L’invisibile nel visibile. Intervista a Cai Guo-Qiang
In occasione della mostra personale appena inaugurata agli Uffizi, l’artista Cai Guo-Qiang parla del suo rapporto con pittura, arte classica occidentale, e della spiritualità dei suoi fuochi d’artificio.
Cai Guo-Qiang (Quanzhou, 1957) è forse uno degli artisti contemporanei cinesi più d’avanguardia e riconosciuti nel panorama internazionale ormai da decenni. Conosciuto per le spettacolari performance con i fuochi d’artificio realizzate sia in occasione delle Olimpiadi di Pechino che in vari eventi in giro per il mondo, Guo-Qiang utilizza la polvere da sparo anche per creare composizioni pittoriche di grande impatto, come nelle sue due recenti mostre personali al Museo del Prado di Madrid e alle Gallerie degli Uffizi a Firenze.
Poco prima della partenza alla volta di Firenze, Cai Guo-Qiang ci ha accolti nel suo studio nell’East Village a New York per parlarci della sua pratica artistica, delle sue origini, e di queste due mostre che gli hanno permesso di dialogare con i grandi maestri del passato.
Vorrei incominciare dalle tue origini. Sei cresciuto in una famiglia “nell’arte”, tuo padre era un pittore molto rispettato nella tua città d’origine. Senti di essere stato influenzato nella tua pratica da questo continuo contatto con l’arte?
Mi viene chiesto spesso quando ho capito che volevo diventare un artista, ma non ho un momento specifico in mente, perché sono sempre stato portato per il disegno e la pittura fin da bambino. Una storia che racconto è come da piccolo ho aiutato a dipingere i murales nel tempio del quartiere, e già da allora dicevano che ero benvoluto dalle divinità e che sarei diventato un grande artista. Ovviamente crescere in un ambiente artistico ha avuto un’influenza su di me, soprattutto essere a contatto con forme artistiche tradizionali come la calligrafia. Ho iniziato a dipingere proprio per distaccarmi da questa tradizione, e per lo stesso motivo mi sono avvicinato alla scultura. Ho comprato delle riproduzioni di busti greco-romani da usare come soggetti per i mei disegni. Quando ho visitato il Museo Archeologico a Napoli o gli Uffizi a Firenze, e ho rivisto le stesse sculture, non mi sentivo di osservarle da turista, anzi mi sembravano estremamente familiari, perché da ragazzino avevo speso ore a osservare e riprodurre questi soggetti da diverse angolazioni. Per me sono memorie della mia giovinezza.
Da dove è scaturito questo interesse per l’arte classica occidentale?
Negli Anni Settanta, durante la rivoluzione culturale in Cina, lo studio della storia dell’arte non includeva arte moderna e contemporanea, ma si trovavano libri di testo sull’arte occidentale, e così ho iniziato a studiare i grandi maestri come El Greco, e sono stato colpito e ispirato dal senso di libertà che pervade le sue opere. A quei tempi, per una persona giovane, che si trovava ad avere dei dubbi sulla sua cultura o voleva ribellarsi contro il sistema, o a cercare ispirazione e nuove possibilità, la cultura e l’estetica Occidentale, questi busti con i capelli ricci, barbe folte e nasi prorompenti sembravano la cristallizzazione dell’esistenza di una realtà diversa, di un altro mondo, più libero, e io passavo le ore a osservarli fantasticando su questo mondo. Dalla prospettiva di una persona occidentale, lo studio dello stile classico significa interesse e passione per quello stile in particolare, mentre per una persona cinese, a quei tempi, significava cercare ispirazione in una cultura e in un mondo differenti. Era quasi un atto di ribellione.
Invece di tecniche pittoriche tradizionali, utilizzi per dipingere la polvere da sparo, che è un medium mai utilizzato prima ma che allo stesso tempo è molto usato nella tradizione cinese, e la tua città d’origine, Quanzhou, ha una grande produzione di fuochi d’artificio. Trovi ci sia una relazione fra tradizione e avanguardia nella tua scelta di utilizzare questo materiale?
Sicuramente è una tradizione locale quella di sparare fuochi d’artificio, e nella mia città viene fatto durante vari rituali, tuttavia l’uso della polvere da sparo non mi è venuto pensando alla tradizione, ma anzi da un conflitto nella mia relazione con la società. Nella mia ricerca, all’inizio, ho utilizzato il fuoco, nei miei primi lavori ho dato fuoco ai miei quadri a olio o ho usato un asciugacapelli per muovere l’olio sulla tela, in un tentativo di utilizzare l’energia proveniente da agenti naturali come il fuoco e il vento. Questa ricerca era volta a trovare un’arte che fosse difficile da controllare. Vivevo in una società fortemente controllata e ho una natura introversa che ho ereditato da mio padre, e per questo motivo sono alla ricerca di un elemento liberatorio nella mia arte, per liberare la mia individualità.
Quale percorso hai compiuto?
È stata una ricerca molto lunga, all’inizio ho guardato all’Occidente sperimentando con tecniche pittoriche come il puntillismo e l’arte astratta, cercando di usare quegli stili per esprimere il mio rapporto con la società, ma sono arrivato alla conclusione che l’avanguardia occidentale aveva senso nel suo contesto specifico, e che avrei dovuto trovare qualcosa che avesse senso per me nel mio contesto. Quello che mi affascina nella polvere da sparo è la sua natura allo stesso tempo creatrice e distruttiva. Per me quello che è centrale e fondamentale nella mia pratica è il momento dell’esplosione. Molti pensano che il mio obbiettivo siano i fuochi d’artificio, invece quello che mi interessa e mi affascina è l’esplosione in sé.
Molti dei tuoi lavori hanno una forte componente performativa e spesso coinvolgono il pubblico, allo stesso tempo ti dedichi alla pittura. Cosa accumuna queste pratiche artistiche?
Uno dei concetti più importanti nella mia arte è l’utilizzo del visibile per rappresentare il mondo dell’invisibile, e il momento transitorio della performance nello spazio pubblico, il momento dell’esplosione dei fuochi d’artificio unisce spazio e tempo. Nel momento dell’esplosione il tempo viene distorto, e l’energia che ne scaturisce dà la sensazione di essere uniti all’energia interna dell’universo. E allo stesso modo nella pittura si cerca di rappresentare qualcosa di invisibile in maniera visibile. Quando creo i miei eventi di fuochi d’artificio diurni succede che il pubblico, attraverso l’esplosione e la distorsione di spazio e tempo, riesca a percepire questa energia invisibile, e quando sono di fronte alla tela lo stesso accade a me stesso, nel tentativo di portare in superficie quello che è invisibile. Per me la parte difficile non è decidere cosa dipingere o come disporre la polvere da sparo, ma è la mia ricerca interiore e la continua esplorazione di cioè che c’è oltre la polvere da sparo come materiale, l’energia che posso liberare nel processo creativo.
E come si è concretizzato questo processo di ricerca interiore nella mostra agli Uffizi?
A differenza della mostra al Prado, in cui ho analizzato tematiche differenti, il tema della mostra agli Uffizi è strettamente floreale, e nel processo di dipingere i fiori ho cercato la spiritualità e l’essenza di questo tema. Tale scelta di utilizzare un solo soggetto mi provoca uno stato di tensione. L’obbiettivo che mi prefiggo, come ho detto, è la ricerca dell’invisibile, ma non sono sempre sicuro di cosa sto cercando e di quale sarà il risultato di questa ricerca. In questo caso mi sono ispirato alla Primavera di Botticelli e alla Medusa di Caravaggio come canali per individuare questa sintesi di forze, e ho trovato ispirazione nella collaborazione con i botanici degli Uffizi che hanno ricreato le piante che fiorivano nel giardino durante il Rinascimento. Tramite questo processo di ricerca sono riuscito ad andare più a fondo nella tematica che ho scelto per la mostra, nel ricercare la spiritualità dei fiori e allo stesso tempo quella della polvere da sparo.
Un momento importante della mostra è lo show con i fuochi a piazzale Michelangelo. A cosa ti sei ispirato nel progettare lo spettacolo?
Durante lo show diurno con i fuochi d’artificio a piazzale Michelangelo vorrei riportare in vita lo spirito dei maestri del Rinascimento, e utilizzare il cielo come una tela per toccare i cittadini con uno spettacolo unico. Sono sicuro che in quel momento riuscirò a liberare lo spirito dei maestri del Rinascimento e farlo fiorire nel cielo.
Al Prado hai avuto l’occasione di relazionarti con i quadri di El Greco, uno degli artisti che ha avuto maggior impatto sulla tua formazione artistica. Che sensazione hai provato nel confrontarti attivamente con le sue opere?
Per me le caratteristiche più importanti nelle opere di El Greco sono il senso di libertà e la spiritualità dei suoi dipinti. Durante il Rinascimento la maggior parte degli artisti si preoccupava di riprodurre esattamente l’anatomia umana o di trovare una palette di colori che rappresentasse la carnagione in maniera realistica, di sorpassare la percezione umana per arrivare a un ritratto scientifico, invece nelle opere di El Greco vi è la ricerca di un modo più libero di rappresentare la realtà. Quando ero al Prado e osservavo i suoi dipinti, ho pensato che fosse davvero un artista libero, e penso che per questo molti pittori moderni siano stati influenzati da El Greco, e che sia ritenuto un pioniere dell’Espressionismo. Per me la sua spiritualità è estremamente importante. Al Prado ho creato una serie di opere ispirate agli apostoli, e ho creato questo dittico utilizzando il principio dello Yin e dello Yang, così su uno dei pannelli è riprodotta l’immagine dei discepoli, mentre sull’altro sembra ci sia il fantasma della stessa figura. Un’altra opera che ho creato in relazione con El Greco è Giorno e notte a Toledo, in cui ho cercato di riprodurre il cambiamento temporale dall’alba al tramonto. Nei miei quadri il processo creativo non è molto diverso da quando creo i miei spettacoli di fuochi d’artificio diurni, è un processo che cerca di afferrare qualcosa di liquido e transitorio, che sia grande o piccolo, veloce o lento.
Qual è stata invece la sfida che hai affrontato nel concepire la mostra agli Uffizi e nel relazionarti con le opere di Caravaggio e Botticelli e con lo spazio espositivo?
Lo spazio e le opere presenti non mi danno una grande pressione e non costituiscono per me una sfida. Quando sono in dialogo con i maestri del passato, o mi ispiro alle loro opere, sento come se riflettessi sulla loro spiritualità usando una prospettiva contemporanea, mentre allo stesso tempo, inevitabilmente, rifletto sui problemi del presente e sugli elementi in comune tra presente e passato. Quello che è importante per me in questa mostra è che il direttore degli Uffizi, che è anche il curatore, ha deciso di esibire le mie opere nelle stanze successive a quelle dei maestri del tardo Rinascimento come Caravaggio e Rembrandt. Questa collocazione mi ha portato a mostrare lavori ispirati a Caravaggio nella prima galleria, e mi relaziono a Caravaggio attraverso la sua violenza e la sua energia allo stesso tempo mascolina e scherzosa. Nella seconda galleria l’installazione è molto densa, con più di quaranta opere e la disposizione riproduce l’installazione originale della galleria della famiglia Medici.
Quali opere animano questo spazio?
I quadri in questa stanza riproducono fiori e piante e alcune di queste opere riproducono i quadri di Botticelli, come la Primavera e la Venere. In questo spazio sono sia serio che giocoso in riferimento al Rinascimento, e dopo questa galleria inizio a staccarmi dalla pittura dei maestri e a focalizzarmi sul mio messaggio, creando quadri i cui soggetti vanno da fiori in bianco e nero all’opera I Modi, che ricrea il primo libro mai censurato nel 16esimo secolo, una serie di illustrazioni erotiche. Nell’ultima galleria è esibito un disegno ispirato al mio spettacolo di fuochi d’artificio, ed è forse la stanza che più mi rappresenta. Questo disegno fatto su carta giapponese con polvere da sparo colorata rappresenta il mio stile in maniera autentica.
Su cosa ti concentrerai dopo questa mostra?
La pittura e la sfida che dipingere comporta mi stanno occupando molto ultimamente, e mi sto concentrando di meno su altri progetti come le installazioni. Quando sono focalizzato sulla pittura, mi trovo di fronte non solo a quello che dipingere significa per me ma a quello che significa in relazione alla contemporaneità. La pittura oggi costituisce una sfida più grande di quella che è stata in passato. Mentre sto dipingendo non voglio mai smettere. Dopo aver lavorato intensamente dai tre ai cinque giorni, da una parte mi sento esausto mentre dall’altra mi sembra di aver appena iniziato, e so che questo deriva dal mio puro amore per la pittura e per quello che la pittura mi dà, uno stato di tranquillità, un’opportunità di dialogare con il mio io interiore, un processo che mi fa sentire contento e che mi permette di ritirarmi da questione storiche o sociopolitiche e di allontanarmi dal rumore per entrare in uno stato di eternità. Creando quadri ispirati ai capolavori del passato mi connetto con coloro che considero i miei predecessori e sento di provare quello che sentivano loro nel dipingere. Questa connessione con la storia dell’arte occidentale mi permette di fermarmi e ritirarmi e di cercare di essere sempre un artista d’avanguardia e di sfidare me stesso con qualcosa di nuovo, questa volta sono alla ricerca di un’opportunità per essere tranquillo, che è fondamentale per me.
Che valore ha la pittura per te?
Non posso dire che dipingere mi tiene occupato, perché non mi sento occupato. In ideogrammi cinesi la parola occupato è formata da due ideogrammi, quello a sinistra significa “cuore” e quello a destra “morte”, quindi morte del cuore, e per questo quando dipingo non sono occupato, anzi mi sento estremamente tranquillo e contento. A differenza di quando progetto le mie installazioni e ho a che fare con meeting con varie autorità per parlare del mio progetto, dipingere per me è un atto puramente individuale.
‒ Ludovica Capobianco
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