Tutti i colori del mondo. Intervista a Cruschiform
Tra divulgazione, gioco e poesia, le 133 tavole del volume “Colorama”, firmato dall’illustratrice francese Marie-Laure Cruschi, in arte Cruschiform, guidano alla scoperta delle molte sfumature cromatiche che abitano il mondo, contribuendo a plasmarne la storia e la cultura.
Che il colore sia uno dei principali filtri attraverso i quali interpretiamo la realtà è cosa nota, e non è infrequente che i graphic designer si misurino anche dal punto di vista teorico con quello che è uno degli strumenti fondamentali del loro lavoro. L’aspetto cromatico delle cose, però, esercita una grande attrattiva anche sui bambini, e rappresenta un formidabile veicolo di espressione delle emozioni. A tenere insieme questi due aspetti, un libro illustrato che è già diventato un piccolo classico della letteratura per l’infanzia: in Colorama, edito da Gallimard lo scorso anno e subito tradotto da L’Ippocampo, vincitore del Premio Andersen 2018, l’illustratrice francese Cruschiform, al secolo Marie-Laure Cruschi, ha realizzato una sorta di campionario poetico e sentimentale del colore nel quale 133 sfumature sono accompagnate da un’illustrazione e un breve aneddoto testuale. A identificarle non troviamo le fredde sequenze alfanumeriche alle quali ci hanno abituati i modelli di colore più usati nell’industria grafica e nel design, dal campionario Pantone con le sue 1144 tinte diverse ai sistemi CMYK e RGB, ma nomi suggestivi che vanno dal Chiaro di Luna al Rosso Ferrari e al Rosa Fenicottero. In fondo al libro c’è anche una chicca: il doppio indice, che da un lato segue la scala cromatica e dall’altro si diverte a classificare le voci dal punto di vista tematico. Abbiamo incontrato l’autrice a Milano, in occasione dell’inaugurazione di una mostra di tavole originali del libro ospitata dall’Institut Français e della presentazione di un gioco di carte ispirato al libro, e abbiamo colto l’occasione per un confronto sulle varie anime del colore.
Oggi l’approccio al colore che si adotta più di frequente è di tipo scientifico, tendiamo a classificare le tinte secondo un codice numerico, come avviene per esempio nel catalogo Pantone o nei modelli di colore usati per la visualizzazione a schermo (RGB) o per la stampa (CMYK). Il tuo Colorama è piuttosto una sorta di “tassonomia sentimentale” e culturale del colore. Perché questa scelta?
Da sempre amo raccogliere, classificare, repertoriare le cose che mi circondano per temi. Gli strumenti di classificazione, in generale, mi affascinano e anche le scale colorimetriche utilizzate dai fabbricanti di pittura ne fanno parte. Oggi Pantone gode di un ruolo egemonico nel mercato dei colori, ma è importante ricordare che studiosi di ogni genere e orientamento hanno cominciato a identificare e repertoriare i colori molto prima dell’era Pantone. Già nel 1789 alcuni fisici inventarono il Cianometro (un cerchio cromatico che serviva a misurare il blu del cielo in funzione del tasso di umidità). Nel corso del secolo successivo videro la luce importanti opere di nomenclatura dei colori che mettevano in corrispondenza tra loro elementi della fauna, della flora e minerali, o servivano come strumento di studio a particolari categorie professionali, dai giardinieri agli ornitologi, dagli artigiani agli artisti. Mi inscrivo quindi in una pratica che ha più di due secoli.
E oggi?
Oggi esistono milioni di classificazioni diverse nel mondo. Ma quello è che interessante constatare è che nessuna è universale. La percezione dei colori è per definizione soggettiva e varia da un individuo all’altro per ragioni puramente fisiologiche ma anche in funzione delle culture e del periodo storico. Erano proprio questa soggettività della percezione e il potere evocativo dei colori a interessarmi. Il piacere di creare un repertorio illustrato è nato dalla voglia di dare al colore un posizionamento nuovo, di trattarlo come un vettore emozionale e uno strumento di straordinaria sensibilità per scoprire il mondo.
Come si è sviluppato il progetto? Per quanto tempo ci hai lavorato?
Colorama si è costruito ed è cresciuto durante un periodo di quasi quattro anni. Sono illustratrice di professione e il mio primo impulso in questo progetto è stato senz’altro quello di rendere omaggio a ciò che sta alla base del mio lavoro. Con il colore ho da sempre un rapporto molto intimo, per me è una fonte di ispirazione, un supporto creativo ma anche un vettore di emozioni. Quando ho cominciato a chiedermi seriamente quale fosse l’origine di certe sfumature, del loro nome, o come venissero prodotte, ho realizzato che ogni colore poteva essere una vera e propria finestra aperta sul mondo. Lungo tutta la fase di elaborazione del libro mi ha sostenuta la sete di imparare cose nuove. Una curiosità e un desiderio di conoscenza che ho cercato di risvegliare nei lettori di qualunque età, attraverso una struttura semplice e facile da afferrare grazie ai sensi ma comunque in grado di produrre meraviglia. Il lettore può lasciarsi trasportare da una lettura continua, lasciandosi andare a un viaggio nel meraviglioso mondo dei colori, oppure può vagabondare in libertà secondo la sua sensibilità. Credo che Colorama ‒ che si trova al confine tra due generi, illustrazione e documentario ‒ trovi il suo equilibrio grazie all’uso simultaneo di diversi approcci: ludico, didattico e poetico.
I testi sono brevi ma densi, ricchi di informazioni. Che importanza ha la documentazione nel tuo lavoro?
Quando mi lancio in un progetto editoriale, mi piace pensare ai contenuti e alla forma come a un tutto. Dall’idea alla realizzazione, mi piace poter abbracciare l’insieme delle attività e dei saperi necessari all’elaborazione dell’opera. Per questo libro ho dovuto accordare un’attenzione particolare alla scrittura e alla documentazione e uscire dalla mia zona di comfort per avventurarmi nella ricerca. Mi sono appoggiata alle ricerche dello storico Michel Pastoreau e della linguista Annie Mollard-Desfour, entrambi grandi specialisti del colore, e da lì ho potuto cominciare a raccogliere informazioni e storie in diversi ambiti delle scienze e delle arti. Ma non è stato sufficiente. Poiché desideravo condividere questo sapere con un gran numero di lettori, ho passato mesi a lavorare sulla scrittura, sulla sintesi e sulla sensibilità per poter trasmettere uno sguardo nuovo sul mondo dei colori rendendolo accessibile a tutti.
Hai scelto 133 colori, mentre per esempio il campionario Pantone ne conta più di mille? È stata una scelta difficile?
Il colore è dappertutto. Che si tratti di uno strumento di segnalazione nel dialogo pianta-insetto, di un vettore semantico quando viene utilizzato come simbolo culturale o religioso, che sia la materia di un procedimento chimico come nel caso di un pigmento organico o minerale, o ancora il risultato di un complesso fenomeno ottico… Il colore è il campo infinito che fa la ricchezza del nostro mondo. È un terreno di esplorazione inesauribile. Era importante per me in quest’opera restituire il senso di questa abbondanza e diversità senza lasciare che un ambito particolare predominasse sul resto. Così ho esplorato indifferentemente le scienze, la storia dei popoli, il mondo vegetale, il regno animale, le tradizioni, la cultura popolare…Nel tempo le mie ricerche mi hanno portata a repertoriare più di 200 sfumature di colore, ognuna con un breve aneddoto sulla sua origine. Ma ho dovuto fare delle scelte perché il formato del libro non poteva contenerne più di 133.
Quali sono stati i criteri?
Ho scelto in funzione dell’interesse dell’aneddoto, della particolarità del colore e del posto che avrebbe potuto avere nell’opera finita. Quando due sfumature erano troppo vicine tra loro, o un ambito era troppo rappresentato, ho dovuto procedere per eliminazione, Per questo ho dovuto trovare un compromesso tra la mia soggettività e il pragmatismo, per poter affrontare sia colori molto noti al pubblico che sfumature dalla risonanza più personale.
Qual è il tuo colore preferito?
È sempre difficile citarne uno soltanto. Diciamo che il “glauco”, che illustro nel mio libro con un mazzo di fiori, è un colore che risveglia in me molti ricordi. Il termine glauco, che associamo, per lo meno in francese, in senso peggiorativo a un sentimento di disgusto, è usato in botanica per indicare un colore molto particolare e difficile da descrivere che si allontana dal verde per fondersi con l’azzurro e il grigio. Si tratta in realtà di uno stratagemma elaborato dal mondo vegetale per proteggersi dai raggi del sole. Rivestito da una specie di crema solare, il fogliame assume allora una tinta bluastra che gli permette di affrontare il caldo intenso. Sono cresciuta nel sud della Francia e questa sfumatura caratteristica delle piante mediterranee che ricoprivano letteralmente il mio giardino, come la lavanda, la salvia, l’eucalipto, l’elicriso o il carciofo, mi ha cullata per tutta l’infanzia.
‒ Giulia Marani
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