Gli artisti e la ceramica. Intervista a Sissi
Tra performance e installazione site specific, la poetica di Sissi è anche legata all’elemento ceramica. Ne abbiamo parlato con lei.
Sissi (alias Daniela Olivieri, Bologna, 1977) vive e lavora tra Bologna e Londra. Da sempre attiva in una ricerca che fonde diverse discipline (antropologia, archeologia, letteratura) in una pratica in cui la dimensione performativa e manuale hanno un ruolo centrale, da diversi anni si è avvicinata alla ceramica.
Nel 2011, descrivendo i tuoi diari affermavi: “C’è una idea che li unifica, sono un’opera unica. Un alveare, una grande libreria, un ossario fatto di tutti i libri che in seguito si potranno consultare”. Partiamo da questa struttura-corpo autobiografica che diventa corpo dell’opera.
I primi diari del 1995 sono stati quaderni usati su cui sovrapponevo il presente, in seguito sono diventati fogli bianchi rilegati a mano popolati da disegni, collage e foto.
Le foto sono provini scattati unicamente con la Nikon F2, una macchina analogica appartenuta a mia madre. Ritrovandola pensai che con me, con l’uso che ne avrei fatto, avrebbe continuato a vivere. Attraverso la fotografia ho imparato a conoscere ciò che mi circondava, lei mi ha insegnato a mettermi in contatto con gli altri, a mirare le cose, entrando nel punctum delle emozioni. La morte, l’apparente fine delle cose è una relazione che conosco da sempre.
Per questo, attraverso la cura delle cose, prolungo l’immagine umana dell’eterno desiderio di vita.
Nel 2016 hai presentato la performance L’imbandita a cui ha fatto seguito la personale Motivi ossei, un percorso che continua a evolversi nella tua pratica ceramica (che intrappola la forma del corpo). Quanto è importante l’elemento performativo nel tuo modo di lavorare la ceramica?
Sono coinvolta interamente, tutto il corpo lavora quando sono con lei, come un orchestra per la sua musica. Le energie ruotano in una vorticosa ripresa che getta verso l’esterno propagando il corpo nelle sue intenzioni. La terra argillosa è un materia neurocompatibile, dove mente e mano sono veloci, comunicano in una linea nervosa diretta, sempre bagnati dal ritmo picchiettante che la terra impone loro. Quando la manipolo lei assorbe il mio sentire e me lo restituisce nell’impronta che mi ritrae. La performance più dura è imparare ad accettarla, per come cresce nelle sue crepe, cadute e deformi apparenze.
Il tuo percorso è da sempre segnato da un contatto diretto con la materia: come si è inserita la ceramica all’interno di questa relazione continua?
È stato necessario, era l’unico materiale che potesse riportare il fondale del mio corpo.
Nel 2002, nella performance La di piano, indossavo degli elementi ceramici smaltati raffiguranti una corona e un paio di zoccoli dal colore latteo. La ceramica plasmava una visione immaginifica di essere reale e ibrida allo stesso tempo. La performance plasmava il desiderio di sospensione che accompagna l’evoluzione fetale e le ceramiche mi offrivano la possibilità di riconoscermi in un’identità ibrida che forse può scegliere cosa diventare.
Nel 2009 tornai all’argilla con l’opera La deriva è il nodo della mia gola, presentata per alla 53esima Biennale di Venezia nel Padiglione Italia.
L’idea parte dall’interno di una caverna, dove cerco delle forme primitive grottesche per riportarle alla luce in ceramiche pittoriche. Appariva sulla soglia dell’ingresso come un naufragio di accoglienza che da un personale sentire si dilatava in un universale ritrovamento di distaccati e vagabondi reperti anatomici.
La tua arte si è inserita anche all’interno di residenze private, tuttavia sempre declinandosi in maniere differenti: penso a Voliare (per la Fattoria di Celle, Collezione Gori, 2007) e a Germogli Ossei (Palazzo Bentivoglio, 2018). Come lavori quando ti inserisci in questi contesti?
La modalità di lavoro che prediligo e che sempre mi stimola e provoca è l’installazione site specific, poiché mi offre il concetto di appartenenza. Spesso la mia opera si annida, si arrampica o radica sviluppando un movimento di espansione e contaminazione nell’ambiente in cui va a instaurarsi. Cerco una relazione tra le cose e le forme e trasferisco alla materia un profondo sentimento che vuole far parte di un tutto.
Hai dichiarato spesso che il termine “progettazione” non ti appartiene, perché preferisci rimanere legata a una dimensione del “sentire”. Come coniughi questo tuo approccio alla realtà del design (penso ad esempio alle tue numerose collaborazioni con Furla)?
In me l’aspetto progettuale esiste, ma in una forma del tutto rielaborata. È il tempo che vede il mio lavoro come un grande progetto, la costruzione di un corpo le cui parti sono le tematiche che vivono i cicli del mio fare artistico. Quando progetto all’interno di una collaborazione, lo faccio con la possibilità di debordare, delimitando argini a lunga distanza, permeando fluidamente in tutte le possibili sfumature che un progetto mi richiede.
‒ Irene Biolchini
LE PUNTATE PRECEDENTI
Gli artisti e la ceramica #1 ‒ Salvatore Arancio
Gli artisti e la ceramica #2 ‒ Alessandro Pessoli
Gli artisti e la ceramica #3 ‒ Francesco Simeti
Gli artisti e la ceramica #4 ‒ Ornaghi e Prestinari
Gli artisti e la ceramica #5 ‒ Marcella Vanzo
Gli artisti e la ceramica #6 – Lorenza Boisi
Gli artisti e la ceramica #7 – Gianluca Brando
Gli artisti e la ceramica #8 – Alessandro Roma
Gli artisti e la ceramica #9 – Vincenzo Cabiati
Gli artisti e la ceramica #10 – Claudia Losi
Gli artisti e la ceramica #11 – Loredana Longo
Gli artisti e la ceramica #12 – Emiliano Maggi
Gli artisti e la ceramica #13 – Benedetto Pietromarchi
Gli artisti e la ceramica #14 – Francesca Ferreri
Gli artisti e la ceramica #15 – Concetta Modica
Gli artisti e la ceramica #16 – Paolo Gonzato
Gli artisti e la ceramica #17 – Nero/Alessandro Neretti
Gli artisti e la ceramica #18 – Bertozzi & Casoni
Gli artisti e la ceramica #19 – Alberto Gianfreda
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