Il design secondo Andrea Branzi
La definizione di “design”, il ruolo dei progettisti, l’importanza della formazione e della scuola. All’età di quasi 81 anni Andrea Branzi è un monumento vivente del progetto in Italia e nel mondo. Lo abbiamo intervistato.
Andrea Branzi, architetto e designer, ora docente al Politecnico di Milano, è una delle figure ancora oggi più importanti nel mondo del design. Nasce nel 1938 a Firenze e nel 1966 fonda, insieme a Gilberto Coretti, Paolo Deganello, Massimo Morozzi, Archizoom Associati. Il primo gruppo radicale ad apparire nel panorama del design italiano. I quattro designer scelgono come propria denominazione una parola inventata per imitare anche foneticamente il più importante gruppo d’avanguardia degli Anni Sessanta, Archigram, che si occupava di grafiche pop e fotomontaggi tecnici la cui formazione era simile a quella dei gruppi pop, una modalità usata anche dai Radicali Fiorentini.
Ma mentre i membri di Archigram erano convinti che la nuova architettura dovesse dipendere dalle ultime tecnologie e andare oltre l’idea di una metropoli che esibisse le sue componenti “meccaniche”, per Archizoom l’architettura era un’opportunità per elaborare un’analisi critica della società del consumo.
L’INTERVISTA
Crede che al giorno d’oggi si abusi del termine ‘design’? Se sì, quali sono le caratteristiche fondamentali affinché un prodotto si possa definire “di design”?
Il termine design è sempre stato abusato, perché generico: progetto, programma, disegno, eccetera. A me non interessa assolutamente “definire” il design.
È una questione inutile?
Ma sì, molti ci hanno provato e non sono mai riusciti a risolvere questa inutile questione.
Perché?
Perché non c’è un solo design, ma molti design; tanti quanti sono i designer… Del design di oggi non penso niente, perché diverso da quello che faccio io: a ciascuno il suo. Quale identità sta perdendo? Si rinnova sempre e possiede molte identità, che cambiano nel tempo.
L’Italia è ancora uno dei riferimenti più importanti per il design? Come mai? In quali direzioni pensa che si svilupperà il design dei prossimi anni?
L’Italia è uno dei riferimenti per il design europeo e internazionale, proprio perché indefinibile. Forse perché le sue radici sono molto remote e non sono rintracciabili nell’industrialesimo, ma nell’animismo latino. Il design andrà in tutte le direzioni, come la storia degli uomini, di cui fa parte.
Come mai ha deciso di insegnare al Politecnico di Milano? Quali sono i valori che intende trasmettere con l’insegnamento del design?
Ho deciso di insegnare al Politecnico perché ho sempre dedicato molte energie all’insegnamento (prima del Politecnico ho fondato e diretto Domus Academy, prima scuola internazionale post-graduate). Si insegna per imparare. Non mi ha mai interessato insegnare il “progetto”, ma formare dei “progettisti” (che è una cosa completamente diversa), valorizzando la loro identità e la loro diversità.
Cosa deve fare una “vera” scuola?
Non deve formare “professionisti classici”, ma piuttosto “autodidatti” capaci di camminare con le proprie gambe.
Ci sono degli elementi di Archizoom che ritiene “figli del loro tempo” e che tornando indietro cambierebbe?
Molte cose che abbiamo progettato allora erano (giustamente) figlie del loro tempo. Ma si può progettare per i “tempi brevi”, e anche per i “tempi lunghi”: alcuni dei progetti teorici elaborati negli Anni Sessanta vengono oggi studiati e capiti come le prime prefigurazioni del progetto nell’epoca della globalizzazione. Anche la Fisica Teorica elabora teoremi e formule apparentemente incomprensibili; più tardi la Fisica Applicata ne capisce il significato e l’utilità.
Come sarebbe Archizoom oggi? Lo studio nasceva quasi in contemporanea col fenomeno del consumismo, ma oggi che esso è al suo estremo come se lo immagina? Si rivolgerebbe allo stesso pubblico?
Il gruppo Archizoom appartiene alla storia delle avanguardie, quando le avanguardie rappresentavano una “eccezione”, cioè una minoranza rispetto alla maggioranza di “normali”. Oggi è il contrario: i “normali” sono una minoranza rispetto a una maggioranza di “eccezioni”. La pop art di allora è diventata oggi una vera civiltà merceologica, un mondo dove tutto è merce.
‒ Matilde Laguzzi, Marica Legnani, Claudia Loda, Sofia Calzone
(esercitazione a seguito di un workshop di giornalismo culturale svoltosi nel maggio 2019 allo Iulm di Milano)
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