Dall’Iran all’Italia. Intervista a Zanbagh Lotfi
Zanbagh Lotfi è la terza “voce” della nostra inchiesta sul mondo dell’arte dal punto di vista delle donne.
Dopo Liliana Moro e Francesca Grilli è Zanbagh Lotfi a prendere la parola sulla questione dell’essere donna e artista.
Come vivono gli artisti? Quali sono le loro fonti di reddito più ricorrenti?
Credo sia necessario un grande sacrificio per vivere da artista. La maggior parte di quelli che conosco hanno una doppia vita e un doppio lavoro (inclusa me stessa), perché ormai hanno deciso di rinunciare al diritto di vivere della propria arte. Tanti insegnano e magari esprimono una parte della loro creatività trasmettendo ciò che sanno fare, talvolta in modo così soddisfacente da smettere di concentrarsi sulla propria ricerca. Io ho scelto di dividermi in due. Una decisione drastica: faccio un lavoro part time in un mondo completamente staccato e lontano dall’arte, per potermi permettere di dipingere. Al reddito si aggiunge la vendita delle mie opere.
Com’è dal tuo punto di vista l’attuale situazione di mercato? Come è cambiato da quando hai cominciato a lavorare in questo ambito?
Questa domanda mi pone una serie di quesiti: la crisi? Un’attenzione eccessiva verso l’arte concettuale? Il periodo di sottovalutazione della pittura? Il ritorno della pittura? Sono arrivata in Italia e ho notato da subito di essere troppo vecchia per il mercato! Avevo 27 anni e mi sono reiscritta all’Accademia di Firenze dopo aver compiuto i miei studi all’Università di Teheran. Era un modo per cominciare a integrarmi, ma in diverse occasioni mi è stato posto questo problema, dai concorsi con limite d’età ai galleristi. In realtà, comunque, non ho una visione molto chiara del mercato. Non ci sono mai entrata per davvero e non è stata la mia principale intenzione puntare a entrarci: ho cercato sempre di avere più visibilità e scambio, ma più per ricevere un nutrimento intellettuale, crescere e confrontarmi, condizione che ho trovato spesso nelle piccole realtà create dagli stessi artisti.
Cosa ti aspetteresti di più dal sistema dell’arte? Cosa vorresti che ti desse?
Che mi vedesse! Che non mi ignorasse! Credo nella mia scelta, ci tengo a capire dove sto andando, avrei bisogno di visibilità, non tanto per ricevere applausi e complimenti, ma una sana critica e un giusto riconoscimento per il mio impegno. Vorrei un sistema che valuti l’opera indipendentemente dai parametri abituali e capace di leggere il mio lavoro. Vorrei potermi confrontare in un contesto altro, fuori dello studio, in uno spazio neutro, dove questo possa essere messo in discussione nella sua vera esistenza o dove potrebbe acquisire il suo valore assoluto.
Pensi che ci sia un problema di riconoscimento delle donne artiste?
Credo che siamo noi donne a dover credere in noi stesse prima di tutti gli altri. Non mi sono sentita mai diversa, mai inferiore, penso che ci voglia comunque un impegno costante. Credo che nell’arte ci siano tantissime artiste valide, che lavorano con serietà e dedizione. Però la prima volta che ho sentito la differenza fra la quotazione di un artista uomo e di un’artista donna sono rimasta sconvolta. Perciò mi chiedo: siamo veramente viste con gli stessi occhi o c’è una specie di maschilismo nascosto anche qui?
Come riesce un’artista globetrotter come te, completamente identificata con la propria pratica, a gestire la vita privata e il rapporto con la famiglia?
Sono tanti anni che vivo nelle case/studio, anche prima di trasferirmi in Italia, riducendo le spese e iniziando da uno spazio vuoto, creando tutto intorno a me, una scelta che si è tradotta in uno stile di vita. Chi entra nella mia vita privata vive il mio mondo. Ho sempre voglia di migliorarlo, in termini di qualità, ma non lo cambierei con nient’altro.
‒ Santa Nastro
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #51
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