La visione eccentrica di Palermo. Intervista a Leoluca Orlando
Il sindaco di Palermo Leoluca Orlando racconta i grandi progressi fatti dalla “sua” città nel corso dell’ultimo decennio.
Che proprio una città situata all’estremo sud del continente, una città ‒ scampata a una storia recente di mafia, violenza e sopraffazione ‒ si proponga ora come baluardo culturale dei valori fondanti dell’Europa è certamente una novità. Posta al centro del Mediterraneo, Palermo si colloca a sud del continente europeo e al contempo sulla linea che sfiora a nord quello africano e a nord-ovest l’area medio-orientale.
Ci siamo occupati a più riprese della Biennale Arcipelago Mediterraneo in pieno svolgimento in questi giorni. BAM fa seguito ad altre due manifestazioni: Palermo Capitale della Cultura italiana e Manifesta12, svoltesi entrambe nel 2018. Questa edizione, come già la precedente tenutasi nel 2017, è un festival internazionale di teatro, musica e arti visive dedicato al Mediterraneo, considerato come orizzonte umano prima ancora che geografico. Una manifestazione che è prima di tutto un gesto di lotta politico-culturale coerente con la visione di Leoluca Orlando, sindaco della città per ben 6 volte in 35 anni.
Quella di Orlando è una vicenda politica che ne ha fatto un monumento vivente e non solo in Sicilia: a partire dal giuramento (così gli piace ricordarlo) scambiato con Sergio Mattarella sul cadavere del fratello Piersanti dopo l’esecuzione mafiosa avvenuta il 6 gennaio 1980 davanti alla famiglia, in pieno centro a Palermo. Orlando ha utilizzato le sue competenze di giurista (ha studiato prima a Palermo, nell’università in cui il padre era preside, poi ad Heidelberg, dove ha avvicinato figure come quella di Martin Heidegger e Hans-Georg Gadamer), le sue importanti connessioni internazionali (parla e scrive libri anche in inglese e tedesco) e uno straordinario istinto politico per operare un cambiamento epocale nel capoluogo siciliano. Che oggi, quanto a proposte culturali, brilla come un faro nella notte in una regione guidata prima da una giunta di centro-sinistra con a capo Crocetta (2012-2017) e attualmente da una di centro-destra (Musumeci), che non hanno palesato una qualsivoglia visione. Fuori da Palermo c’è il deserto: a Catania come a Messina, a Trapani come a Ragusa e non bastano, certo, le pur meritevoli quanto sparute iniziative private a colmarlo.
L’INTERVISTA
Sindaco Orlando, a Palermo la mafia c’è ancora?
La città è cambiata in questi quarant’anni nella testa e negli stili di vita dei palermitani.
Era la capitale della mafia ancora negli Anni Ottanta; ma nel 2018 è diventata Capitale italiana della Cultura, sede di Manifesta 12, tra le prime cinque città turistiche di Italia. È stata inserita nel Patrimonio mondiale dell’UNESCO per la sua storia arabo-normanna, è un riferimento internazionale per la sua cultura dell’accoglienza. Alla Biennale Arcipelago Mediterraneo partecipano artisti e pensatori provenienti da ogni parte del mondo. La mafia esiste ancora? Esiste: a New York e a Palermo, a Parigi e a Palermo, ad Amburgo, a Marsiglia e anche a Palermo. Ma oggi non governa più la città come accadeva in passato.
Sta dicendo che Palermo oggi è un’isola felice?
Certamente no! Non tutti i problemi sono stati risolti. A Palermo le criticità sono ancora molte, ma abbiamo una visione e abbiamo intrapreso un cammino, che ci fa essere più avanti del nostro Paese.
Addirittura.
Lo si deve al coraggio civile di tanti e all’insopportabile ipoteca mafiosa che ne faceva una realtà più arretrata e impresentabile. Di questo cambiamento culturale dobbiamo ringraziare soprattutto coloro che hanno dedicato ‒ e in alcuni casi perso ‒ la propria vita per liberare la città da uno Stato che aveva il volto della mafia. Ma dobbiamo “ringraziare” la mafia stessa con la sua insopportabile violenza: con il suo sistema di potere culturale, religioso, politico, ha esagerato, ha “ucciso troppo”.
Stiamo parlando di una piccola realtà, di una esperienza periferica, di una città non esattamente europea…
Certamente Palermo non è Berlino e nemmeno Parigi. Palermo è una città mediterranea, di più: è una città mediorientale in Europa. Palermo per certi versi pare Tripoli o Beirut. Beirut, sì, ma con i tram che funzionano e una cablatura che è, insieme a quella di Milano, la migliore d’Italia. Palermo oggi accoglie tutti e fa del rispetto dei diritti della persona il proprio orizzonte. Città di gente che ha conosciuto dolorose migrazioni verso il nord e verso altri continenti, per lungo tempo ha rifiutato i migranti in arrivo, ha mortificato e cacciato i diversi. Nella cronaca criminale della mafia non vi è un solo esempio di loro coinvolgimento: non venivano accettati neanche come manovalanza, neanche come “palo” o come killer.
Per essere un uomo politico bollato da sempre come ateo, comunista e giustizialista, non le sembra di essere diventato un po’ troppo “buonista”?
Nessuno è perfetto, ma non sono mai stato né ateo né comunista. Giustizialista? Contrastando la mafia ho dato fastidio a utili idioti e complici dei mafiosi. Ateo? Contrastando il sistema di potere anche religioso della mafia, ho dato fastidio a certi prelati e vescovi, anche loro utili idioti, complici dei mafiosi. Comunista? Ho dato fastidio a primi ministri, ministri, politici e di nuovo utili idioti, complici di mafiosi o loro stessi mafiosi. Due anni fa Papa Francesco, al termine di un convegno della Pontificia Accademia delle Scienze a cui ho partecipato, mi ha inviato una lettera che concludeva con queste parole: “Non si dimentichi di pregare per me o, se non prega, le chiedo che mi pensi bene e mi mandi buona onda”. Che posso dire di più?
Torniamo a Palermo. In cosa si traduce questa visione più avanzata rispetto a quello che accade altrove?
Come qualsiasi altra città del mondo, ora Palermo deve affrontare la sfida di un mondo in potente trasformazione. Un mondo dove si incrociano Google e Ahmed. Google (o qualsiasi altra multinazionale web) esprime la connessione virtuale e Ahmed (o Alì, Ishmael, Aisha…) esprimono la connessione umana. Una città sotto il dominio di Google sarebbe un disastro, senza memoria del passato, senza un vero progetto di futuro. Una città sotto il dominio di Ahmed sarebbe incapace di innovazione. A Palermo abbiamo scelto dunque di fare una sintesi: siamo una delle città meglio cablate nel Mediterraneo e al tempo stesso siamo una città il cui sindaco ripete ogni giorno ‒ mi scuserete l’autocitazione: “A Palermo non ci sono ‘migranti’”. Chi vive qui è palermitano, appartiene a un’unica razza: quella umana. Perché chi distingue gli esseri umani secondo le razze prepara Auschwitz.
E quale dovrebbe essere l’assunzione di responsabilità di Palermo a questo proposito?
La sfida è quella che ci pone la mobilità. Sarebbe importante che un corso di laurea di Scienze della Mobilità potesse essere istituito in una Università Cattolica sottolineando la sistematicità scientifica e didattica dell’insegnamento di Papa Francesco; o presso l’Università degli Studi di Palermo: ne ho già parlato di recente con il Rettore Fabrizio Micari. In questo caso in collegamento con il momento storico culturale che Palermo sta vivendo. La mobilità di persone e di informazioni, di merci e di denaro dovrebbe essere studiata riconducendo a unità interdisciplinare scienze umane, tecniche ed espressioni artistiche.
Palermo sembra aver scelto proprio la mobilità come cardine delle manifestazioni culturali svoltesi in questo ultimo decennio.
Molte certezze sono sottoposte, oggi, a questa sfida. Ad esempio: che cosa è oggi lo Stato? Uno spazio chiuso? Così almeno per secoli ci hanno insegnato. Ma provate a chiederlo a un millennial, domandatevi che senso ha lo Stato per Google o per Aisha. Per un ventenne lo Stato è il nemico della sua felicità: bene che vada è un male necessario, necessario ma sempre un male. E l’identità? Era il sangue dei genitori: per lo meno così è stato per secoli. Ma oggi? “L’identità è un atto supremo di libertà, l’identità, la mia identità è ciò che io scelgo di essere”. Che cosa è oggi la Patria? Il luogo dove siamo nati? Certamente non è il luogo dove i genitori hanno deciso di farti nascere, senza il tuo consenso. Nessun essere umano libero, nessuna persona può essere condannata ad aver per Patria il luogo nel quale altri l’hanno fatto nascere. “La Patria la scelgo io”: così afferma Google, così afferma Ahmed, così un qualsiasi ventenne.
Da capitale della mafia a capitale dei diritti umani il salto è grande…
Oggi, grazie alla accoglienza riservata ai migranti, i palermitani, dopo anni di mortificazione, scoprono e difendono i diritti umani, di tutti quindi anche i propri umani. In questo cammino, una tappa significativa è stata, nel 2015, l’approvazione della Carta di Palermo incentrata sul concetto del diritto alla mobilità internazionale: un modo radicalmente nuovo per affrontare la regolazione del flusso migratorio.
Propone l’abolizione dei permessi di soggiorno in favore di una adozione indiscriminata della cittadinanza. È però in contraddizione con le disposizioni che provengono da Roma.
Da mesi concedo la residenza anagrafica a centinaia di profughi, in violazione (forse) del Decreto Sicurezza, ma nel rispetto (sicuramente) della nostra Costituzione. Sa perché lo faccio? Perché ho scelto di non essere chiamato sul banco degli imputati quando si celebrerà un secondo processo di Norimberga. I nostri nonni potevano forse dire di non essere a conoscenza del genocidio italo-tedesco, fascista e nazista, noi non potremo dire ai nostri nipoti che non sapevamo del genocidio nel Mediterraneo, noi non potremo dire che non avevamo capito che le leggi europee e nazionali violavano i diritti umani di persone appartenenti all’unica razza umana. È la visibilità la via maestra per difendere i diritti e garantire la sicurezza.
E i problemi legati alla sicurezza?
Palermo oggi è un mosaico di tessere tutte diverse per colori e dimensioni, tenute in equilibrio in una cornice di diritti. Quando arriva un migrante musulmano che potrebbe essere pericoloso – perché esistono migranti musulmani pericolosi ‒, i residenti musulmani che si sentono e sono considerati palermitani avvertono il sindaco e il sindaco avverte il questore. Non accade altrettanto nelle banlieu di Parigi o Bruxelles. Palermo oggi è una città sicura: è anche diventata una città turistica, ha conquistato una grande attrattività internazionale. La sicurezza non è una strada a senso unico.
In che senso?
Chi arriva da noi non vede garantita alcuna sicurezza nei Paesi di origine, nessuna sicurezza in quelli di transito e tantomeno nei Paesi europei che ha raggiunto: viene infatti consegnato al turpe mercato prodotto dal sistema del permesso di soggiorno. La difficoltà di ottenere il permesso di soggiorno consegna centinaia di migliaia di esseri umani nelle mani sporche di sangue di trasportatori via terra e scafisti per mare prima del loro arrivo qui. Lo stesso sistema consegna centinaia di migliaia di “clandestini” ai caporali, agli sfruttatori di prostituzione, a proprietari di immobili fatiscenti e insalubri. L’intero sistema è frutto di una legislazione proibizionista e criminogena che, invece di tutelare gli sfruttati, permette agli sfruttatori di denunciare gli “illegali”, che, se si ribellano e chiedono il rispetto dei propri diritti, vengono puniti con il rimpatrio, con il ritorno a condizioni di violenza e di morte.
Le ripercussioni delle migrazioni sono un problema che ha colto di sorpresa l’intera Europa. Accogliere tutti a Palermo sembra però più che altro una bella intenzione.
Certamente. Palermo è troppo piccola per accogliere tutti i migranti che arrivano, lo è anche l’Italia; ma l’Unione Europea, con 28 Stati e centinaia di milioni di residenti, è ancora troppo piccola? L’Unione Europea, terminata la Seconda Guerra Mondiale, fece una scelta pilotata da tre “terroristi” con Adenauer, De Gasperi e Schuman: affermò l’esigenza di superare le angustie degli Stati come spazi chiusi promuovendo la visione di una straordinaria entità politica, fatta di minoranze che insieme immaginavano un futuro di pace e diritti umani. Se nella UE qualche Stato non aderisce alla moneta unica, la visione dei padri fondatori ha ancora senso; forse ha ancora più senso perché dimostra che le scelte di ciascuno sono rispettate. Diverso se qualche Stato Membro, non rispettando i diritti umani, calpesta la visione dei padri fondatori: in questo caso è la stessa visione europea a perdere di senso, in questo caso l’Europa non ha più motivo di essere. Ancora peggio se sono le stesse istituzioni europee a violare i propri fondamenti: perché a questo punto la fine dell’esperienza europea è certa.
E dunque a cosa serve il laboratorio palermitano?
Ho la speranza che Palermo possa continuare a svolgere la sua storica funzione di contaminazione: negativa ieri, positiva oggi. Vorrei citare ancora ancora un esempio. Questa amministrazione ospita ogni anno il più grande Gay Pride del sud Europa. Lo scorso anno ho chiesto agli amici omosessuali una dichiarazione esplicita a favore dei diritti dei migranti. Poi sono andato dai rappresentanti di questi ultimi e ho chiesto la stessa cosa al contrario. Perché ci sono anche omosessuali razzisti come ci sono migranti omofobi. Tema del Gay Pride 2018 a Palermo? Migrazione e omosessualità.
‒ Aldo Premoli
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