Una Popović si è formata al CSU, il Centro per l’Arte Contemporanea. Ora è curatrice del Salone del Museo di Arte Contemporanea, ovvero l’ala più sperimentale e di ricerca del MoCAB.
Come è iniziata la tua carriera curatoriale?
Nei primi Anni Zero ho iniziato a lavorare presso il Centro per l’Arte Contemporanea, che esiste dagli Anni Novanta. Durante questi anni il Centro ha rappresentato una piattaforma dinamica e aperta, che ha promosso validi dibattiti volti a indagare le relazioni fra arte, politica, individui e società. All’interno di questa piattaforma si sono sviluppate eccellenze come la Scuola di Storia e Teoria dell’Immagine (Škola za istoriju i teoriju slike). In un momento di isolamento economico e culturale, la Scuola ha rappresentato una delle attività educative più serie del settore delle ONG.
Quali sono i tuoi criteri per la selezione artistica?
Come curatrice del MoCAB sono tenuta a tener traccia dei fenomeni della scena artistica a livello globale. Inoltre, come curatrice di un’istituzione, devo porre attenzione alla storicizzazione delle pratiche e dell’espressione artistica – e questo dovrebbe essere uno dei ruoli prioritari del curatore in generale. In questo contesto, le scelte prevalenti sono rivolte alle avanguardie.
Come è cambiata la scena artistica in Serbia negli ultimi dieci anni?
Gli Anni Novanta furono dedicati alla situazione politica, alla guerra, all’isolamento della Serbia, ai bombardamenti della NATO e alla lotta personale e collettiva per preservare la propria umanità e integrità.
E oggi?
Gli artisti sono più interessati a tematiche incentrate sui nuovi modelli di economia, sull’ecologia, e si concentrano molto sul piano estetico. Ma l’estetica non può fare a meno dell’etica!
Ritieni che l’approccio istituzionale, in campo artistico, sia cambiato a fronte dei nuovi sviluppi economici del Paese?
La politica e l’economia influiscono senza dubbio su tutti noi e un esperto di scienze sociali e studi culturali deve saper leggere queste dinamiche. Il MoCAB è stato chiuso per ristrutturazione per ben dieci anni. Durante questo lasso di tempo, dal 2007 al 2017, in Serbia ci sono stati molti cambiamenti politici e soprattutto economici, che hanno influito anche sulla museologia. Nuovi criteri economici hanno sviluppato differenti modelli di politica culturale, indirizzati sempre più a trasformare i musei in industrie di intrattenimento che producono principalmente mostre populiste a scopo di lucro. Ci deve essere sicuramente un processo di avvicinamento delle arti alla cittadinanza, ma mantenendo i livelli contenutistici qualitativamente alti. Il MoCAB si muove proprio in questa direzione: interagisce con mostre retrospettive di alto profilo con il pubblico già avvezzo alla cultura contemporanea e nutre una platea più acerba con laboratori e dibattiti.
Ci spieghi la relazione tra il Salone e il MoCAB?
All’interno del museo mi occupo del programma del Salone, che è situato nel centro della città e funge da project space. Al Salone presentiamo le ultime tendenze dell’arte visiva, principalmente attraverso mostre personali di artisti contemporanei locali e stranieri, ma anche con l’organizzazione di dibattiti e conferenze. Inoltre, lo spazio è aperto a mostre tematiche di curatori che si occupano di tendenze contemporanee e che in questo luogo hanno l’opportunità di realizzare i loro progetti. Il Salone è quindi in rapporto osmotico con il MoCAB, che ha una collezione permanente e organizza mostre storiche.
Come vedi la scena artistica serba nei prossimi anni?
È difficile da prevedere, dipende da vari fattori, ma sicuramente diventerà più internazionale. Vedremo se sarà elaborata nel modo giusto o meno.
‒ Zara Audiello
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #51
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