Versus. Il dibattito tra bello e brutto tra due artisti
La bellezza è tutta negli occhi di chi guarda? Perché il kitsch ha sempre avuto il suo fascino? Il giudizio estetico è inevitabilmente soggettivo? Chiara Camoni e Davide Mancini Zanchi illustrano ai lettori della rubrica “Versus” la loro personale visione del bello e del brutto.
La relatività di ogni ideale estetico è nozione talmente banale e ampiamente condivisa che, con un detto perentorio e arcinoto, la saggezza popolare riconosce persino alla blatta la possibilità di apparire graziosa, almeno agli occhi della genitrice. A voler dar retta al buonsenso partenopeo, ogni disquisizione sull’argomento dovrebbe essere bollata come uno sterile esercizio. Eppure l’indagine filosofica, in ogni epoca, ha portato avanti con costanza la riflessione sui processi che orientano i criteri del gusto, ponendo gli artisti di fronte a interrogativi amletici sul proprio ruolo, in bilico tra creazione e rappresentazione. Lo spunto per la conversazione che segue è nato da un curioso rovesciamento dei termini della questione, che emerge in forma di chiasmo osservando i lavori dei due artisti protagonisti di questo dialogo. Chiara Camoni ricerca la bellezza negli oggetti quotidiani, utilizzando materiali che non sono quelli canonici dell’operare artistico e svelando l’armonia nascosta nell’imprevisto, nell’incontro e nella relazione con la natura e con il prossimo. Davide Mancini Zanchi ha ironicamente dato a un ciclo di piccoli dipinti il titolo Studi per il quadro più brutto del mondo: utilizzando il medium per eccellenza della tradizione, quello pittorico, insegue giocosamente il cattivo gusto.
La ricerca ossessiva della bellezza può produrre mostri, così come l’epifania della perfezione può colpire inaspettatamente lo sguardo di chi contempla il mondo in maniera empatica, senza pregiudizi. Si dice sia bello “ciò che piace”: è proprio così?
Chiara Camoni: Direi piuttosto che per me è “bello ciò che porta senso”. Ciò che faccio tutti i giorni, da sola o insieme ad altre persone, è la ricerca di un Senso – per quel piccolo momento, per la vita, per il nostro essere nella storia – e, quando arriva, spesso porta con sé anche la Bellezza. Questa non si manifesta necessariamente in termini di armonia o graziosità, ma può essere anche terribile: la testa di Medusa tagliata può essere bellissima.
Davide Mancini Zanchi: Non ricordo se un amico, un parente o chi altro rispondeva spesso alla frase “Non è bello ciò che è bello, ma è bello ciò che piace” con “Però la m***a rimane m***a”. Personalmente dubito degli estetismi, credo o temo che il bello, oltre agli aspetti soggettivi, risulti più facilmente accostabile al vuoto; diciamo che lo vedo come un tranello. La bellezza che trovo interessante è quella che non deriva dall’apparenza delle cose, ma dalla loro essenza. Vorrei fare un esempio diverso, ma il più chiaro che mi viene in mente è il solito orinatoio di R. Mutt, che tutto può essere tranne che bello, nel suo contesto naturale. Pino Daniele cantava: “Ogni scarrafone è bello a mamma soja”. Naturale! Mi chiedo come, ipoteticamente, la mamma di un secondo scarrafone possa vedere il primo – che figlio suo non è – e così via, di mamma in mamma, di scarrafone in scarrafone, le cose cambiano e gli scarrafoni, guardandosi allo specchio, non sanno come vedersi.
Grottesco, kitsch, trash, camp, caricatura, rappresentazione oggettiva (tragica o provocatoria) degli orrori della realtà: sono tante le declinazioni del brutto in arte. Quali ritenete siano più efficaci, sia in termini comunicativi, sia in quanto portatrici di senso? Dov’è il confine tra ironia e degenerazione del gusto, tra accorata denuncia e voyeurismo?
Chiara Camoni: Viviamo un momento storico in cui la iper-duplicazione della realtà sembra essere l’unica conferma della nostra esistenza, ancor più della realtà stessa. Ci guardiamo attraverso schermi luminosi con l’idea che questi ci possano dire: “Sì, effettivamente esisti”, subordinando e svuotando così il momento del vissuto. Quando non c’è alcun intento di trasformazione, credo che la produzione di immagini o di oggetti, pur nel dorato contesto dell’arte, non faccia altro che aumentare la quantità di materiali difficili da smaltire nella raccolta differenziata!
Davide Mancini Zanchi: Tutto giusto, tutto sbagliato… L’unica cosa da capire sono le intenzioni, sia nel produttore che nel consumatore; in qualsiasi campo, dalla musica al calcio. Veder giocare Cristiano Ronaldo ha un valore, subire il marketing che l’azienda CR7 rappresenta ha un valore completamente opposto. Nella produzione delle immagini credo possa valere il detto: “Il fine giustifica i mezzi”, anche se preferirei modificarlo in: “L’intenzione giustifica i mezzi”. Bisogna capire, poi, se le intenzioni dell’emittente siano intellegibili dal destinatario e se questo possa decifrarle ed etichettarle come crede.
Sembrate convergere, con i vostri richiami alla realtà, al senso, al fine e all’intenzione, verso un punto comune: il primato del contenuto sulla forma. Allora ciò che conta è la “bellezza interiore”? Di un’opera d’arte, così come di una persona, vi interessa più l’anima che l’aspetto? Non giudicate mai un libro dalla copertina?
Davide Mancini Zanchi: Ci sono milioni di libri che si presentano con una copertina monocromatica, altri che hanno la grafica standard della casa editrice che li pubblica e altri ancora con stampata un’immagine, scelta dall’editore o dallo scrittore. Si possono trovare molteplici edizioni dello stesso libro con altrettante copertine diverse: sarebbe interessante fare un’indagine di mercato e capire quale sia la più venduta. E se, parlando della produzione di immagini, si facesse un ragionamento inverso, nel quale a restare invariata fosse la copertina e a cambiare il contenuto? Un quadro ci può risultare “più bello” se a proporcelo è Mister X piuttosto che Mister Y? E lo stesso quadro avrà sempre lo stesso valore se è visto nel museo più importante del mondo oppure al fianco di un bidone dell’immondizia?
Chiara Camoni: Oltre alla questione del contesto, come dice Davide, c’è la “questione” della definizione intrinseca di opera d’arte! L’opera è qualcosa che si esprime solo e unicamente attraverso se stessa, una commistione inseparabile di forma e contenuto. Laddove un’opera necessita di troppa didascalia o di troppe spiegazioni per esistere, allora bisogna iniziare a sospettare. Se fosse solo contenuto, una volta capito, non torneremmo più a guardarla, l’avremmo risolta. Invece di fronte alle opere si torna tante volte, e ogni volta, proprio attraverso la loro forma, scopriamo cose diverse.
La bellezza attrae, ma incute timore reverenziale. Ciò che è brutto respinge, però l’abiezione seduce in maniera perversa. Concluderei chiedendovi di pensare a una cosa meravigliosa che vi spaventa e a una orribile che in qualche modo vi affascina.
Davide Mancini Zanchi: Forse abbiamo esagerato. È tutto giusto quello che si è detto, non fa una piega. Però stavo pensando a una cosa che forse ho trascurato nelle precedenti risposte: la nostra origine, quella che pesa sulle nostre spalle come un immenso macigno e che ci impedisce di annullare completamente il gusto estetico nella produzione delle immagini. Probabilmente anche nei miei tentativi di aggirare la bellezza non riesco a dimenticarla del tutto! Quindi pensavo di rispondere così: la bellezza è quella cosa meravigliosa che mi spaventa, così come il brutto è l’orribile che in qualche modo mi affascina.
Chiara Camoni: E se fossero la vita e la morte?
‒ Vincenzo Merola
Versus#1 Christian Caliandro vs Ivan Quaroni
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Versus#3 Vincenzo Trione vs Andrea Bruciati
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Versus#5 Antonio Grulli vs Chiara Bertola
Versus#6 Sabrina Mezzaqui vs Giovanni Frangi
Versus#7 Alice Zannoni vs Matteo Innocenti
Versus#8 Gian Maria Tosatti vs Luca Bertolo
Versus#9 Lorenzo Bruni vs Giacinto Di Pietrantonio
Versus#10 Alessandra Pioselli vs Pietro Gaglianò
Versus#11 Marinella Senatore vs Flavio Favelli
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Versus#14 Lorenzo Balbi vs Alberto Zanchetta
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Versus #17 Andrea Lerda vs Domenico Quaranta
Versus #18 Nico Vascellari vs Giorgio Griffa
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