Osservatorio curatori. Marta Cereda
In questo numero di “Osservatorio Curatori” prende la parola Marta Cereda (Busto Arsizio, 1986). Curatrice con esperienza internazionale, nonché autrice anche su queste colonne, la sua pratica si focalizza su giovani artisti, nuovi spazi e un’attenta, precisa e continua elaborazione teorica.
I tre gradini di cemento erano il segnale. Quegli stessi che, anni dopo, la costrinsero a una prigionia da cui scelse di non cercare evasione, una prigionia volontaria grazie alla giustificazione dell’insostenibilità del peso di un corpo morto, che morto non era come avrebbe invece voluto da anni.
I tre gradini di cemento erano il segnale, ma non per lei. Per me. Oltrepassati, bisognava voltarsi e sollevare lo sguardo. Alzare il braccio, agitarlo e ricambiare il saluto di mia nonna al davanzale.
L’ultima volta che ho fatto questo gesto, nel 2015, mi ha guardato una tapparella abbassata. La stessa che avevo chiuso io, dopo aver disallestito la mostra che in quell’appartamento non più abitato avevo scelto di curare. Nessun committente, se non me stessa; nessuna urgenza, se non la mia.
Giovane, non dimenticare – citazione da Dostoevskij titolo di quel progetto – riassumeva e anticipava l’attitudine della mia ricerca curatoriale che, pur non disdegnando il cubo bianco, spesso si è insinuata in ambienti un tempo vissuti, alla ricerca di tracce in muri già forati, nel tentativo di far sedimentare storie su memorie, di sovrapporre livelli di significato, con contaminazioni letterarie, affiancando una lettura paratattica a una ipotattica, per arrivare a domandarsi e a far domandare: Qual è il punto?
LE ESPERIENZE
È stato Thadeusz Tischbein, artista tedesco con cui ho lavorato per Video Sound Art anche in occasione di Manifesta12 (nella collettiva Talpe. Well Said, old mole, Manifesta 12 collateral event, Palermo, mostra co-curata con Laura Lamonea), a ricordarmi, nelle aule dai muri ricoperti di scritte del Liceo Classico Umberto I, che, tolta la sovrastruttura, quando le opere si liberano dai luccichii delle inaugurazioni, è necessario porsi questo interrogativo elementare, per comprendere quello che resta.
È stata la collaborazione con Adicorbetta e con Testa per Testa, collezione e archivio, a permettermi di osservare da vicino l’ideazione e la comunicazione di musei ed esposizioni, di studiare e confrontarmi con grandi artisti e curatori, collezioni e istituzioni prestigiose.
È stata la palestra di Circoloquadro a mostrarmi come sia importante conoscere gli artisti, come non si sia obbligati a essere amici, ma sia possibile essere schietti complici, visitando gli studi senza piaggeria, tirando notte davanti a una birra che io non bevo o attendendo per ore l’esportazione di un file. Facendo poi un passo indietro, lasciando alle opere ogni ambizione da protagonista.
PRENDERE LE DISTANZE
È stata, forse, la provincia a insegnarmi come sia possibile prendere le distanze. Nozione che connota il mio percorso biografico e che si inserisce inevitabilmente anche nella mia ricerca – insieme alla riflessione sull’architettura come rappresentazione identitaria – con l’interesse per la rappresentazione cartografica, la geografia, il confine, la distinzione tra centro e periferia. In provincia ha sede Casa Testori, dove mi sono messa alla prova con la curatela di installazioni complesse, senza vincoli di pavimenti o soffitti da non forare, per poi avere la soddisfazione di camminare sola tra le opere e i libri della biblioteca, senza più la necessità di domandarmi quale fosse il punto.
‒ Dario Moalli
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #46
Abbonati ad Artribune Magazine
Acquista la tua inserzione sul prossimo Artribune
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati