Fantagraphic. Torna il festival BilBOlbul
Il BilBOlbul è uno dei festival di fumetto italiani più attesi dell'anno. Arrivato alla sua 12esima edizione, aprirà le porte dal 22 al 25 novembre a Bologna. Abbiamo incontrato Emilio Varrà e Ilaria Tontardini di Hamelin, l'associazione ideatrice e organizzatrice del festival.
Torna il BilBOlbul, con un programma come sempre ricco di eventi. Cinque appuntamenti che ritenete imperdibili.
L’altra parte, la lectio magistralis di apertura di BilBOlbul tenuta da David B., giovedì 22 novembre in Accademia: sarà una occasione unica per ascoltate il grandissimo fumettista francese; la mostra Jack Kirby. Mostri, uomini, dei presso la Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna, che ripercorre l’opera di Jack Kirby, padre dei supereroi e grande maestro dell’invenzione fantastica; il duo di esposizioni in Pinacoteca: Risorse umane, dedicata a uno dei talenti più maturi della scena contemporanea, il bolognese Francesco Cattani, e The Dungeon Master, la prima mostra retrospettiva al mondo della produzione artistica di Mat Brinkman, autore di culto del fumetto underground americano; e poi il lavoro dell’autrice svedese Emelie Östergren, Mangiami bevimi, esposto presso Sqaudro, in cui andranno in scena infanzie, boschi, buchi, crepe che segnano il passaggio tra mondo fantastico e reale; in ultimo, il convegno e la mostra dedicati al genio di Guido Buzzelli.
La fuga dalla realtà sembra il filo conduttore dell’intera manifestazione, ma da cosa bisogna fuggire?
In realtà c’è sempre un fraintendimento quando si tratta del fantastico e lo si intende sempre come forma di evasione. Mi è sempre rimasta in mente un’espressione di Stephen King, nel suo saggio Danse macabre, in cui dice che l’horror non è una forma per esorcizzare la paura, ma per esercitarla. Ecco, il discorso può essere applicato a tutto il fantastico in generale, che non è evasione, ma un diverso “esercizio della realtà”, indiretto, mascherato, ma non meno prezioso per comprendere il mondo e i tempi che viviamo. Nello specifico gli autori del festival sono stati scelti anche perché hanno un certo atteggiamento nei confronti del fantastico, sono “costruttori di mondi”, si pongono il compito di dare forma all’“altra parte”, come si chiama il romanzo di Alfred Kubin e, non a caso, la lectio magistralis di David B. sul fantastico. Questo altrove è sempre lo specchio deformato del “qui”, e così andrebbero letto.
Siete sempre molto attenti alla ricerca e all’illustrazione d’autore. Cosa è cambiato radicalmente rispetto alle prime edizioni e cosa invece è un tratto distintivo di BilBOlbul?
Se penso un po’ alla piccola storia di BilBOlbul – 12 anni – mi vengono in mente tre fasi e ogni volta la precedente non è scomparsa, ma ha lasciato una preziosa eredità e permanenza. La prima fase, diciamo le prime sette edizioni, è parallela all’affermazione in Italia del graphic novel. Si desiderava mostrare al pubblico autori ancora sconosciuti, opere che avevano pari dignità di altre forme artistiche, in luoghi deputati alla cultura alta: musei, pinacoteche, biblioteche. Insomma una fase di rialzo culturale. Una seconda fase è stata invece quella “del laboratorio”, ovvero di concentrazione da una parte sugli artisti più giovani e sul mondo dell’autoproduzione, dall’altro sul coinvolgimento di autori proprio per costruire insieme delle produzioni ad hoc, con workshop e residenze d’artista. Insomma creare occasioni uniche, nate dalla collaborazione tra festival e autori, che il pubblico potesse vedere solo a BilBOlbul.
E ora in che fase siete?
Ora siamo in una terza fase, i cui obiettivi nascono dal diverso contesto in cui il fumetto vive. Ora non ha più bisogno di affermarsi culturalmente (almeno in superficie), vive in libreria, se ne legge sui giornali molto più spesso. Il mercato, pur nel contesto miserevole delle percentuali di lettura del nostro Paese, non va male. E allora escono tantissimi libri secondo un andamento un po’ drogato. In questo contesto, le azioni necessarie su cui ci stiamo concentrando sono due: da una parte una selezione, cercare di capire cosa è davvero importante e mostrare queste nostre opinioni al pubblico come possibile guida; dall’altra un’attività di formazione per ampliare il bacino dei lettori, renderli consapevoli del linguaggio, alimentare la curiosità verso le novità più coraggiose.
Accanto ai fumetti e alle illustrazioni, oggi il pubblico è molto attratto da youtuber e cosplayer. Qual è il vostro pensiero in merito?
Youtuber e cosplayer sono molto legati a un universo in cui fumetto e game si legano a forme di fumetto che spesso non intrecciano le proposte di BilBOlbul. Ma quello che più conta è che c’è un atteggiamento diverso: a noi è interessato fin dall’inizio concentrarci sulla figura dell’autore e sulla forma dell’opera. Un approccio piuttosto letterario, se vogliamo, che forse ora è anche obsoleto, ma che serviva a rilanciare il valore culturale e artistico del medium fumetto. Quello che continua a interessarci sono i libri e i tentativi per costruire un dialogo tra questi e i lettori, esistenti o potenziali. L’universo degli youtuber e dei cosplayer, invece, si concentra sulla figura del fruitore dell’opera che è già data per assimilata ed è il trampolino per fare delle “performance”.
Le fiere e i festival in Italia funzionano: dalle più grandi e famose alle più piccole, non smettono di crescere e sono ormai un fenomeno di costume. Perché secondo voi?
Da una parte credo che questo si debba al fatto che c’è stata un’evoluzione all’interno delle manifestazioni specifiche dedicate al fumetto. Quando è nato BilBOlbul c’erano per lo più fiere del fumetto, concentrate su un pubblico di appassionati e sulla vendita. Ce ne sono ancora tante, e va benissimo così, ma in parallelo è cresciuto un format diverso, che in senso un po’ generico direi più “culturale”, concentrato più sul mostrare l’opera degli autori.
Credo che BilBOlbul abbia contribuito a questa crescita e alla nascita di altre manifestazioni simili. Poi ci sono altri fattori: il passaggio di una fetta del mercato del fumetto dall’oggetto “giornalino” a quello di romanzo e il cambiamento di percezione nei confronti del medium; o anche l’esplosione, una ventina d’anni fa, del festival come format culturale capace di attirare l’attenzione e la presenza di tante persone. Come se, circondati quotidianamente da una miriade di input, avessimo bisogno di “momenti dedicati” in cui concentrarsi su una cosa. Oltre al fascino di dire “io c’ero”, ovviamente.
I tre momenti esaltanti quando si organizza un festival come BilBOlbul.
I primi incontri sui contenuti, quando ancora si cerca a ruota libera di definire le linee tematiche di una edizione: selezionare i nomi degli autori, valutarne i pro e i contro, mettere in luce i nuclei su cui si potrebbe focalizzare il festival, studiare. Sono momenti corali, in cui sicuramente ci si permette di pensare in grande.
Il momento in cui arriva il programma dalla tipografia: è la prova che il festival esiste, è tutto sulla carta. Infine la riunione con i volontari: BilBOlbul è un festival sostenuto dalla partecipazione di studentesse e studenti che, come volontari, aiutano ogni singola parte dell’organizzazione. Ogni anno facciamo una riunione per spiegare loro come sarà il festival ed è molto bello vedere la loro partecipazione, l’entusiasmo, la disponibilità.
E il momento più difficile?
Lo smontaggio del bookshop il lunedì mattina, dopo che il festival si è chiuso. Una tortura.
Che aspettative avete per questa nuova edizione?
Le aspettative sono le stesse di ogni anno: che le mostre e che gli incontri siano frequentati, avere un pubblico attento e interessato come lo è stato nelle passate edizioni. In sostanza vorremo che tutto questo formasse nuovi lettori di immagini e parole. Sicuramente questa edizione ci fa sperare, attraverso il progetto su Jack Kirby, in un nuovo intreccio di pubblici: il mondo dei supereroi potrebbe portare nuovi spettatori curiosi, non per forza appassionati di fumetto d’autore che, invece, attraverso Kirby, potrebbero scoprire autori inaspettati e altre forme di narrazione. Lo stesso nella direzione opposta.
Per la prossima edizione senz’altro manterrete…
Sicuramente manterremo e potenzieremo la parte della formazione: è un aspetto di BilBOlbul su cui abbiamo molto lavorato nelle ultime edizioni, cercando di declinare questa parola, “formazione”, nelle sue molte accezioni: dalle produzioni fatte in forme laboratoriali agli incontri fra studenti e autori alla collaborazione con l’accademia e l’università. Questo è molto legato al DNA dell’associazione ed è anche un modo per far evolvere il festival da una dimensione di “evento” a un progetto più radicato e diffusivo.
‒ Alessia Tommasini
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