrospettiva, Alessandro Benetti ha incontrato il nipote, Salvatore Licitra, co-curatore dell’atteso progetto espositivo parigino.
Nelle case che progettava, Gio Ponti “concepiva il pavimento come un palcoscenico, su cui si recitavano i riti della domesticità”. Lo racconta Salvatore Licitra, figlio di Lisa e nipote di Gio, descrivendo l’esuberante distesa marmorea che fa da suolo liscissimo alla sede dell’archivio dell’architetto milanese. Alla fine del settembre 2018 la maggior parte degli arredi che normalmente vi sono appoggiati ha già lasciato l’edificio di via Dezza per Parigi, in vista dell’allestimento della grande retrospettiva Tutto Ponti. Gio Ponti Archi-Designer, al Musée des Arts Décoratifs. Libera d’intralci, l’incredibile composizione di marmi di ogni varietà, colore e dimensione è pienamente apprezzabile nella sua eleganza e anche sfrontatezza. “Questo pavimento”, prosegue Licitra, “si trovava originariamente sull’altro lato del cortile, nello studio di Ponti. Era anche uno strumento per convincere i potenziali acquirenti dei suoi arredi”, che Ponti posizionava strategicamente su questa scacchiera irregolare e cangiante.
SEI DECENNI DI CARRIERA
Responsabile dell’Archivio Gio Ponti da due decenni, Salvatore Licitra è al tempo stesso custode affettuoso, studioso e comunicatore appassionato dell’eredità del suo celebre antenato, colossale per qualità e quantità. Licitra lo sa bene: “La mostra si intitola “Tutto Ponti” ma, diciamolo, è impossibile esporre tutto Gio Ponti!”. Il lascito pontiano si misura non solo nelle sue componenti materiali (l’infinita collezione fotografica, il ricchissimo epistolario, i disegni affidati al CSAC di Parma) ma anche nel sistema di relazioni, costruito in sei decenni di carriera e in gran parte ancora attivo. I rapporti con il mondo del giornalismo e della critica architettonica, non sempre amichevoli; quelli con le aziende e gli imprenditori del design, che ancora si contendono la produzione dei migliori “pezzi” di Ponti; infine, quelli con i tantissimi amici (e) clienti. Tra tutti, la famiglia Bouilhet di Parigi, di cui l’erede Sophie Bouilhet-Dumas, co-curatrice di Tutto Ponti, è stata un tassello fondamentale nella costruzione della mostra parigina. Che si preannuncia come una promettente trasferta oltralpe per il più meneghino, ma anche il più cosmopolita, dei protagonisti del Novecento architettonico milanese.
L’INTERVISTA
Tutto Ponti è la più ampia retrospettiva mai dedicata a Ponti e si svolgerà fuori dall’Italia. Perché?
L’attenzione verso il lavoro di Ponti viene sempre dall’estero, e non dall’Italia. In Italia c’è sempre stata una remora nei suoi confronti, a partire da una lettura accademica, un po’ da cortile, che trascura il fatto che Ponti è più un artista che un architetto, e che quindi non può essere interpretato esclusivamente secondo i canoni della critica architettonica. Ponti stesso si autodefiniva “un artista innamorato dell’architettura”. All’estero, invece, già da una quindicina d’anni l’interesse per il suo lavoro ha raggiunto una scala pressoché planetaria. Spesso sono anche personaggi provenienti da altri ambiti a restarne affascinati: penso, ad esempio, a Bob Wilson.
Dagli Anni Ottanta a oggi molte altre mostre su Ponti sono state organizzate all’estero.
Esattamente, e non è un caso. La prima mostra dopo la sua morte è stata curata in Giappone da Arata Isozaki [Gio Ponti 1891-1979, al Seibu Museum of Art di Tokyo, nel 1986, N.d.R.] ed era un piccolo omaggio. Sono seguite diverse esposizioni, tra le quali quella importante organizzata dal Design Museum di Londra [Gio Ponti. A World, 2002, N.d.R.], poi arrivata anche in Triennale, che però si concentrava unicamente sul design. Un approccio a mio parere improprio, perché per capire Ponti non si può separare il design dall’architettura. Fino a oggi, l’unico tentativo di raccontare la sua figura in maniera completa è stata la mostra che abbiamo organizzato, come Archivio Gio Ponti, con Germano Celant [Espressioni di Gio Ponti, 2011, N.d.R.], che comprendeva anche l’architettura e l’editoria. Originariamente doveva svolgersi a New York e doveva segnare lo sbarco della Triennale negli Stati Uniti, ma una serie di complicazioni burocratiche tipicamente italiane ha affondato questo progetto di espansione internazionale. La mostra, che era ormai pronta, inaugurò infine qui a Milano, purtroppo in un momento sfortunato (era luglio!).
Come è nato il coinvolgimento del Musée des Arts Décoratifs di Parigi?
Il Musée des Arts Décoratifs è un museo privato, strettamente legato ad alcune grandi famiglie parigine. Lo sviluppo di questo progetto, molto importante anche per il museo, è stato fortemente sostenuto dalla passione di Sophie Bouilhet-Dumas, nipote di Tony Bouilhet. Negli Anni Venti, quando i Bouilhet erano proprietari della Christofle, Tony Bouilhet incontrò Ponti, che era art director della Richard Ginori, all’Exposition des Arts Décoratifs di Parigi. Gli commissionò quella che oggi è la casa “L’Ange Volant” di Garches, un lavoro in cui Ponti si tuffò a capofitto, costruendo una bellissima villa all’italiana alle porte di Parigi. Aveva concluso da poco il suo primo edificio, la casa in via Randaccio a Milano, del 1925. Da quell’incontro nacque un legame tra le nostre famiglie che dura ancora, e che è stato fondamentale anche per la realizzazione di questa mostra.
Tutto Ponti è un titolo ambizioso, che genera grandi aspettative.
Il problema di Ponti è l’abbondanza di quello che ha prodotto in più di sei decenni di carriera, la carriera di un forsennato entusiasta, che nel suo lungo percorso si è appassionato di tutto. E le proposte mai realizzate sono almeno dieci volte di più dei progetti andati in porto. Questa mostra francese ha il pregio di riunire in un unico spazio, di più di mille metri quadri, una grandissima quantità di testimonianze relative alle diverse fasi e a tutti gli ambiti dell’attività di Ponti. È una mostra che dà finalmente l’occasione di vedere Tutto Ponti, anche se ovviamente è impossibile esporre tutto. La mostra è ordinata cronologicamente ma, come suggerisco nel testo introduttivo al catalogo, a mio parere è importante disubbidire a questa impostazione, e lasciarsi spontaneamente attrarre dai diversi pezzi. Solo questo approccio permetterà di apprezzare appieno la capacità combinatoria di Ponti, che è trasversale alle epoche e alle discipline.
Dell’allestimento di Tutto Ponti si è occupato lo studio parigino Wilmotte & Associés. Cosa pensa del loro progetto?
Questa mostra è molto francese, nel senso che non si è lesinato sulla scenografia, sulla decorazione. Da parte mia, avevo proposto di immaginare che Ponti avesse stabilito il suo studio all’interno del museo, e quindi di progettare un allestimento che apportasse minime modifiche all’ambiente di base. Ma è stata presa una strada diversa, più scenografica, che in questo è perfettamente coerente con il carattere dell’edificio del Musée des Arts Décoratifs e della stessa città di Parigi. È un modo di raccontare le cose tipicamente francese, che dà dei risultati.
Sono in programma edizioni future di Tutto Ponti?
La mostra, così com’è stata concepita, non è adatta a viaggiare, anche per la quantità di prestiti che sono stati ottenuti da una miriade di istituzioni e di privati. D’altra parte, visto anche l’entusiasmo suscitato da questa grande retrospettiva, la mia speranza e il mio progetto è naturalmente che si tratti della prima di tante iniziative. Perché sia così, è importante costruirne una sintesi, che sia adatta a girare il mondo.
Uno dei testi introduttivi del catalogo è a sua firma. Come si struttura questa pubblicazione?
È un catalogo-libro, che ambisce a raccontare non solo la mostra ma anche la storia e il lavoro di Ponti. Si apre con alcuni saggi introduttivi: la presentazione del direttore, il mio testo, un saggio di Fulvio Irace, uno di Ugo La Pietra e uno di Sophie Dumas. Seguono una serie di schede su molti progetti di Ponti. Nell’impossibilità di costruire un regesto completo (un lavoro talmente impegnativo che avrebbe richiesto uno sforzo a sé, indipendente dalla mostra) e, per evitare una sequenza ripetitiva di schede tecniche, ho proposto di coinvolgere una serie di giovani ricercatori, esperti della materia e appassionati. A ciascuno di loro è stato richiesto di spiegare perché, a loro parere, alcuni oggetti meritavano di rientrare in questa pubblicazione. È stato un modo per sollecitare uno sguardo acuto, appassionato e non solo nozionistico, informativo. Ponti affrontava tutto con entusiasmo, e io ho voluto riunire le persone che provavano entusiasmo per il suo lavoro.
Da più di vent’anni gestisce questo archivio. Cosa ci raccontano queste collezioni dell’uomo e del progettista Ponti?
Ponti amava il lavoro, da buon milanese. La ricchezza dei suoi archivi potrebbe trarre in inganno: è vero, Ponti documentava, catalogava, fotografava tutti i suoi progetti, ma non per metterli in una tomba. L’archiviazione era per lui uno strumento di lavoro. Interveniva continuamente su quei materiali: li ri-fotografava, faceva copie delle stampe, le mandava alle riviste, annotava, sforbiciava, sbianchettava, rifaceva il progetto in modo diverso. Così, quando è mancato, abbiamo ereditato una quantità enorme di disegni, oggi depositati allo CSAC di Parma, un numero altrettanto importante di fotografie, che conserviamo qui a Milano all’Archivio Gio Ponti, e un epistolario gigantesco, di ben 130mila lettere, indirizzate letteralmente a tutto il mondo.
‒ Alessandro Benetti
Parigi // dal 19 ottobre al 10 febbraio 2019
Tutto Ponti. Gio Ponti Archi-Designer
MUSÉE DES ARTS DÉCORATIFS
107, rue de Rivoli
http://madparis.fr
www.gioponti.org/it/archivio
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