Collezionismo e filantropia. Intervista a Patrizia Sandretto Re Rebaudengo

Premiata a Genova nell’ambito del Festival dell’Eccellenza al Femminile, Patrizia Sandretto Re Rebaudengo racconta la sua esperienza ventennale nel campo dell’arte contemporanea e del collezionismo. Con molto entusiasmo e tante idee.

Patrizia Sandretto Re Rebaudengo è una grande collezionista, realmente appassionata di ciò che fa per diffondere l’arte e perché crede nei giovani.
Venerdì 23 novembre era a Genova, al Teatro Duse, dove nell’ambito della XIV edizione del Festival dell’Eccellenza al Femminile, organizzato da Consuelo Barilari, è stata insignita del Premio Ipazia alla Donna Eccellente 2018. Questo premio è un riconoscimento nazionale e internazionale per le donne che si siano distinte con il proprio operato nei campi dell’arte e della cultura, contribuendo al miglioramento del proprio Paese e, tramite il proprio impegno, al miglioramento della condizione femminile.
Ne abbiamo parlato con lei.

Quando hai iniziato a collezionare, cosa hai provato verso le opere che ti hanno colpita? Si è trattato di istinto, conoscenze, cultura o altro? Cosa può dare l’arte, oggi, a una persona?
Prima ancora delle opere, ciò che mi ha colpito sono stati gli artisti. A Londra, durante un viaggio nel 1992 – un viaggio che considero l’origine della mia collezione –, ho capito dai miei primi studio visit che l’arte contemporanea mi offriva la straordinaria possibilità di dialogare con gli artisti, artisti viventi, immersi nel mio stesso tempo. Questa possibilità di condivisione – assente nell’arte antica – è ciò che mi ha spinto a intraprendere il mio percorso collezionistico e poi a farlo evolvere nella Fondazione. Ho viaggiato, visitato i musei e le gallerie in giro per il mondo. Ho cominciato ad acquistare libri e cataloghi, a documentarmi e a studiare. Lo studio, il viaggio e lo studio visit, ancora oggi, sono due aspetti centrali del mio approccio collezionistico. Di un’opera apprezzo la capacità di interpretare la realtà che ci circonda: un’emozione, un’emergenza, un sentimento collettivo, un’istanza politica. Mi interessa quella precisa angolatura che l’artista riesce a trovare e alla quale riesce a dare forma per raccontarci in modo inatteso qualcosa di noi e del mondo. Un’opera deve saper aprire un varco nel tempo, affacciarsi sul futuro anche quando ci parla del presente o del passato più remoto.

Perché collezionare arte contemporanea?
Perché gli artisti sono portatori di prospettive inedite sulla contemporaneità, di visioni non semplicistiche su temi e problemi che ci riguardano. L’arte ci insegna a essere aperti, elastici, flessibili: ci chiede un’evoluzione mentale, la disponibilità a entrare in contatto con la differenza, a misurarci in profondità anche con ciò che non comprendiamo a prima vista. Un esercizio che, ne sono certa, favorisce le relazioni, la convivenza, il confronto dialettico. Una delle caratteristiche dell’arte – soprattutto dell’arte contemporanea – è la libertà. Credo che l’arte conceda a ognuno di noi uno spazio per osservare liberamente il mondo, fuori cioè dalle convenzioni, dagli stereotipi e dalle narrazioni dominanti. Questa prospettiva ci dà l’opportunità di approfondire temi, problemi, perfino emergenze e criticità del presente in modo non prefissato, non scontato. Per questo amo l’arte, la colleziono e la promuovo.

Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, Torino

Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, Torino

Come definiresti con tre aggettivi le caratteristiche che più ti colpiscono o che, secondo te, sono più interessanti in un’opera d’arte o in un artista?
Inaspettato, sorprendente, thought-provoking.

Esistono differenze significative, secondo te, tra un collezionismo maschile e uno femminile o di coppia, nelle scelte, nell’ordinamento della collezione, ecc.?
Una vera collezione – una collezione intesa non come forma di investimento – è lo specchio di chi l’ha pensata e realizzata. Riflette l’identità del collezionista: un uomo, una donna, una coppia. Credo che esistano delle differenze, differenze di genere ma anche culturali, intellettuali, emotive. Quando ho iniziato a collezionare ho seguito una serie di tematiche: mi hanno permesso di focalizzare e ordinare la mia ricerca. Tra queste una era riservata all’arte delle donne. È stata una scelta spontanea: come spiegavo, l’arte è uno strumento di condivisione e il confronto con le artiste mi è sembrato necessario e d’altra parte naturale.

Quali artiste sono presenti nella tua collezione?
Ho iniziato collezionando opere di Cindy Sherman, Barbara Kruger, Sherrie Levine, continuo oggi con le più giovani, con Rachel Rose, Andra Ursuta, Lynette Yiadom-Boakye, Monster Chetwynd, protagoniste delle quattro mostre personali inaugurate nel novembre 2018 a Torino. Le loro quattro grandi stanze creano una coralità fatta di voci singolari, di opere che ci raccontano la molteplicità degli approcci e delle visioni delle artiste di oggi. In Fondazione, come nella collezione, ho sempre cercato di dare massima visibilità e sostegno alle artiste, nella programmazione espositiva corrente, ma anche riservando loro uno spazio specifico, come nel caso del 2004, un anno interamente dedicato all’arte delle donne, aperto da una bellissima personale di Carol Rama.

Di quanti pezzi si compone la tua collezione? So che è disseminata in diverse sedi: è sempre completamente visibile e usufruibile, cioè è “esposta” o anche in parte “archiviata”? Con quale criterio?
Oggi la collezione è formata da oltre mille opere, insieme a 3mila fotografie datate a partire dal 1839, l’unico nucleo di opere storiche che ho acquisito nel tempo, sul filo della mia grande passione per la fotografia contemporanea.
La conservazione è un aspetto importante della vita di una collezione e quindi le opere sono censite, studiate e custodite in depositi improntati agli standard di tutela e di sicurezza più aggiornati. I depositi sono in realtà spazi di transito: ho sempre voluto imprimere alla mia collezione personale una forte dinamicità, per esempio attraverso i prestiti espositivi. Concedere un prestito è un antidoto all’idea della collezione come entità segreta, privata, tesaurizzata, a favore, invece, di un’arte intesa come strumento culturale, sociale e socievole.
Amo vivere circondata dai lavori che ho scelto negli anni, amo condividerli nella mia casa con la mia famiglia, gli amici, gli ospiti. Alcune installazioni di grande formato sono fisse, tutto il resto cambia periodicamente.

Patrizia Sandretto Re Rebaudengo e gli interlocutori della tavola rotonda. Festival Eccellenza Femminile, Genova 2018. Photo Premio Ipazia a cura di Consuelo Barilari

Patrizia Sandretto Re Rebaudengo e gli interlocutori della tavola rotonda. Festival Eccellenza Femminile, Genova 2018. Photo Premio Ipazia a cura di Consuelo Barilari

Che rapporto c’è tra la Fondazione e la collezione?
La Fondazione non è il museo della collezione, ma un centro che sostiene le ricerche delle ultime generazioni, che produce nuove opere e nuove mostre, rese vive, oltre che visibili, grazie a un intenso programma di eventi, conferenze, laboratori, grazie all’attività educativa e alla mediazione culturale. La collezione viaggia per il mondo. È stata presentata negli spazi di istituzioni come, tra le altre, la Whitechapel Gallery di Londra, il Centro de Arte Contemporanea di Quito in Ecuador, il Kunstmuseum di Trondheim in Norvegia, la me Collectors Room di Berlino. Nel 2018 il RAM di Shanghai le ha dedicato la mostra Walking on the fade out lines e il Touchstones Rochdale di Manchester la mostra Herstory: Women Artists from the Collection of Patrizia Sandretto Re Rebaudengo

Qual è l’opera che ami di più, l’opera che non sei riuscita ad avere e l’opera che vorresti avere di più?
Ogni opera rappresenta un momento speciale di incontro: la conoscenza diretta dell’artista fa parte del mio collezionare. Ciò che mi interessa è prendere parte a un percorso, a un ragionamento, a un progetto, non limitarmi unicamente a una scelta. Tra le opere che mi sono care posso citare Love is Great (1994) di Damien Hirst, Viral Research (1986) di Charles Ray, Untitled Film Stills (1978-1980) di Cindy Sherman e, ovviamente, la mascotte della collezione, lo scoiattolino suicida di Maurizio Cattelan, Bidibidobidiboo (1996). David Hammons mi interessa, mi piacciono le sue sculture che smontano gli stereotipi della società capitalista. Per qualche motivo, però, tutte le volte che ho cercato di comprare una sua opera, non ci sono riuscita.

Qual è il ruolo di una fondazione come la tua? Come si distingue l’attività di una istituzione privata rispetto alle pratiche di un luogo espositivo museale? Può esserci un dialogo costruttivo tra pubblico e privato?
La Fondazione Sandretto Re Rebaudengo è nata anche a partire dal proposito di sperimentare la collaborazione tra pubblico e privato. È nata in una città come Torino per affiancare i musei pubblici – la GAM ‒ Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea e il Castello di Rivoli – svolgendo un’attività che, sul modello europeo delle kunsthalle e dei kunstverein, fosse capace di sostenere e diffondere le ricerche delle giovani generazioni artistiche, quelle che, negli anni Novanta, soprattutto in Italia, avevano difficoltà ad accedere a uno spazio istituzionale. Non si trattava dunque di sovrapporsi, ma di aumentare il ventaglio tipologico degli spazi, delle loro missioni. La Fondazione è cresciuta in una città dove, in quei primi anni Duemila, l’arte contemporanea è stata riconosciuta come asset strategico nel percorso di trasformazione dell’identità urbana, nel quale la collaborazione pubblico-privato rappresentava un motore nella costituzione di un vero e proprio sistema. La Fondazione è un’istituzione privata che si comporta come un museo, che investe per esempio molte risorse sull’educazione, la mediazione culturale, la formazione specialistica, assumendo quotidianamente le funzioni di un’agenzia educativa. Rispetto a un museo pubblico, possiamo mettere in campo maggiore flessibilità, sperimentare nuovi approcci e nuove pratiche con una più ampia libertà e rapidità.

Fundación Sandretto Re Rebaudengo, Matadero Nave 9, Madrid

Fundación Sandretto Re Rebaudengo, Matadero Nave 9, Madrid

Dopo la sede di Guarene e di Torino, aprirai una nuova struttura anche a Madrid. Perché proprio in Spagna?
Le sedi di Torino e di Guarene d’Alba e il nuovo centro nella Nave 9 del Matadero di Madrid danno vita a una costellazione, disegnano una nuova geografia che interpreta un’idea di Europa basata sulla reciprocità fra luoghi, comunità, saperi e culture. Il sogno di aprire una nuova fondazione mi ha portato in questi anni a visitare molte città e numerosi spazi. Ho scelto Madrid perché considero la Spagna la mia seconda patria e perché lo spagnolo è una lingua che conosco bene e che mi è molto familiare. Ho scelto Madrid perché è una grande capitale globale e perché è un ponte verso la cultura latino-americana, una scena in crescita, che guardo da tempo con molta attenzione.

Quali sono le differenze, anche vocazionali, tra questi luoghi geograficamente “distanti” tra loro?
Sono convinta che le vocazioni profonde si costruiscano nel tempo, che siano l’esito di esplorazioni, scoperte e, soprattutto, di attenzione e capacità di ascolto dei luoghi e delle comunità che li abitano. È ciò che abbiamo cominciato a fare a Madrid a partire dalla costituzione nel 2017 della Fundación Sandretto Re Rebaudengo. Più di vent’anni di esperienza a favore dell’arte contemporanea mi hanno portato a compiere questo passo, mossa dal desiderio di ampliare la sfera d’azione dell’istituzione che ho costituito nel 1995, portandola nel contesto di una grande metropoli europea. Le due fondazioni – due istituzioni distinte – saranno unite da un forte dialogo, da reciprocità e scambi. Non mi interessa però semplicemente esportare un modello, impiantarlo in una nuova città. Mi preme che, come a Torino, la Fundación di Madrid guadagni una sua speciale fisionomia, un’identità aperta, internazionale e permeabile al contesto.

La Fondazione Sandretto Re Rebaudengo ha creato il Comitato delle Fondazioni Italiane Arte Contemporanea nel 2014 e proprio tu lo presiedi. Qual è la vostra mission? Chi fa parte del Comitato e chi ne potrebbe far parte e a quali condizioni imprescindibili?
Il Comitato è nato il 22 settembre 2014, a Torino, proprio alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, la sede dove lo abbiamo poi presentato pubblicamente con il convegno L’importanza di essere contemporanei. Arte contemporanea: turismo e distretti culturali fra politiche pubbliche ed energie private. È una rete di cui fanno parte (14) fondazioni attive in tutta Italia, da Torino e Milano a Venezia, da Roma a Catania. I criteri di ammissibilità che ci siamo dati con il nostro statuto è che siano istituzioni non profit, accomunate da missioni che si prefiggono la promozione dell’arte contemporanea e che siano aperte al pubblico, prevedano dunque l’accoglienza dei visitatori e in molti casi programmi dedicati alle loro diverse fasce di età. Il Comitato si prefigge di valorizzare e mettere a disposizione l’insieme di competenze che le nostre fondazioni da anni, nel nostro Paese, assicurano nel campo delle mostre, della ricerca, della sperimentazione e del sostegno delle giovani generazioni nazionali e internazionali. Le fondazioni che ne fanno parte hanno vocazione internazionale, sono impegnate quotidianamente nei loro territori, sono coinvolte in una stretta relazione con le comunità locali, per esempio attraverso la sfera dell’educazione e del confronto con il mondo della scuola.

Una simile rete di strutture private ha un grande senso, soprattutto oggi che la scarna rete museale italiana dedicata all’arte contemporanea è abbastanza latitante o gode di risorse assai limitate. Sono possibili un dialogo e/o azioni congiunte tra i due sistemi, privato e pubblico? Cosa potete offrire di più (o di meno) ai vostri visitatori?
Il Comitato non ha scopo di lucro ed è nato con il fine prioritario di aprire un’interlocuzione con il pubblico, un dialogo rispecchiato dal Protocollo di intesa firmato con il MiBAC nel giugno 2015. Il confronto con il Ministero ha raggiunto un obiettivo molto importante con la nascita dell’Italian Council, un progetto della Direzione Generale Arte e Architettura contemporanee e Periferie urbane, concepito per promuovere la produzione, la conoscenza e la disseminazione della creazione contemporanea italiana nel campo delle arti visive. Si tratta di un progetto che il nostro Comitato ha fortemente sollecitato.
Nel mese di aprile 2019, il Comitato proporrà un progetto collettivo diffuso, dedicato all’arte italiana, che coinvolgerà molte delle sedi delle fondazioni aderenti.

Maurizio Cattelan, Bidibidobidiboo, 1996. Photo Zeno Zotti

Maurizio Cattelan, Bidibidobidiboo, 1996. Photo Zeno Zotti

Il “mecenatismo” e i suoi significati oggi: ti consideri, in definitiva, una “mecenate” dell’arte (aprendo la tua collezione al pubblico, producendo mostre, ospitando artisti, ecc.)?
Mi piace molto la parola filantropia. Oltre a essere la presidente della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, sono presidente dal 2017 della Fondazione IEO-CCM che sostiene i progetti di ricerca cardiovascolare e oncologica dell’Istituto Europeo di Oncologia e del Centro Cardiologico Monzino: due fondazioni molto diverse che hanno però in comune la centralità della ricerca. In entrambi i campi, quello culturale e quello scientifico, mi prefiggo di interpretare il mio ruolo di presidente secondo una prospettiva filantropica. Nella lingua italiana la parola filantropia suona antica, non immediatamente collegata alla contemporaneità e all’innovazione. Nell’inglese il termine “philanthropy” ha un preciso significato tecnico: definisce l’inclinazione o l’azione di chi, avendo risorse economiche, decide di destinarle ad attività sociali, artistiche, culturali. Mi interessa proprio questo approccio attivo, impegnato, che mette a disposizione economie, idee, reputazione, capacità di comunicazione, relazioni e reti sociali a favore dell’interesse collettivo e della comunità. Scienza e arte, salute e cultura: sono convinta che, nelle rispettive pertinenze, siano elementi essenziali per il benessere e la crescita dei singoli e delle comunità.

La committenza contribuisce a promuovere e a sviluppare l’arte del futuro?
Il sostegno ai giovani artisti è una delle principali missioni della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo. È un sostegno che si concretizza non solo attraverso le mostre, ma soprattutto attraverso la produzione di opere. La committenza è senza dubbio una forma di mecenatismo ed è uno dei motori della nostra storia dell’arte. È fondamentale darle continuità, naturalmente in versione aggiornata. Pensiamo sia necessario offrire agli artisti occasioni di produrre nuove opere e per questo abbiamo di recente avviato una collaborazione con il Philadelphia Museum of Art con il programma “Future Fields Commission in Time-Based Media” per la committenza e produzione di opere in video, digitale e performance. Fino a febbraio, nelle nostre sale espositive di Torino, presentiamo Wil-O-Wisp, un video di Rachel Rose, la prima opera prodotta in questa nuova serie.

E sul fronte della curatela?
Dal 2007 promuoviamo lo “Young Curators Residency Programme”, grazie al quale ogni anno tre giovani e promettenti curatori, provenienti dalle migliori scuole specialistiche del mondo, fanno un lungo viaggio in Italia accompagnati da un nostro tutor. Il viaggio permette loro di conoscere direttamente i giovani artisti e la scena italiana, i suoi protagonisti, i musei, le fondazioni, le gallerie, gli spazi non profit. La residenza si conclude con una mostra di artisti italiani alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo. Grazie a questo progetto abbiamo potuto promuovere l’arte italiana emergente con numerosi giovani curatori stranieri, molti dei quali hanno poi intrapreso una brillante carriera, spesso continuando a coinvolgere gli artisti italiani conosciuti durante la residenza anche dopo la sua conclusione.

Linda Kaiser

www.eccellenzalfemminile.it

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Linda Kaiser

Linda Kaiser

Linda Kaiser (Genova, 1963) è laureata in Storia della critica d’arte all’Università di Genova, dottore di ricerca in Storia e critica dei beni artistici e ambientali all’Università di Milano, specializzata in Storia dell’arte contemporanea alla Scuola di Specializzazione in storia…

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