Dall’editoria alla curatela. Intervista a CURA.
Magazine, casa editrice, piattaforma curatoriale. Sono molte le anime di “CURA.”, che quest’anno festeggia il decennale. I fondatori raccontano le origini e le evoluzioni di un format sperimentale e vincente.
Siete nati nel 2009, quando la crisi globale scoppiò in tutta la sua durezza. Perché iniziare un’avventura editoriale in un momento del genere?
È vero, l’Italia stava entrando in un periodo di grave crisi. Ma era una crisi generale, rispetto alla quale eravamo a un bivio: aspettare che la crisi passasse, oppure provare a mettere in moto un cambiamento. Abbiamo optato per questa seconda strada. Una realtà editoriale ci permetteva di coinvolgere un network internazionale, dinamico e plurale che a noi interessava. Ampliare il dibattito, il confronto e la prospettiva.
CURA. è un magazine ma anche una casa editrice – e fin qui nulla di strano – ma anche una “curatorial platform”. Questa doppia esigenza da dove nasce? Dalla formazione tua e di Ilaria Marotta? Dalla volontà di portare la curatela anche su carta?
Abbiamo coniugato studi, passioni ed esperienze precedenti, che comprendevano sia la curatela, sia la grafica e il lavoro editoriale. Lavorare con gli artisti ci ha portato quindi ad ampliare l’idea di un progetto che sapeva fin dall’inizio dove sarebbe voluto arrivare. Questo ci ha permesso di lavorare a più livelli, nel corso del tempo e con gli artisti stessi, spesso pubblicandoli, realizzando progetti espositivi nello spazio o portandoli in mostre internazionali curate da noi. Sono approcci diversi ma complementari, e non così distanti in fondo.
Restando in ambito curatoriale, CURA. lavora con spazi esterni ma gestisce anche direttamente spazi espositivi propri. C’è Basement Roma, che sta proprio nel seminterrato dei vostri uffici capitolini (e che nei prossimi mesi si trasferirà temporaneamente a Lisbona), e poi c’è KURA., aperto nel luglio scorso alla Fonderia Battaglia di Milano. Perché questa ulteriore esigenza? E che rapporti ci sono fra tutte queste anime di CURA.?
Sì, esattamente. Basement Roma, prima di essere spazio espositivo, altro non era che la redazione di CURA., un luogo di produzione, che dà spazio privato è diventato spazio aperto al pubblico, dove amici, artisti e curatori si fermavano, passando da Roma, utilizzandolo spesso per lavorare qualche giorno, o magari per un talk o un video screening. Abbiamo assecondato un flusso naturale, passando da piccoli progetti fino ad arrivare a mostre sempre più strutturate. Grazie a Basement Roma abbiamo sondato tutte le possibilità dello spazio espositivo, inizialmente non preposto a questa funzione. Una libertà che spesso non si ha quando si è invitati altrove, in strutture con maglie più strette. Questo seminterrato romano ha rappresentato un luogo in cui sperimentare, in cui sondare i limiti e divertirsi.
Che cosa succederà nei prossimi mesi?
A maggio Basement Roma si sdoppierà. Da una parte a Roma, con una mostra di Yves Scherer che avrà concluso la sua residenza a Fonderia Artistica Battaglia, quindi con una mostra alla Kunsthalle di Lisbona, dove Basement Roma si sposterà per quattro mesi occupandone gli spazi. Luìs Silva e Joao Mourao, i due direttori, sono curatori con cui lavoriamo da molto tempo e ci hanno invitato tra le quattro “istituzioni” che occuperanno gli spazi della Kunsthalle nel corso di questo loro decimo anno di vita. La Kunsthalle di Lisbona, come altre piccole realtà cresciute esponenzialmente in questi anni in ambito internazionale, pur mantenendo una dimensione locale si pone la questione su come si possa creare un modello, un sistema che funzioni, e una rete di supporto per realtà come la loro (e come la nostra). Soprattutto in una città come Lisbona che sta assistendo a un processo di gentrificazione piuttosto allarmante. Tra i protagonisti di queste realtà internazionalmente riconosciute ma a gestione privata vi è SALTS a Biefldend, Basilea, che occuperà la Kunsthalle da settembre. Tutti noi compiamo quest’anno dieci anni. E tutti noi ci domandiamo come protrarre ulteriormente il nostro impegno nella ricerca e con le energie necessarie. Così da metà maggio a fine agosto saremo a Lisbona, con una mostra di Athena Papadopoulos, artista che si è intrecciata al nostro percorso in diversi modi nel corso degli anni, sia sul piano editoriale sia sul piano curatoriale, e presenteremo in qualche modo il “nostro” modello.
E per quanto riguarda Milano?
Per quanto riguarda Milano, l’invito da parte di Fonderia Artistica Battaglia è arrivato circa un anno fa, e del tutto inaspettato. È un progetto molto stimolante, così come stimolante è il rapporto continuo con una fonderia, un luogo storico nella produzione del bronzo e della fusione a cera persa. Lo spazio all’interno di Fonderia Artistica Battaglia, prima in Via Stilicone e ora in Via Oslavia, è un unicum, perché si avverte davvero l’anima del luogo, non è un semplice white cube, ed è un’idea che ci piace molto. È uno stimolo eccezionale per gli artisti che invitiamo e che naturalmente si incuriosiscono, testano e talvolta decidono di produrre in bronzo.
Fra i vostri prodotti editoriali c’è anche la serie Clubbing, forse – e a discapito del nome – la più sotterranea. Ci raccontate esattamente di cosa si tratta?
Il progetto editoriale sul clubbing è nato circa un anno fa dalla curiosità di approfondire il rapporto, da sempre intrecciato, tra gli artisti e la scena notturna, intesa come spazio di libertà, di espressione, di rivendicazione politica e sociale e di rottura. Dopo i primi tre numeri di Martha Kirszenbaum, Vittoria Matarrese e Nico Vascellari, stiamo lavorando al numero orchestrato da AHMD (Eddie Peake, George Henry Longly e Prem Sahib) e quindi a quello autunnale diretto dall’artista francese Fabrice Hyber sulla scena clubbing parigina Anni Novanta.
Veniamo a CURA. In questi giorni festeggiate il vostro decimo anniversario con il trentesimo numero della rivista. I conti si fanno in fretta: è un quadrimestrale. Perché avete scelto questa formula? Come si colloca CURA. nel quadro nazionale e internazionale delle riviste che si occupano principalmente d’arte contemporanea?
CURA. esce tre volte l’anno, in autunno, inverno e primavera. Abbiamo tempi tecnici che non ci permettono una periodicità diversa. Non potremmo coniugare altrimenti l’attività editoriale con l’attività curatoriale. Inoltre la nascita di ogni numero richiede molto lavoro di scelte, impostazione, rapporti con gli autori, gli artisti, le gallerie. CURA. si colloca, e lo ha sempre fatto, in maniera assolutamente autonoma nel panorama editoriale nazionale e internazionale. È un’autonomia a volte complicata, ma che abbiamo difeso in tutti i modi nel corso degli anni.
Chiuderei invitandovi a una riflessione sull’ormai trita questione della morte della carta. Che invece è viva e vivace. Cosa ne pensate? Cosa può dare al lettore una rivista come la vostra che un file non potrebbe mai fare (e viceversa, ovviamente, perché non siamo tradizionalisti!)?
Quando siamo nati, ormai dieci anni fa, già si parlava della morte della carta. Ma si è anche già parlato della morte di internet… dunque! E poi una rivista cartacea ti permette di entrare nei principali musei del mondo, che è esattamente dove vogliamo essere, dal Pompidou alla Tate, dal Palais de Tokyo al New Museum, dal PS1 al Withney Museum…
‒ Marco Enrico Giacomelli
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