Progetto Cultura Intesa Sanpaolo. Intervista al direttore Michele Coppola
Parola a Michele Coppola, direttore Arte, Cultura e Beni Storici di Intesa Sanpaolo. Il punto dopo quattro anni esatti dal suo insediamento.
Con più di trentamila opere in collezione ‒ dai vasi antichi all’arte contemporanea ‒, diversi milioni di budget annuale, oltre mille e cinquecento opere restaurate e più di cinquecentomila visitatori all’anno nelle Gallerie d’Italia nelle tre sedi di Milano, Napoli e Vicenza, il Progetto Cultura Intesa Sanpaolo è un valido esempio di valorizzazione e condivisione del vasto patrimonio artistico e culturale di uno storico istituto bancario su scala nazionale e internazionale. Nelle Gallerie d’Italia, a Piazza della Scala a Milano, abbiamo incontrato il Direttore Arte, Cultura e Beni Storici di Intesa Sanpaolo, Michele Coppola, a quattro anni esatti dal suo insediamento, per fare il punto. Un trascorso come Assessore alla Cultura e alle Politiche Giovanili della Regione Piemonte (2010-14), spigliato oratore e soprattutto chiaro e determinato sulla mission e sugli obiettivi del Progetto Cultura Intesa Sanpaolo, ci ha parlato delle diverse attività del progetto e dei risultati ottenuti in questi anni. Rilevando un dato importante: nell’ambito delle sponsorizzazioni si è passati da una logica legata al contributo fine a se stesso a una logica dell’acting, del fare, di un’assunzione di responsabilità compiuta in autonomia da parte del privato, che diventa un impegno attivo da condividere con la collettività. Coppola ci ha confermato la partnership della banca con la fiera miart del prossimo anno e ci ha fornito tutte le anticipazioni sul programma autunnale.
Esattamente quattro anni fa, a luglio, si è insediato alla guida del Progetto Cultura Intesa Sanpaolo. Partiamo da lei.
La cosa più significativa da condividere nel raccontare un’esperienza personale come questa è legata all’emozione positiva di vivere, conoscere e amplificare il Progetto Cultura della banca, che è a tutti gli effetti una delle cose più importanti accadute in Italia negli ultimi anni. Provo a tradurre la premessa: le Gallerie d’Italia sono probabilmente uno dei momenti più espliciti ed evidenti di quello che la banca fa, nel dedicarsi all’arte, alla cultura e alla promozione del valore dell’arte e della cultura per il Paese. Poi ci sono programmi come “Restituzioni” che hanno una storia trentennale di amore dimostrato a favore del Paese e delle sue tante istituzioni culturali. Si aggiungono le iniziative condivise con i musei, che non sono necessariamente legate ai tre luoghi dove hanno sede le Gallerie d’Italia. La cosa che mi fa piacere ricordare è vedere come in questi quattro anni la disponibilità della banca nel continuare a investire e sostenere la promozione dell’arte e della cultura, non soltanto verso ciò che è di proprietà della banca, continui a crescere. Pensando al luglio del 2015 rispetto a oggi è, guardando indietro, la mole di cose che sono state realizzate, di iniziative che da idea sono diventate un fatto concreto e tangibile. E in modo particolare quanto ancor di più, rispetto al 2015, il Progetto Cultura sia centrale per la banca e per i suoi vertici.
Quali sono state le sfide con cui si è dovuto confrontare nell’avviare una nuova progettualità che ha portato a una serie di attività diversificate? Lei veniva dall’Assessorato alla Cultura e alle Politiche Giovanili della Regione Piemonte.
Fino a un anno prima ero stato Assessore alla Cultura della Regione Piemonte e il mio era un impegno, se vogliamo, atipico rispetto ad altri amministratori pubblici, perché il mio era un approccio da manager dedicato alla valorizzazione e a un elemento identitario del Piemonte che era fatto da una molteplicità di musei e istituzioni culturali. Quando nel 2015 è iniziata la mia responsabilità all’interno di Intesa Sanpaolo, c’è stata una fortunata coincidenza temporale, perché eravamo alle prese con il lavoro di preparazione del nuovo piano triennale, che è stato di fatto presentato nel 2016, e quindi mi sono trovato in una situazione oggettivamente fortunata, nella quale andavano a compimento gli impegni che la banca aveva preso qualche anno prima e si avviava il processo col quale si immaginavano le iniziative e le principali attività del triennio successivo, che si conclude quest’anno. Un momento, dal punto di vista della coincidenza, molto favorevole.
Com’è composto il suo team?
Il gruppo di persone che lavora all’interno della banca, specificatamente dedicato al Progetto Cultura, è fatto da straordinari professionisti che vanno da una formazione storico-artistica a manager di comunicazione di carattere culturale, a professionisti a 360 gradi nella gestione di progetti complessi. Non va dimenticata la leadership illuminata del professor Bazoli [Presidente Emerito di Intesa Sanpaolo, N.d.R.], che ha visto prima di altri l’importanza e il significato del Progetto Cultura della banca e del progetto Gallerie d’Italia. Ancora oggi l’indirizzo principale arriva da lui che, insieme al professor Gros-Pietro [Presidente del Consiglio di Amministrazione di Intesa Sanpaolo dall’aprile 2016, N.d.R.], coordina questo gruppo di lavoro con esperti che danno l’indirizzo scientifico principale nella programmazione.
Poi c’è la direzione Arte, Cultura e Beni Storici di cui è alla guida dal 2015.
Al suo interno ha altri responsabili, che a loro volta hanno competenze specifiche e si occupano della realizzazione e dell’attuazione dei programmi, della promozione e del marketing culturale. È una struttura che riesce a tenere al proprio interno l’ideazione, la programmazione, l’organizzazione e la realizzazione di tutte le iniziative che fanno capo alle Gallerie d’Italia. A far nascere insieme, a governare al proprio interno le partnership con altre istituzioni culturali e lavorare a un Progetto Cultura che cerca di guardare all’impegno della banca in quest’ambito in maniera strategica. Un progetto legato alla valorizzazione del patrimonio artistico e culturale non soltanto della banca, ma del Paese in generale, che cerca di portare avanti un programma dedicato alla valorizzazione delle competenze e delle professionalità che lavorano intorno al mondo dell’arte e della cultura.
Quale budget ha a disposizione?
Posso dirle che la banca investe diversi milioni di euro all’anno a sostegno dell’arte e della cultura. Sono risorse paragonabili alle più importanti istituzioni culturali del Paese. Un investimento profondamente voluto e capito.
Risorse che non si limitano alla consueta formula della sponsorizzazione fine a se stessa.
Quello che sta avvenendo per alcuni player di caratura internazionale, come anche per Intesa Sanpaolo, è il passaggio da una logica che era legata al grant, al contributo fine a se stesso o alla sponsorizzazione, a una logica che è acting, per cui faccio perché l’assunzione di responsabilità che io voglio compiere diventa commitment, impegno, azione. Ecco quindi le Gallerie d’Italia, Careers in Art, l’idea di lavorare alla formazione, affiancare al piano d’impresa della banca un progetto che le permetta di farsi conoscere, apprezzare e misurare anche in funzione del proprio investimento in arte, cultura e nel sociale.
Ci troviamo alle Gallerie d’Italia, a Piazza della Scala a Milano. Qui, e nelle altre due sedi di Napoli e Vicenza, lavorate su due filoni: le collezioni e le mostre temporanee.
Le Gallerie d’Italia nascono dall’idea di condividere con la collettività le proprie collezioni. La logica è questa: apro un museo e vi porto le opere che erano a disposizione soltanto di chi entrava nella banca, di chi visitava alcuni dei suoi saloni e di chi incontrava alcuni dei suoi manager. E porto a fattor comune le collezioni, che sono estremamente importanti con oltre 30mila opere, dai vasi attici e magnogreci che hanno il nucleo principale nella sede espositiva a Vicenza, alla collezione di icone russe, forse la più importante in occidente, con circa 500 opere. Penso poi alla pittura del Seicento napoletano esposta a Napoli, dove c’è il dipinto più importante della collezione, Il Martirio di Sant’Orsola di Caravaggio, o alla pittura veneta, di nuovo a Vicenza, o alla pittura lombarda dell’Ottocento che trova casa qui in Piazza della Scala. Penso al Cantiere del Novecento con cui abbiamo chiamato la parte del museo permanentemente allestita dedicata alla valorizzazione delle collezioni del secondo Novecento ‒ l’arte contemporanea storicizzata ‒ o la parte che viene aperta una volta al mese all’interno del caveau. Una collezione, quindi, molto significativa che ha, grazie al lavoro e all’intuizione del professor Bazoli, visto aggiungersi qualche anno fa la collezione Agrati, forse tra le più importanti in Italia fra quelle di arte moderna e contemporanea internazionale, con opere di Warhol, Rauschenberg e Basquiat.
Il lascito della collezione Luigi e Peppino Agrati è sicuramente consistente. In termini però di acquisizioni, il contemporaneo non è il vostro “core business”.
È una domanda che mi fa molto piacere ricevere perché in realtà una collezione così vasta ovviamente obbligherebbe a fare riflessioni quotidiane su opere d’acquisire per colmare i periodi, affiancare opere che possono essere potenzialmente in dialogo. La domanda è: è più importante comprare un vaso attico magnogreco o un’opera di un artista contemporaneo?
È chiaro che quando si ha una dimensione così significativa si deve fare attenzione alla scelta che si compie. È però vero che in questi anni abbiamo lavorato molto con alcune realtà che dialogano in modo particolare con artisti contemporanei. Abbiamo aperto una parte del museo di Milano, la sala delle colonne, a esposizioni legate ad artisti viventi e che ci stanno accompagnando in un percorso che possa permetterci di implementare le opere, andando oltre quello che è il limite temporale in cui finisce la collezione del Novecento, di fatto gli Anni Ottanta. A ciò si aggiunge una relazione con miart, che da due anni ci vede main partner e che ci ha portato a essere al loro fianco nella promozione della fiera di arte moderna e contemporanea milanese, ma ci ha anche portato a ospitare all’interno di miart artisti contemporanei viventi che hanno donato poi un’opera alla banca, entrando così nella collezione. Penso a Paolo Bini nel 2019 o ad altre iniziative fatte con l’ente Fiera stesso, che ha esposto qui alle Gallerie d’Italia la mostra delle collezioni che venivano acquisite dalla Fondazione Fiera di Milano durante miart. C’è da parte nostra la disponibilità ad aprirci al mondo contemporaneo. È pur vero che non possiamo pensare di agire come se non avessimo una collezione che fa parte della storia dell’arte italiana e che in qualche modo ci deve mettere nella condizione di guardare ai suoi nuclei differenti con la stessa intenzione.
Parallelamente al patrimonio artistico c’è un’altra parte importante, che è l’archivio storico.
Consideri che l’archivio storico di Intesa Sanpaolo è di oltre venti chilometri lineari. Per la natura specifica di una banca, è un archivio che racconta la storia del nostro Paese ed è un lavoro che non si arresta mai. È evidente che in questo periodo ha ottenuto maggiore ribalta la componente fotografica. Siamo in questi giorni protagonisti a Cortona, che ospita un festival dedicato alla fotografia conosciuto e apprezzato. Uno dei diversi momenti espositivi a Cortona è dedicato alla collezione fotografica Publifoto, che appartiene al nostro archivio storico. Questo dimostra quanto sia profondo il convincimento della banca a dedicarsi alla salvaguardia di un patrimonio che appartiene alla collettività. Come era per alcuni versi il patrimonio Publifoto, che rischiava di essere venduto all’estero ma è stato comprato dalla banca nel 2015. Parliamo di oltre sette milioni di fotografie. È un lavoro che durerà anni. Un patrimonio che va studiato a fondo, digitalizzato, valorizzato ed esposto nella logica di far conoscere meglio i tesori che sono conservati nell’archivio che ha potuto e potrà raccontare la storia e i momenti più cruciali del nostro Paese.
Il programma “Restituzioni” è giunto al suo trentesimo anniversario. Avete da poco annunciato il restauro dell’opera Cena di San Gregorio Magno di Paolo Veronese, conservata nel refettorio del Santuario di Monte Berico. Il restauro è un’altra attività importante della banca.
È importante perché permette di raccontare tre cose. La prima: l’attenzione e la serietà di un impegno che abbiamo iniziato trent’anni fa. La durata dell’impegno e la condizione permanente di essere interlocutore delle soprintendenze, dei musei, delle chiese, di fatto hanno una valenza quasi doppia rispetto a qualunque altro programma di restauro, proprio perché sai che il programma è attivo e che ha restaurato oltre mille e cinquecento opere dalla sua origine. La seconda considerazione importante da fare è la sua natura pioneristica. Oggi parliamo tutti del rapporto pubblico privato, siamo tutti nella condizione di dire che non vi può essere la valorizzazione di un patrimonio così vasto come quello pubblico senza la presenza di qualche soggetto privato che si assume la responsabilità, rendendosi conto che è un dovere di un’impresa italiana dedicarsi alla promozione, alla valorizzazione, alla conservazione e alla salvaguardia del patrimonio. Il terzo elemento che mi piace ricordare è che si torna nel luogo dove trent’anni fa è partito quel programma nato a Vicenza con la banca cattolica del Veneto. Restaurando un’opera estremamente significativa, non soltanto per le dimensioni, ma perché è una delle poche opere di Veronese rimaste nel luogo per cui fu realizzata con un cantiere che è lì, magari durerà più a lungo, aperto alle visite e aperto a incontrare un’altra professionalità e sapienza italiana che è quella del restauro.
Anticipazioni delle attività autunnali?
Sarà un autunno milanese ricchissimo, che vedrà un momento di approfondimento dedicato a Piero Dorazio, un altro dedicato al rapporto tra la fotografia contemporanea e Leonardo da Vinci e soprattutto ci sarà una grande esposizione dedicata a Canova e Thorvaldsen, con una forte sinergia col museo di Copenaghen e l’Ermitage di San Pietroburgo. Sarà una delle cose più importanti che accadranno in Italia in autunno. A Napoli, fino al 29 settembre, si potrà incontrare l’ospite illustre, uno straordinario Botticelli restaurato, Il Compianto sul Cristo morto, che arriva dal Museo Poldi Pezzoli. A ottobre Napoli avrà il terzo momento dedicato all’arte contemporanea. Negli ultimi due anni abbiamo indagato il rapporto tra Napoli e New York, poi Napoli e Londra, e ora Napoli e Berlino. Una coincidenza che ci fa ragionare in chiave europea e tedesca. A fine anno ci sarà invece una mostra dedicata all’influenza di Caravaggio nell’Ottocento. A Vicenza, che sta festeggiando i vent’anni della propria apertura, arriveranno un’opera di Basquiat dal Guggenheim di Bilbao e una mostra sull’avanguardia russa in dialogo con la nostra collezione di icone russe. Non posso poi dimenticare la mia città, Torino, dove inaugureremo a dicembre, in partnership con la Fondazione Torino Musei e Palazzo Madama, una straordinaria mostra dedicata a Mantegna.
‒ Daniele Perra
https://www.gallerieditalia.com/
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