Raccontare Luigi Ghirri. Intervista alla figlia Adele e al direttore del Museo Reina Sofía
Attualmente in mostra presso il museo spagnolo, la fotografia di Luigi Ghirri è al centro delle riflessioni della figlia Adele e di Manuel Borja-Villel, direttore del Museo Reina Sofía di Madrid.
Luigi Ghirri scompare prematuramente nel 1992, a meno di cinquant’anni, e lascia alla seconda moglie Paola Borgonzoni ‒ madre della piccola Adele ‒ un vasto corpus fotografico realizzato in oltre vent’anni di attività. L’Archivio Luigi Ghirri ha sede a Roncocesi, frazione di Reggio Emilia, nella casa che il fotografo acquistò pochi anni prima di morire, forse proprio pensando al luogo ideale dove lavorare e conservare le proprie opere. È una tipica casa di campagna emiliana, dall’architettura squadrata con finestre verdi, un tempo circondata dai campi. Eredi di Ghirri sono oggi le figlie Ilaria e Adele, frutto dei due diversi matrimoni del fotografo. Adele, la più giovane, dal 2011 ha raccolto il testimone dalla madre Paola e oggi vive e lavora stabilmente nella casa di Roncocesi.
“Fino al 2011 mia madre si è impegnata nella valorizzazione e divulgazione dell’opera di Ghirri. Dopo la sua scomparsa, ho voluto portare avanti questo lavoro: un onore e una grande responsabilità. Da sempre la mia passione è l’arte contemporanea: dopo la laurea in filosofia, ho preso un master alla Goldsmiths University di Londra, prima di dedicarmi a tempo pieno all’archivio”.
Che tipo di attività svolge oggi l’Archivio Luigi Ghirri?
È una struttura privata, gestita a livello familiare. Qui è custodito un fondo con numerose stampe vintage, i libri fotografici, i documenti e l’ampia biblioteca di mio padre. A partire dagli Anni Novanta, invece, tutti i negativi e il materiale su pellicola sono in deposito alla Fototeca della Biblioteca Panizzi, a Reggio Emilia. L’Archivio è il punto di riferimento per studenti, curatori e fotografi, e vi si accede solo con appuntamento. Speriamo in futuro di poter creare una struttura più aperta. La nostra idea è renderlo un luogo vivo, produttivo per incontri e dialoghi.
Che ricordi ha di suo padre?
Sono nata nel ’90 e purtroppo non ho ricordi vivi di lui: gestire il lascito di un genitore di cui non si ha memoria è complesso. Lavorando all’archivio, però, dialogo idealmente con lui ogni giorno attraverso le sue immagini. Mia sorella Ilaria, invece, che aveva ventuno anni quando nostro padre morì, ha vissuto da vicino molte fasi del suo lavoro e ha viaggiato spesso con lui. La sua memoria storica e personale per me è un punto di riferimento.
Qual è secondo lei l’importanza della mostra di Madrid?
La mostra del Reina Sofía è una preziosa occasione per far conoscere Ghirri al pubblico dei musei. Sono pienamente d’accordo anche con la scelta critica di James Lingwood, che ha voluto limitare le opere esposte alla decade dei Settanta. È la fase più sperimentale, intrigante anche se la più complessa della sua ricerca fotografica, che contiene già in nuce le basi di tutta l’opera successiva, condotta negli Anni Ottanta.
INTERVISTA A MANUEL BORJA-VILLEL, DIRETTORE DEL MUSEO REINA SOFÍA
Come è nata l’idea di una grande retrospettiva dedicata a Luigi Ghirri a Madrid?
Siamo stati i primi a voler portare l’opera di Ghirri fuori dall’Italia: la mostra, che ha debuttato in primavera a Essen, in Germania, è prodotta interamente dal Reina Sofía e sarà ospite nel 2019 al Jeu de Paume a Parigi. Ghirri è un magnifico fotografo, purtroppo poco noto al grande pubblico spagnolo, se non tra gli specialisti del settore. È un artista per artisti, raffinato e innovatore. Chi conosce il suo lavoro conosce anche i suoi testi sulla fotografia, ancora oggi illuminanti.
Perché avete scelto di “limitare” la mostra alla pur vasta produzione degli Anni Settanta?
Ghirri è un catalizzatore di tendenze, che ritrae in maniera originale i cambiamenti sociali ed economici dell’Italia: quando nasce l’Arte Povera, Eco dibatte i dilemmi sulla cultura di massa in Apocalittici e integrati e Dorfles riflette sul valore artistico del kitsch, Ghirri con le sue inquadrature, prive di drammi e di emozioni, riflette sulla vita comune della classe media. È proprio nei primi Anni Settanta, quando si dedica alla fotografia in maniera esclusiva ed elabora la sua estetica basata sul ruolo del linguaggio fotografico per la costruzione di un’identità moderna.
Cosa rappresenta Ghirri nel panorama della fotografia del XX secolo?
Rispetto allo stile di Cartier-Bresson, alla fotografia d’autore, in cui l’immagine in bianco e nero è spesso sintesi di un racconto, testimonianza di un evento, gli scatti a colori di Luigi Ghirri, realizzati con una tecnica solo apparentemente amatoriale, sono in realtà una alternativa e un’innovazione. Il suo stile è concettuale, non documentaristico.
Il Reina Sofía ha attualmente in collezione qualche opera di Ghirri?
No, purtroppo a Madrid non abbiamo fotografie di Ghirri in collezione permanente. La retrospettiva, però, si lega idealmente alla recente donazione al museo della famiglia Autric-Tamayo: oltre 650 immagini, scattate dai tredici fotografi del Gruppo Afal (dal nome della rivista specializzata) che ritrassero la Spagna tra gli Anni Cinquanta e Settanta, parte delle quali sono esposte ora al quarto piano.
‒ Federica Lonati
Madrid // fino al 7 gennaio 2019
Luigi Ghirri. La mappa e il territorio
MUSEO NAZIONALE REINA SOFÍA
Calle Santa Isabel 52
museoreinasofia.es
Articolo pubblicato su Grandi Mostre #13
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