Le realtà del virtuale. I mondi di Jon Rafman a Modena
La Palazzina dei Giardini di Modena diventa sfondo delle opere video di Jon Rafman. Offrendo squarci su un mondo ai confini della rete.
A prima vista le opere di Jon Rafman (Montréal, 1981) conducono attraverso luoghi che conosciamo pur non avendoli mai visti, atmosfere familiari ed estranee allo stesso tempo. La sensazione è quella di trovarsi in uno di quei film di fantascienza in cui il protagonista viene accompagnato a scoprire cosa si trova al di là della realtà apparente; l’elenco degli esempi sarebbe lungo, da Matrix (1999) a Ready Player One (2018). Nelle pellicole citate, però (se di pellicola ancora si può parlare), la narrazione conduce quasi sempre a un finale salvifico in cui allo svelamento consegue un miglioramento della condizione di partenza, un premio, una ricompensa, come accade al superamento di un livello in un comune videogioco. Quando, al termine delle visioni, si esce dagli ambienti creati per la Palazzina dei Giardini a Modena, al contrario l’impressione è di essere catapultati ai “confini più remoti del presente”.
Per la sua prima mostra personale organizzata da un’istituzione italiana l’artista canadese allestisce un percorso coerente e progressivo attraverso opere video prodotte negli ultimi dieci anni, che si configurano come il risultato di ricerche antropologiche nelle lande sperdute della rete.
LE OPERE
Nella trilogia composta da Still Life (Betamale) (2013), Mainsqueeze (2014) e Erysichthon (2015) l’esplorazione delle sottoculture di internet porta alla luce aspetti nascosti e, a volte, misteriosi della “seconda vita”. L’ambiente, dalla moquette alle poltrone, è ricoperto di cellofan, la scena si colloca tra il laboratorio di un serial killer (vedi Dexter) e la casa abbandonata, l’installazione è in questo senso immersiva anche se, lungi dall’essere comoda e confortevole, nutre semmai un senso di inquietudine. Come sostiene Domenico Quaranta “Rafman pone l’attuale fuga dal reale verso il simulato come il risultato di un sentimento generale di turbolenza che porta alla fuga piuttosto che alla rivolta”.
Nella sala che ospita Poor Magic (2017) ci si siede come in un cinema, sullo schermo si alternano scene realizzate in computer grafica di folle spinte a sbattere contro ostacoli e immagini interne, o meglio interiori, di vasi e tessuti sottocutanei. Nel grande atrio centrale, sotto la cupola, si trovano alcune postazioni per la fruizione solitaria, talune chiuse come gusci, altre aperte simili a sedute di astronavi, in cui opere come Legendary Reality (2017) offrono racconti di esplorazioni attraverso mondi che coniugano estetiche differenti, da quella videoludica a quella cyberpunk. Realtà esistenti o solo immaginate, o che non sono “state create intenzionalmente”.
‒ Claudio Musso
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