Musica e illustrazione. Intervista a Giorgio Poi
Giorgio Poi ha scritto, prodotto, suonato e anche disegnato il suo ultimo disco fatto in casa, “Smog”, uscito a marzo 2019. In una delle ultime date del tour autunnale, lo abbiamo incontrato per farcelo raccontare.
Giorgio Poi è uno degli artisti più forti della scena italiana. Nato a Novara, ma naturalizzato romano, Giorgio, finito il liceo, si sposta a Londra, dove studia e si diploma in chitarra jazz alla Guildhall School Of Music And Drama. Nel suo periodo all’estero fonda il gruppo Vadoinmessico, con il quale pubblica l’album Archaeology Of The Future, un progetto che in seguito assumerà una nuova forma sotto il nome Cairobi. Poi, un giorno, la decisione di ritornare in Italia e di scrivere in italiano: scelta saggia, che ci regala il suo primo, incredibile, disco Fa Niente, uscito per Bomba Dischi/Universal a febbraio 2017. Un disco elogiato dalla critica e accolto dal pubblico nazionale con grande entusiasmo, perché di Giorgio si ama il personaggio in tutte le sue sfaccettature: cantante, autore e soprattutto musicista.
Fa niente si accompagna a un fortunato tour in trio con Francesco Aprili alla batteria e Matteo Domenichelli al basso. Intanto arriva il 2018 e con l’anno nuovo un’altra conquista: partecipa a Eurosonic e fa un mini-tour europeo, i Phoenix se ne innamorano e lo invitano ad aprire i loro concerti a Milano, Parigi e oltreoceano, a New York e Los Angeles. Tra le importanti collaborazioni, quella con Frah Quintale per il brano Missili, con Carl Brave per il brano Camel Blu e Prima di partire con Luca Carboni.
UN DISCO FATTO IN CASA
Si possono mantenere standard così alti? Difficile, ma Giorgio Poi ci riesce e a marzo 2019 esce il suo “primo secondo disco”, dice lui, dal titolo Smog. “Di dischi d’esordio se ne possono fare anche tre o quattro, con nomi sempre diversi. Invece i secondi dischi sono più rari, perché per fare un secondo disco non basta fare un disco, ma bisogna farne due, e mano a mano che si va avanti la situazione si complica. È un disco fatto in casa, e un disco è una delle poche cose fatte in casa a cui non si può aggiungere di seguito ‘come una volta’, perché una volta i dischi si facevano in studio. Quindi di questo disco si potrà dire quel che si vuole, ma non che non sia un disco moderno”. Dopo quaranta date di successo in tutta Italia, lo Smog Tour sta volgendo al termine, proprio ora l’artista è impegnato nelle ultime date autunnali: la prima data è stata a Roma, l’11 ottobre allo Spring Attitude Festival, le prossime saranno il 1° novembre alle Officine Cantelmo di Lecce, il 7 novembre al Teatro Toniolo di Mestre e l’8 all’Hiroshima Mon Amour di Torino; al Viper di Firenze il 16 novembre e, infine, al Linecheck di Milano il 22. E intanto il 10 ottobre 2019 è uscito Erica cuore ad elica, l’ultimo brano di Poi, un bel regalo autunnale, postato su Instagram anche dal tanto amato Lorenzo Jovanotti. Tra una data e l’altra, lo abbiamo incontrato per farci raccontare le illustrazioni del disco, che si è auto-realizzato.
Come mai hai scelto di disegnare tutte le illustrazioni del disco?
È stato un caso. Ero a cena con degli amici e stavamo scherzando, avevamo finito di mangiare e stavamo facendo un semplice gioco, quello in cui ognuno dice una parola random e tutti poi devono disegnarla. Ammetto che all’inizio neanche volevo partecipare, non sono proprio in grado di disegnare, ma poi mi sono messo lì e mi sono divertito molto, non ero convinto del risultato, ma sentivo che il prodotto finale era un’espressione di me. E così l’idea di realizzare un disegno per ogni brano del disco.
Quindi ti piace disegnare?
Sicuramente non ho capacità tecnica nel disegno, anzi non ne ho mai avute. Direi che il mio rapporto con questa pratica è terminato alle elementari, non riuscivo a portare a casa un disegno decente ai miei, tanto che una volta me ne sono fatto fare uno da una mia compagna di classe e dissi che l’avevo fatto io [ride, N.d.R.]. Non credo che i miei mi abbiano effettivamente creduto.
È necessario avere tecnica per produrre un’immagine che sia il risultato di un naturale processo di libera associazione?
No non credo, anzi. Questo si può applicare a ogni disciplina. Nel mio campo, quindi per quanto riguarda la musica, ho sempre trovato interessante sentire cosa è in grado di produrre musicalmente qualcuno che non ha alcuna preparazione. Per esempio: una persona che per la prima volta prende in mano la chitarra, magari non sa neanche come prenderla, ma si mette lì e ci prova. Alla fine il risultato è sorprendente, è musica dell’imprevedibilità, si produce qualcosa che non ti aspetti. Quando ero al liceo mi piaceva molto ascoltare le persone che suonavano “male”, ovvero facendo errori tecnici, inserivano dei dettagli che sorprendevano, la sorpresa è l’aspetto tecnicamente imperfetto. Lo stesso discorso lo puoi fare per il disegno, le illustrazioni che ho fatto io per il disco sono tecnicamente imperfette, sì, perché è un linguaggio espressivo che non padroneggio. Ma forse è proprio quello il bello, no? Io sicuramente credo di aver scoperto qualcosa di nuovo.
È interessante vedere come in tutti i tuoi disegni non ci sia alcuna pretesa, il tratto è elementare, un disegno quasi infantile, primitivo.
Sì, io ho dato il massimo per fare quei disegni, “tecnicamente” ho dato il massimo, se vogliamo riprendere questa parola. Io ho dato il meglio di me. Per me restituiscono una bella immagine della musica che contiene, rispecchiano i brani perché sottolineano l’aspetto casalingo di Smog. Smog è un disco fatto in casa, tutto prodotto nella mia stanza.
Concretizzare in un’immagine visiva la tua musica. È questo quello che volevi fare con le illustrazioni?
Non esattamente. Sì, è vero. Ho fatto un disegno per ogni canzone, ma in realtà c’è un’importante eccezione: la copertina del disco. La copertina, dove ci sono tutti questi uomini che fumano, che ho disegnato un giorno a casa mia a Bologna, nasce prima di tutto. Mi spiego: di solito il processo di gestazione di un disco va così: uno scrive un brano, dà il nome al brano, e poi il nome del brano può diventare il titolo del disco, magari. E poi, infine, fai la copertina. Qui invece è stato tutto il contrario: io ho fatto prima di tutto quel disegno, poi ho dato un nome al disegno, e poi è diventato il titolo del disco e anche il titolo di un brano strumentale all’interno, un brano un po’ “fumoso”, come gli uomini in copertina.
Ne hai una a cui sei più affezionato?
No in realtà no, mi piacciono tutte allo stesso modo. Forse Stella, dove c’è un uomo che indica, appunto, la scritta “stella”, ma direi che è un’affezione che nasce dal legame con il brano, mi piace il tema trattato, mi ci sento molto vicino. È una canzone che parla di fraintendimenti, del non capire veramente niente, credo sia un sentimento universale, la vita non si capisce.
La musica spesso stimola la sensibilità dell’ascoltatore e lo porta a pensare, a trasformare le parole in immagini visive. Anche tu l’hai fatto? I tuoi disegni sono espressione dei brani a cui si riferiscono?
No, o almeno, io sono un musicista, non sono in grado di restituire in un’illustrazione tutto quello che dico in una canzone. Provo a dare una versione elementare di come immagino quel brano, ma in maniera molto semplice, istintiva. C’è anche da dire che la scrittura dei miei testi procede molto per immagini, e sarebbe difficile riassumerle tutte con un solo disegno. Sto lì, penso e aspetto un’idea, un pensiero che mi venga a trovare.
‒ Bianca Felicori
http://www.bombadischi.it/giorgio-poi/
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