Pittura lingua viva. Parola ad Angelo Sarleti
Viva, morta o X? Nono appuntamento con la rubrica dedicata alla pittura contemporanea in tutte le sue declinazioni e sfaccettature attraverso le voci di alcuni dei più interessanti artisti italiani: dalla pittura "espansa" alla pittura pittura, dalle contaminazioni e slittamenti disciplinari al dialogo con il fumetto e l’illustrazione fino alla rilettura e stravolgimento di tecniche e iconografie della tradizione.
Angelo Sarleti (Reggio Calabria, 1979) vive a Milano. Tra le sue mostre personali: Too big to fail o sull’immobilismo precario, Galleria SIX, Milano, 2016; IN/OUT, Musil Museo dell’idroelettricità, Cedegolo, 2015; Specific, MAG-Galleria Civica Segantini, Arco, 2014; Mammona, 2012, Billionaires, 2009, e Not here, 2006, Galleria ARTRA, Milano; tra le mostre collettive, Le declinazioni della pittura, Galleria FPAC, Palermo, 2014; Allegoria, la pittura oltre se stessa, Galleria Fuoricampo, Bruxelles, 2013; Settima mostra, Casabianca, Zola Predosa, Bologna; Becoming rather then being, NABA Nuova Accademia di Belle Arti, Milano, Careof DOCVA, Milano, Vessel, Bari, 2011; Arrivi e Partenze, Mole Vanvitelliana, Ancona, 2008; Empowerment Cantiere Italia, Museo d’arte contemporanea di Villa Croce e Palazzo Bombrini, Genova, 2004. Tra i premi: APERTO 2015 art on the border; Premio Lissone 2014 ‒ Critics Award. Tra i programmi di residenza e workshop internazionali: Centre International d’Accueil et d’Echanges des Récollets, Dena Foundation for Contemporary Art, Parigi, 2006; Networking, Prato, 2003.
Come ti sei avvicinato alla pittura?
È la pittura che mi ha letteralmente bussato alla porta. All’inizio degli Anni Ottanta, due hippie scappati da anni e luoghi lontani vennero a rifugiarsi nell’improbabile estremo Sud Italia. Lei tedesca bellissima, lui italiano e pittore. Abitavano accanto a casa mia e ci divideva soltanto un muretto. I miei praticamente li adottarono e io passavo le giornate da loro. Come regalo per il mio primo giorno di scuola mi fecero dipingere il mio primo quadro, un’isola deserta. Lo conservo ancora.
Quali sono i tuoi maestri o gli artisti, più o meno vicini, cui guardi?
Sono talmente tanti che non basterebbe lo spazio di questa intervista. Ma se dovessi indicare quelli che più ho assimilato nel mio lavoro: Piero della Francesca, Rembrandt, Klee, Albers, Balthus, Rothko, Sol LeWitt, Calderara, Sean Scully, Dan Graham, Hans Haacke, Mark Lombardi, Liam Gillik… Prima di iniziare un’opera non posso che pensare ai secoli di arte che mi hanno preceduto.
Se non ricordo male, i tuoi primi lavori erano video e hai lavorato anche con l’installazione. Come sei poi approdato alla pittura quale mezzo d’elezione, si tratti di acquerello, encausto, wall painting, olio, affresco…?
In breve è stato lo stesso passaggio avvenuto nelle IT (Information Technologies): dalla videosorveglianza si è passati al controllo incrociato di dati sensibili. La pittura, con il suo fattore umano, mi è sembrato il linguaggio più attinente per trattare più plausibilmente l’approssimazione statistica. Ha poi un potere induttivo straordinario: riesce a farti vedere il volto di Dio e funziona molto bene anche con i numeri.
I tuoi primi riferimenti sono la pittura analitica e la pittura pittura. Il tuo lavoro non è però speculativo, metapoetico o tautologico. Costruisci una narrazione fortemente legata alla cronaca del contemporaneo (l’economia, la finanza, il capitalismo…), l’astrazione dialoga con infografiche e diagrammi. Come hai sviluppato questo tipo di ricerca formale e poetica?
Il mio lavoro, aldilà delle apparenze formali, dovute alla natura dei soggetti, è, di fatto, un lavoro figurativo. Trova affinità con tutte le discipline che negli ultimi anni si stanno occupando di interpretare l’immensa quantità di Big Data che le nuove tecnologie ci stanno fornendo. Ma è anche vero che questi soggetti sono in divenire e, in quanto tali, ancora astratti. Questo “reale intangibile” è affascinante e ricorda tantissimo la mitologia nell’arte classica o la religione nel Medioevo.
Ogni tua opera è propedeutica a quella successiva, si innesca un processo di concatenazioni.
Lo sviluppo di una ricerca presuppone un approfondimento che raramente si esaurisce in un unico step. Le tematiche contemporanee sono molto ampie e diventa naturale, dopo aver lavorato sui potenti (Billionaires), cercare di capire il sistema economico mondiale (Mammona), lo svolgersi della sua crisi (Antologia), e il suo stato attuale (Too big to fail).
Come sei riuscito a dare forma alla crisi?
Per me è stato sempre fondamentale cercare di interpretare non solo gli argomenti di cui mi sono occupato, ma anche di essere fedele al modo in cui questi si manifestano nella realtà. Ho cercato di riflettere su come un fenomeno economico-finanziario possa essere letto e quali fossero le sue caratteristiche, anche formali. Cos’è più vicino al ritratto di una banca? L’immagine della sua sede centrale o i dati presenti nel suo bilancio? Ho scoperto che le informazioni possono essere molto pittoriche.
Da quali fonti attingi per sviluppare i tuoi progetti? Come avviene il percorso preparatorio a un lavoro? E come scegli le tematiche da affrontare?
Cerco di utilizzare le fonti istituzionali, per la completezza dei dati. Spesso la contro-informazione è di parte, inoltre ha delle lacune ingenue e naif perché si concentra su un particolare, rispetto al contesto più ampio di un fenomeno. Ho sempre bisogno di costruirmi il dato, incrociando più database. Solo in questo modo l’opera è veramente autoriale, fin dalla ricerca dell’informazione, e ribadisce un discorso sulla plausibilità del lavoro interdisciplinare che mi sta molto a cuore. Le tematiche si delineano da sole, spesso indicate dalle fonti stesse che utilizzo o dal confronto con esperti dei vari settori. Sono talmente evidenti che coincidono, quasi sempre con la mia personale urgenza di provare a capire come funzionano. Ho un debole quasi feticista per le istruzioni.
La pittura è per te un fine o un mezzo? Qual è la tua opinione sulla situazione della pittura italiana contemporanea?
La risposta a questa domanda è una passeggiata su un nastro di Moebius. Però sempre più spesso, davanti a un lavoro importante, mi accorgo che la pratica è parte stessa dell’idea. McLuhan diceva già qualcosa di simile cinquant’anni fa. Per quanto riguarda la pittura italiana contemporanea, trovo che abbia il coraggio tipico di chi ha poco da perdere. Quindi è libera di muoversi verso posizioni inaspettatamente estreme, ma proprio per questo difficilmente intercettabili. Io lo considero un pregio.
‒ Damiano Gullì
Pittura lingua viva #1 ‒ Gabriele Picco
Pittura lingua viva #2 ‒ Angelo Mosca
Pittura lingua viva #3 ‒ Gianluca Concialdi
Pittura lingua viva #4 – Michele Tocca
Pittura lingua viva #5 ‒ Lorenza Boisi
Pittura lingua viva#6 ‒ Patrizio Di Massimo
Pittura lingua viva#7 ‒ Fulvia Mendini
Pittura lingua viva#8 ‒ Valentina D’Amaro
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