Gli artisti e la ceramica. Intervista a Bertozzi & Casoni
Parola a Giampaolo Bertozzi e Stefano Dal Monte Casoni, artisti della ceramica fin dagli Anni Ottanta.
Bertozzi & Casoni è una società fondata nel 1980 a Imola da Giampaolo Bertozzi (Borgo Tossignano, Bologna, 1957) e da Stefano Dal Monte Casoni (Lugo di Romagna, Ravenna, 1961). Dagli Anni Ottanta sperimentano continuamente, portando la ceramica all’interno delle più importanti realtà del contemporaneo. Nel corso di questa chiacchierata ci hanno raccontato dei loro inizi e di una passione che dura da oltre un trentennio.
Voi avete studiato alla Scuola di ceramica a Faenza e poi vi siete spostati a Imola, dove avete collaborato a lungo con la Cooperativa Ceramica. Ci sono zone, in Italia specialmente, dove la ceramica arriva come un destino ‒ o una potente eredità ‒, ma poi la si sceglie e la si difende. Per voi è stato chiaro da subito che sarebbe stata il vostro linguaggio?
È stato sicuramente una casualità: nel nostro territorio svolgere un percorso artistico significava studiare all’Istituto Statale d’Arte per la Ceramica. Forse non è un materiale che abbiamo scelto con troppa consapevolezza, ma è senza dubbio diventato una cifra del nostro fare artistico, anche in anni durante i quali la ceramica era considerata un’arte minore.
Vorrei proprio soffermarmi su questo periodo, un po’ eroico direi quasi, dei vostri primi anni. La scelta di adottare un materiale, che non era certamente mainstream come è oggi, era segnata anche dalla volontà di operare con una metodologia che era però ancora tradizionale, specie nella scelta di utilizzare la maiolica. Nel 1997 presentate Scegli il Paradiso, l’ultima opera in maiolica per poi virare verso materiali industriali. Come siete giunti a questa scelta, come avete preso consapevolezza di avere bisogno di nuovi materiali anche da un punto di vista tecnico?
All’epoca dei nostri esordi, Franco Solmi ‒ allora direttore della Galleria d’arte moderna di Bologna ‒ stimolò un gruppo di giovani artisti di area faentina tra cui anche noi a riunirsi sotto il nome della “nuova ceramica”. Erano i primi Anni Ottanta e si ragionava su un possibile ritorno al lavoro, in risposta alla sparizione dell’arte e all’imperante arte concettuale. Contemporaneamente prese il via anche il gruppo della Transavanguardia e dei “nuovi nuovi”, si ragionava sul fare arte ritornando alla pittura e alla scultura nei laboratori.
Ritornando a noi, sono di quegli anni i lavori che prendevano il titolo di Minimi avanzi, composizioni su piccoli tavoli apparecchiati con tazze, piatti, avanzi di cibo, calici spumeggianti, ma tutto realizzato in dimensione piatta non tridimensionale.
Il materiale usato era una maiolica dipinta a puntinismo che creava una messa a fuoco dell’immagine, allontanandosi un po’ come per i pixel nella fotografia. Abbiamo così continuato fino al 1997, fino a quando non entrò nella nostra vita artistica Gian Enzo Sperone il quale ci fece ragionare sul fatto di rendere più oggettive le nostre composizioni. È stato il momento della svolta, la ricerca ci ha portato a considerare come necessari i materiali ceramici di derivazione industriale.
A questo proposito: menzionavate la vostra collaborazione con Sperone e un certo mondo dell’arte contemporanea (che poi vi è rimasto vicino con moltissime citazioni, penso alle Brillo Boxes, ma ci sono molti altri esempi). Vi chiederei allora quali fossero i vostri riferimenti in quegli anni.
La collaborazione con Sperone non era vincolante per i temi che abbiamo svolto, ma è stata fondamentale per porre l’attenzione sul nostro lavoro. È stato in una parola il nostro garante.
Avevamo ben chiaro quali fossero i nostri temi, i “minimi avanzi” si trasformarono in accumuli di piatti sparecchiati con avanzi di cibo e non c’era l’idea di scimmiottare Daniel Spoerri, ma piuttosto era una riflessione sulla transitorietà della vita, sull’idea di morte.
Tutto quello che di contemporaneo era intorno a noi ci interessava e ci interessa, soprattutto l’arte moderna e contemporanea, e per questo Warhol e Manzoni sono entrati a far parte del nostro teatro contemporaneo, nelle nostre “composizioni”.
E proprio a proposito dei vostri temi: prima facevate riferimento alle vostre prime mostre, nominando lavori che dialogavano con l’accumulo, la caducità. Questi temi sono ancora oggi una delle spine dorsali del vostro lavoro e li avete recentemente esposti nella mostra inaugurata a Catanzaro, a cura di Michele Bonuomo.
In mostra sono presenti trenta lavori che rappresentano uno spaccato della nostra produzione artistica di questi anni, dalle sparecchiature ai vassoi, dai pannelli del pronto soccorso agli specchi con pappagalli chiamati Nulla è come appare, per finire con una grande installazione dal titolo Terra!, composta di barili di petrolio e altri resti industriali rifatti in ceramica, portando a risaltare le qualità estetiche di questi soggetti ma cercando nel contempo di instillare dubbi e domande su quello che l’uomo sta provocando alla Terra.
Un ritorno alla storia dell’arte sembra per voi particolarmente importante. Penso a un certo gusto barocco nelle dimensioni titaniche di alcuni vostri lavori, nella tensione del movimento, nella rappresentazione dell’opulenza, nella preziosità dei materiali. Quanto di questa tradizione sentite vicino o quanto sentite, piuttosto, di vivere in un momento neo-barocco nel quale vi rispecchiate.
Non pensiamo di appartenere a un movimento neo-barocco, piuttosto abbiamo sempre pensato e detto che un possibile rinnovamento possa avvenire seguendo il solco della grande tradizione dell’arte che appartiene all’uomo.
La complessità estetica delle vostre opere, però, necessita anche di moltissimo lavoro. Per questa ragione negli anni avete sempre collaborato con un team. Come considerate questo gruppo? Come una bottega rinascimentale ‒ quindi tramandando una tradizione di tecnica e perizia ‒ o una realtà produttiva?
Per noi la parte fondamentale è la dimensione umana: lavorare con qualcuno non vuol solo dire avere qualcuno che ti aiuta. Noi cerchiamo di creare un gruppo di persone che condividano il lavoro alla fonte. Discutiamo con loro la parte estetica, le finalità. In questo gruppo siamo tutti a livello paritetico. Direi che la cosa più vicina alla nostra realtà è una famiglia: mangiamo insieme a pranzo, ci ascoltiamo. Condividiamo tutti la passione per l’arte
In ultima battuta: come vivete tutti voi della famiglia Bertozzi & Casoni, appassionata d’arte da molti anni, il grande successo che la ceramica sta avendo oggi nella scena contemporanea?
Tenuto conto delle resistenze che l’arte ha sempre avuto sulla ceramica, ritenendola arte minore o ancor peggio artigianato, oggi siamo molto contenti e soddisfatti del successo che sta avendo a livello internazionale. Dopo quarant’anni di lavoro con questo materiale c’è l’idea in noi che possa essere anche un po’ merito nostro.
‒ Irene Biolchini
http://www.bertozziecasoni.it/
LE PUNTATE PRECEDENTI
Gli artisti e la ceramica #1 ‒ Salvatore Arancio
Gli artisti e la ceramica #2 ‒ Alessandro Pessoli
Gli artisti e la ceramica #3 ‒ Francesco Simeti
Gli artisti e la ceramica #4 ‒ Ornaghi e Prestinari
Gli artisti e la ceramica #5 ‒ Marcella Vanzo
Gli artisti e la ceramica #6 – Lorenza Boisi
Gli artisti e la ceramica #7 – Gianluca Brando
Gli artisti e la ceramica #8 – Alessandro Roma
Gli artisti e la ceramica #9 – Vincenzo Cabiati
Gli artisti e la ceramica #10 – Claudia Losi
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