Costellazioni per un arcipelago. La mostra curata da Rosa Martinez a Malta
C’è tempo fino al 9 dicembre 2018 per vedere l’ultimo progetto di Rosa Martinez: una mostra in tre isole e disseminata fra templi neolitici, cripte e case popolari. Una costellazione per farsi guidare o per costruire nuove rotte di navigazione in mezzo al Mar Mediterraneo che circonda Malta. La mostra "Constellation Malta", infatti, è stata disegnata per Valletta 2018, Capitale della Cultura Europea e ha coinvolto moltissimi artisti internazionali e locali: da Marina Abramović ad Austin Camilleri, da Chiharu Shiota a Eulalia Valldosera a Kyung-Jin Cho. In questa intervista Rosa Martinez racconta la costruzione della mostra, da come era nei suoi sogni alla realtà.
Quando hai deciso che una mostra in più luoghi rappresentava il migliore approccio possibile per indagare la natura e l’identità dell’arcipelago maltese?
L’idea del percorso è ormai una strategia che connette le arti visive con il territorio. Suggerire la scoperta di una città grazie all’intervento site specific di un artista all’interno di uno spazio urbano ha una lunga storia nelle presentazioni artistiche. Il fatto che a Malta non esistessero un museo o una kunsthalle totalmente dedicati all’arte contemporanea è stato l’elemento cruciale per la scelta finale di utilizzare diversi luoghi. Il progetto, sviluppato toccando tutte e tre le isole dell’arcipelago, è stato particolarmente ambizioso, specie se si tiene conto del budget limitato e di quanto il team di Valletta 2018 fosse già impegnato nell’organizzazione di numerose attività inserite all’interno del programma. Ma io credo fermamente nei miracoli, così come credo che sia sempre necessario volare alto nella fase progettuale, specie tenendo conto del fatto che poi la realtà tenta sempre di riportarti a terra. Così abbiamo iniziato a sognare l’impossibile e alla fine abbiamo costruito su questo il possibile, che è poi quello che gli spettatori possono vedere in mostra.
Nella fase in cui selezionavi i siti e i progetti, hai discusso direttamente con gli artisti i luoghi in cui era possibile fare un intervento, o al contrario è stato il luogo a suggerirti il nome dell’artista? In altri termini, hai pensato a un artista in particolare ogni volta che esaminavi un possibile spazio?
Una mostra è sempre la risultante di un dialogo continuo in cui, prima di tutto, bisogna capire i desideri dell’istituzione al fine di proporre qualcosa di innovativo, non solo rispetto alla scena locale, ma anche in relazione al contesto internazionale. La mia scelta come curatore è quella di studiare la storia di un luogo e di optare per dei luoghi che non sono mai immediati (e che di solito comportano lunghe negoziazioni). Nella mia metodologia la cornice teorica che ho costruito si integra con gli interrogativi filosofici, estetici e politici del nostro tempo, oltre che con una lista di artisti (che a questi interrogativi si possono relazionare). A volte un lavoro già esistente risulta essere la scelta migliore per creare un dialogo con un contesto specifico, come è successo per l’installazione sonora di Kyung-Jin Cho per la Magdalene’s Church. Altre volte è l’artista a indicare un sito. Questo è stato il caso di Eulalia Valldosera, che desiderava creare un progetto per la grotta di Calypso e Ulisse, e che poi alla fine ha creato una meravigliosa installazione site specific, Resurrection, per la Cripta di Żejtun. Quando gli artisti conoscono profondamente il proprio territorio, poi, si realizzano opere come l’incredibile Disgha di Austin Camilleri. Disgha si espande per tutte e tre le isole dell’arcipelago offrendo una riflessione profonda ed estremamente poetica sui concetti di temporalità, materialità e lingua.
Il progetto Ready-mades in Malta sembra ridiscutere l’idea tutta contemporanea di una post-fotografia, cercando di ricollegare le origini di questa pratica con i collage dada. Che cosa ti aspettavi quando hai inizialmente discusso il progetto e che cosa hai trovato particolarmente interessante del risultato finito?
Il progetto discute soprattutto il luogo comune secondo il quale è il gesto artistico a trasformare un oggetto qualsiasi in opera, specie se legittimato dalla firma dell’artista e/o dal potere istituzionale di un museo. Credo che l’installazione ridiscuta anche l’idea di Joseph Beuys che chiunque può essere un artista e suggerisca di guardare alla realtà che ci circonda con un occhio critico. Le immagini presentate sotto i bellissimi archi delle case popolari di Senglea ci invitano a riscoprire la bellezza e l’ironia della vita quotidiana. Mi hanno emozionato i risultati di questo progetto, divertenti e al tempo stesso carichi di significato.
I luoghi che hai selezionato sono tutti molto diversi tra loro, vanno da siti del patrimonio culturale alle case popolari, ma il risultato finale è estremamente coerente. Quali sono stati gli aspetti che ti hanno guidato nella selezione?
Lo staff di Valletta 2018 è stato davvero cruciale perché ha saputo accompagnarmi nella scoperta del territorio e dei suoi luoghi. Inizialmente volevamo usare le catacombe, perché alcuni scavi recenti hanno portato alla luce scoperte davvero eccezionali, ma la logistica e le risorse economiche necessarie per rendere il luogo sicuro lo hanno reso impossibile. Così abbiamo deciso di optare per altri luoghi, dovendo avviare lunghe trattative per ottenere i permessi dalle diverse istituzioni coinvolte. Credo che sia stato un grande privilegio, sia per me che per gli artisti, poter lavorare in luoghi chiave del patrimonio culturale maltese (amministrato da Heritage Malta) quali: il National Museum of Archeology, Fort Saint Elmo, il National Museum of Natural History, lo storico mulino Ta´Kolla. Ognuno di questi luoghi ha una sua identità e intensità, che si ricollega a quella degli altri siti, come la Cripta di Żejtun, la Magdalene’s Church o le case popolari di Isla.
Nella presentazione della mostra hai insistito a lungo sull’elemento delle costellazioni, ricordando il loro ruolo di guida per i navigatori del passato. Trovo particolarmente interessante, però, che la mostra (nel suo continuo dialogo tra cose, storia e luoghi) sembri profondamente connessa alla definizione di Adorno, quando appunto sostiene che le cose abbiano la capacità di essere una “costellazione di relazioni storiche con altre cose”. Sto forse sovra-interpretando?
In realtà accolgo con piacere questa interpretazione, che si somma alla visione generale che avevo in mente. Quello che mi interessa è come ciascuno di noi crei delle proprie cartografie dalle quali trarre significato. Constellation Malta emerge dalla passione politica per creare una mappatura temporanea di quelle posizioni sociali, etiche ed estetiche che richiedono un’energia femminile, una forza capace di preservare la vita e di far diminuire la violenza (e che al tempo stesso ci aiuta a scoprire nuove forme di bellezza e forme ugualitarie di vita insieme).
‒ Irene Biolchini
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati