Galleria Nazionale delle Marche. Intervista al direttore uscente Peter Aufreiter
In seguito al suo arrivo, l’arte contemporanea ha fatto capolino tra le attività della Galleria Nazionale della Marche. Oggi il direttore uscente Peter Aufreiter ripercorre la propria esperienza a Urbino, in attesa di prendere le redini, dal gennaio 2020, del Museo della Tecnica di Vienna.
Dopo quattro anni alla guida della Galleria Nazionale delle Marche, Peter Aufreiter decide di lasciare il suo incarico direttivo e fa il bilancio di un mandato particolarmente intenso.
Lei è stato direttore del Palazzo Ducale di Urbino per quattro anni. Qual è il bilancio di questa esperienza?
Un bilancio molto positivo: la mission data era quella della “valorizzazione”, ovvero avvicinare il luogo d’arte a un pubblico più vasto. Questo è stato ottenuto diversificando l’offerta culturale sotto molti punti di vista. Innanzitutto offrendo diverse “letture” del sito: la Galleria Nazionale delle Marche non è stata presentata solo come una pinacoteca, ma anche come edificio storico che dialoga con la città e il paesaggio (ad esempio aprendo al pubblico il Torricino) e luogo di eventi (teatro, musica, ecc.). Poi la scelta di ospitare attività museali destinate a un pubblico variegato per interesse – e qui sta l’apertura alle mostre, anche di arte contemporanea – o l’attuazione di progetti mirati per i bambini, che vanno dai più tradizionali laboratori didattici, fino alla “gamificazione” del racconto museale operata ad esempio tramite il progetto Raffaello in minecraft.
La sua direzione ha determinato un aumento di pubblico?
Il trend positivo innescatosi nel 2015 si è confermato chiudendo il 2018 con oltre 200mila ingressi (un anno record!), nonostante l’evento sismico del 30 ottobre 2016 che ha provocato una inevitabile momentanea inversione di tendenza.
Ha operato modifiche all’interno dell’edificio?
In questi anni è stato avviato un processo, lungo e – per molti aspetti – difficoltoso, di riprogettazione dell’intero allestimento della Galleria. Un progetto che non è tanto un’operazione di “arredo” del palazzo, quanto una vera e propria ideazione di una diversa modalità di fruizione degli spazi e delle opere. Il nuovo allestimento “normalizza” l’inserimento di ambienti predisposti per mostre temporanee ed eventi all’interno del percorso museale, lascia spazio all’introduzione di supporti digitali e multimediali, ma introduce anche aree di relax. L’esposizione delle opere avviene in maniera differenziata, lasciando che capolavori, protagonisti delle collezioni della Galleria, godano di spazi più ampi dove possano essere contemplati con più agio.
Lei ha introdotto l’arte contemporanea nel Palazzo Ducale. Come considera le attività sul contemporaneo e il loro impatto sul pubblico?
Innanzitutto mi preme sottolineare che il Palazzo Ducale di Urbino fu, tra Quattrocento e Cinquecento – ovvero al momento del suo massimo splendore –, un laboratorio di arte contemporanea. Il Duca Federico e i suoi discendenti ospitarono qui artisti, letterati e scienziati che rappresentavano le novità del momento e non il ricordo del passato. Poi dobbiamo considerare che Urbino non è solo una città universitaria, ma è anche la città della Scuola del Libro e della sua lunga tradizione di arti grafiche, dell’Accademia di Belle Arti e dell’Istituto Superiore per le Industrie Artistiche. Ha un pubblico giovane, quindi, attento all’arte contemporanea, che non poteva non essere coinvolto nella vita culturale della Galleria. Questo è il motivo principale della nascita, ad esempio, dello Spazio K, ora alla sua terza edizione: uno spazio appositamente dedicato agli artisti emergenti della Regione Marche, un territorio con una lunga tradizione artistica ancora viva. Ma l’arte è un’esperienza umana che ha la sua continuità nella storia, quindi si è ritenuto giusto ospitare, accanto a una collezione permanente incentrata su opere che vanno dal Duecento al Settecento, o a mostre temporanee legate all’arte classica e moderna, le proposte degli artisti contemporanei.
Successi e insuccessi?
Considero un successo l’aver reso la Galleria Nazionale delle Marche attraente per le diverse tipologie di pubblico: la nostra apertura verso tutti è stata capita e accettata dai visitatori e il Palazzo Ducale è tornato a essere il cuore della cultura del Montefeltro. Invece potrei considerare un insuccesso non aver concluso, o non aver portato così avanti come programmato, qualche progetto che ha incontrato molte più difficoltà del previsto a causa della burocrazia e della carenza di personale.
Quali consigli darebbe al suo successore?
Al futuro direttore della Galleria Nazionale delle Marche suggerirei di affidarsi allo staff, attento e affezionato al nostro patrimonio storico e artistico, che lavora con grande entusiasmo ed esperienza. E aggiungerei il consiglio di continuare a dialogare con la città e il territorio e con i protagonisti delle varie realtà istituzionali, sociali ed economiche che lo popolano.
‒ Ludovico Pratesi
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati