Presente e futuro delle gallerie secondo Achille Bonito Oliva
Achille Bonito Oliva riflette sul destino delle gallerie. Individuando nelle rete e nelle tecnologie informatiche un potenziale ostacolo, ma anche un utile strumento. Se volete approfondire l’argomento, consultate la grande inchiesta pubblicata sul nuovo numero del nostro magazine.
Quali strategie devono mettere in campo le gallerie oggi per sopravvivere?
Prima le gallerie erano dei luoghi di riferimento, complice la loro stanzialità. Ora, con l’evoluzione della tecnologia e di Internet, le gallerie possono anche viaggiare attraverso l’informatica. La territorialità della galleria ha perso di valore. Una galleria oggi deve cercare un punto fermo da cui ogni volta partire. Il problema è che Internet ha sviluppato sempre più un profilo altamente speculativo. L’informazione è al servizio di un’offerta e l’offerta è collegata anche a delle occasioni spesso fruite dal collezionismo, che prima invece si recava sul posto, andando alle mostre e negli studi degli artisti. Assistiamo a una sorta di smaterializzazione del prodotto e questo comporta il superamento del valore della stanzialità delle gallerie.
Per dirla alla Bauman, l’arte si è fatta liquida, scivola e arriva dappertutto. Se la galleria prima era anche garante di qualità, per la storia che aveva alle spalle, ora è l’informazione ad aver preso il sopravvento, un’informazione che prescinde anche dal luogo di partenza dell’offerta.
Per mantenere alto il grado di qualità delle proposte, cosa dovrebbe fare una galleria?
Attraverso l’informatica l’artista stesso può offrire i suoi prodotti. Mentre prima l’oggetto, la forma artistica venivano incorniciati in uno spazio che ne garantiva anche la qualità, adesso l’artista stesso può fare tutto questo. Può anche prescindere dalla galleria.
E cosa deve fare la galleria per mantenere il suo ruolo e cercare di essere ancora un soggetto con cui l’artista vuole confrontarsi?
La galleria deve contenere l’informazione, renderla selettiva. Produrre delle offerte capaci di rappresentare l’artista, oltre all’opera in sé. Altrimenti la rete diventa uno strumento di arredo, occasioni iconografiche raccolte in maniera anaffettiva, neutrale, impersonale. L’opera è diventata fantasmatica, come una apparizione smaterializzata. Si tratta di trovare un punto di equilibrio tra l’offerta e la posizione dell’opera. Io credo che l’arte abbia una sua gravitas, una sua oggettualità che richiede un luogo per collocarsi. Il punto è cercare, anche attraverso la rete, di realizzare dei luoghi virtuali.
Tenendo salda, però, anche una componente fisica.
Certo, il luogo è indispensabile. L’arte vuole abitare in un posto. Si tratta non di creare un’offerta tout court, con una informazione non descrittiva, ma l’opera deve creare anche una sua collocazione culturale attraverso l’offerta del gallerista e dell’artista.
“La galleria deve contenere l’informazione, renderla selettiva. Produrre delle offerte capaci di rappresentare l’artista, oltre all’opera in sé”.
E il pubblico che ruolo gioca in questo panorama?
La rete apre a un pubblico indiscriminato. Se prima il pubblico andava nel luogo in cui poteva visionare l’opera, adesso l’opera arriva in maniera attiva direttamente nelle case, anche del pubblico che non acquista ma che vuole solo vedere. Bisogna lottare anche contro la quantità, che determina una sorta di passività, di abitudine che produce un fenomeno perverso, il voyeurismo dell’arte.
Di cui anche le gallerie diventano “vittime”?
Le gallerie diventano vittime in quanto hanno perso il potere di irradiazione dell’estetica.
Anche questo potrebbe essere un suggerimento per i galleristi, tornare a tale irradiazione?
Irradiare un’estetica non significa solo mettere un’immagine in rete, ma crearle intorno una cornice culturale. Qui allora la critica potrebbe trovare una sua funzione, un suo potere di mediazione, di motivazione.
Rinsaldare il dialogo tra critica, galleria, opera e artista, dunque?
La rete può produrre una rifunzionalizzazione di tutti i soggetti del sistema dell’arte in quanto, usufruendo della rete, ci può essere velocità, diffusione, ma quello che può garantirne la funzione è la capacità di una lettura sintetica, capillare e motivata.
È una via che sta percorrendo anche lei, sul fronte della critica?
Sto realizzando una enciclopedia sul tempo, multidisciplinare e multimediale. Anche questo potrebbe essere un modo di orientare il pubblico e di educarlo diversamente. Questa enciclopedia, riportata in rete, potrebbe avere una capacità di educare il pubblico fuori dalle convenzioni, senza pensare che esistano degli specifici storici che vanno rispettati. Ogni linguaggio lavora sullo sconfinamento, il tempo ha fatto deragliare tutti i linguaggi dell’arte contemporanea e questo deragliamento dà la possibilità di superare la stanzialità. Il luogo fermo può essere anche il libro. Con una diffusione su rete, si può produrre un nuovo tipo di conoscenza.
‒ Arianna Testino
Versione integrale dell’articolo pubblicato su Artribune Magazine #47
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