Biennale di Bangkok 2020. Intervista al curatore Apinan Poshyananda
Abbiamo intervistato un pioniere della curatela globale come Apinan Poshyananda durante la lecture tenutasi presso NABA – Nuova Accademia di Belle Arti di Milano. Il 2 dicembre scorso ha raccontato agli studenti del biennio di Arti Visive e Studi Curatoriali la sua esperienza con la precedente Biennale di Bangkok (di cui è stato fondatore) intitolata “Beyond Bliss”, la prima Biennale nella storia thailandese.
L’affascinante e al tempo stesso problematica visione di una nuova prospettiva per la curatela globale è il campo d’indagine in cui s’inserisce il curatore thailandese Apinan Poshyananda, che in questa occasione chiarisce i motivi e le ragioni che hanno portato la Thailandia a ipotizzare l’istituzione di una mostra con artisti provenienti da tutto il mondo, selezionati anche attraverso l’ausilio di un’open call. Nonostante i numerosi dibattiti a proposito dei rischi dell’estrema biennalizzazione che sta colpendo il sistema delle esposizioni, il risultato e i numeri che si porta dietro la Biennale di Bangkok sono impressionanti, tanto da essere stata tra le prime dieci più visitate al mondo. In molti hanno elogiato, per esempio, la capacità di far dialogare arte contemporanea e spazi pubblici, come nel caso dell’intervento performativo di Jitsingt Somboon tenutosi all’interno del tempio di Wat Pho, celebre per la gigantesca statua del Buddha sdraiato che ne occupa interamente gli ambienti.
A seguito del grande successo ottenuto, abbiamo chiesto a Poshyananda qualche delucidazione sulla prossima edizione, di cui sarà ancora il direttore artistico e che vede inoltre la collaborazione di Marco Scotini per quanto riguarda la selezione degli artisti italiani.
Il limite massimo per la candidatura al bando di partecipazione è fissato per il 25 dicembre ed è aperto a tutti gli artisti del mondo. Per ora tra i sedici selezionati dai curatori compaiono nomi di fama internazionale tra i quali Rirkrit Tiravanija, Bill Viola, Anish Kapoor, Ho Rui An, Baatarzorig Batjargal e Thanet Awsinsiri.
Quali risultati avete raccolto dopo Beyond Bliss, la prima edizione della Biennale di Bangkok (BAB), che si è conclusa lo scorso 3 febbraio?
La prima Biennale di Bangkok è stata una grande sfida. Per fortuna è stata recepita molto positivamente non solo dalle persone del luogo, ma anche dal pubblico globale. Non ci aspettavamo un successo così grande e così tanti spettatori, più di due milioni di persone hanno visitato la Biennale, e soprattutto la critica internazionale ci ha recensiti molto bene, abbiamo ricevuto feedback positivi da tutti i media internazionali. Il risultato è stato ben oltre le nostre aspettative, quindi siamo felicissimi e molto emozionati per la prossima!
Sarà il direttore artistico anche della seconda edizione della BAB intitolata Escape Routes. Ha già pensato ai possibili temi da affrontare nell’esposizione?
Abbiamo un team composto da rappresentanti del mondo dell’arte thailandese e anche da molte altre parti dell’Asia, e adesso stiamo ancora discutendo per isolare e identificare i singoli temi che verranno affrontati. Stiamo ancora cercando gli artisti. Per ora ne abbiamo selezionati sedici, ma la call per partecipare è ancora aperta fino al 25 dicembre, quindi stiamo lavorando. Ci stiamo chiarendo le idee e ci stiamo concentrando soprattutto per selezionare tutti gli artisti che parteciperanno.
Come intende affrontare la stretta correlazione che oggi esiste tra globalizzazione e curatela, soprattutto in relazione alla diffusione delle biennali che sta toccando tutto il mondo?
Le biennali che stanno proliferando in tutto il mondo sono più di trecento. Penso che per le persone che vogliono viaggiare, e vedere tutto ciò che il mondo dell’arte offre, forse siano troppe. Ma penso anche che il concetto di biennale sia veramente utile per certe città particolari, ed è comunque sempre responsabilità dei team curatoriali offrire una biennale utile a un luogo. Però non bisogna essere ripetitivi. Anche nella Biennale di Bangkok non vogliamo riproporre gli stessi artisti, perché altrimenti diventerebbe noioso per un pubblico che si aspetta scenari sempre diversi. Abbiamo bisogno costantemente di nuovi riferimenti e soprattutto di artisti freschi e giovani da mostrare al pubblico locale e globale. Possiamo avere anche 500 biennali, ma il punto è che il pubblico cambia sempre, per questo dobbiamo ogni volta considerare l’audience e anche chi viene da fuori per vederci, dal momento che vuole vivere qualcosa di nuovo ogni volta. Si tratta di esperienze e bisogna sempre cercare di offrire il meglio.
Il sistema dell’arte globale è caratterizzato da una grande presenza di attitudini europee. Qual è la sua esperienza con gli artisti asiatici? Pensa che ci siano particolari differenze nel lavorare con artisti asiatici e artisti europei?
Tutti gli artisti sono unici, hanno un temperamento molto caldo. Quindi puoi venire dall’Asia o dall’Europa, ma sei sempre un essere umano che parla di temi umani. Ogni artista ha un desiderio personale, una necessità personale e soprattutto vuole costruirsi un futuro personale, con ambizioni e voglia di raccontare storie diverse, quindi il curatore deve essere sensibile e adattarsi alla tipologia di artista che si trova di fronte. Bisognerebbe trattare tutti gli artisti come se fossero unici, i migliori! Io voglio che gli artisti che scelgo si sentano al meglio per poter proporre opere che li rappresentano al meglio. Forse è una buona idea, ma in questa area non è possibile fare troppi cambiamenti, ci sono dei limiti e dei budget da rispettare: questa è l’arte della curatela, il curatore deve essere abile a manovrare, gestire e inserire tutte queste diversità in un unico contesto, all’interno di un’unica mostra. La sfida è soddisfare tutti, non solo i visitatori ma anche gli artisti. Questa è la vera sfida del curatore, far quadrare tutto.
‒ Lucrezia Arrigoni
https://www.bkkartbiennale.com/
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