Il futuro della Sardegna, tra arte e scienza. Intervista a Peter Fend
Museo Nivola, Orani – fino al 26 gennaio 2020. Al Museo Nivola di Orani Peter l’artista americano Fend immagina una Sardegna libera da dighe e combustibili fossili. In questa intervista svela, insieme ai curatori, genesi e potenzialità del progetto.
Il Museo Nivola di Orani ospita la mostra Africa-Arctic Flyway dell’artista americano Peter Fend (Columbus, 1950), un progetto multidisciplinare che unisce arte, scienza e architettura per l’utilizzo sostenibile delle risorse idroelettriche dell’isola come alternativa alla metanizzazione.
Mentre tutti parlano dei pro e dei contro dello statuto di insularità, il progetto di Fend dimostra come la sostituzione delle dighe, obsolete e inquinanti, con un apparato di ruote idrauliche e l’uso dell’energia prodotta dalla combustione di alghe e sedimenti marini possano risolvere alcuni dei problemi che affliggono la regione, come le emergenze ambientali, il fabbisogno energetico e la disoccupazione. Nodo fondamentale di questo disegno è la salvaguardia delle specie migratorie che compongono la ricca biodiversità della Sardegna e che trovano proprio in quest’ultima un luogo di ristoro nelle lunghe rotte dall’Africa all’Artico e viceversa. Il loro destino, come suggerisce il titolo della mostra, è legato a doppio filo a quello dell’isola e dei suoi abitanti.
I curatori Elisa R. Linn, Lennart Wolff e l’artista discutono della mostra in questa intervista.
Come avete ideato questo progetto e in che modo può rappresentare una soluzione alla dipendenza dell’isola dai combustibili fossili?
Lennart Wolff: Per noi tutto è cominciato con l’invito di Antonella Camarda, direttrice del museo, a realizzare un progetto artistico. Una volta arrivati in Sardegna, è stato incredibile scoprire dell’eredità di Costantino Nivola e delle similitudini tra lui e Fend.
Peter Fend: Per l’ideazione del progetto invece è stato fondamentale apprendere dell’imminente processo di metanizzazione e del grande numero di dighe presenti in Sardegna. Parliamo infatti di una diga ogni 44mila abitanti. Sono davvero tante. Questo spiega in particolare l’inarrestabile processo di desertificazione cui stiamo assistendo. A causa delle dighe il normale ciclo delle acque è stato interrotto e la fauna sta scomparendo dai fiumi e dal mare.
Le soluzioni che suggerisco in questa mostra si basano quindi da un lato sulla protezione delle specie animali a rischio e dall’altro sulla sostituzione delle dighe e dei combustibili fossili.
Perché il metano non è da considerarsi una soluzione alle emergenze ambientali e quali sarebbero le conseguenze economiche della distruzione delle dighe?
Peter Fend: Diversi scienziati sostengono che in realtà il metano non faccia alcuna differenza nel problema del surriscaldamento globale. Non ci sono dati che lo confermano. Inoltre, credo che la sostituzione delle dighe con un sistema di ruote idrauliche si possa realizzare senza grandi costi, dal momento che richiede attività artigianali e non l’utilizzo di tecnologie high tech. Questa conversione potrebbe poi addirittura risolvere il problema della disoccupazione: l’attuazione del progetto e il suo mantenimento a lungo termine creerebbero numerosi posti di lavoro nelle campagne e presso fiumi e laghi.
Considerata la forte componente di attivismo, come definiresti la tua arte?
Peter Fend: Qualche tempo fa lessi gli scritti di Leon Battista Alberti e rimasi colpito da quelli che secondo lui dovevano essere i doveri di un architetto: preoccuparsi delle difese della città (e io le intendo oggi come difese dai disastri ambientali), della viabilità delle sue strade e della qualità delle acque e dell’aria. Da allora ne traggo grande fonte di ispirazione e anche per il progetto di Orani ho deciso di considerare il paese e l’intera isola come una città, da inquadrare in base allo stato di questi quattro aspetti. Penso quindi che ciò che faccio si possa definire architettura.
Come vi siete rapportati con il pubblico?
Elisa R. Linn: Creare un dialogo con il pubblico e tra diversi campi del sapere è la base stessa dell’arte di Peter ma era anche la base delle pratiche di Constatino Nivola: entrambi ricercano una connessione aperta con la quotidianità e rifiutano i confini tra diverse discipline. Ci siamo lasciati ispirare da Nivola, quindi, per stabilire una connessione con gli abitanti di Orani, cosa che è avvenuta anche grazie a conversazioni casuali, nei bar ad esempio.
Quali sono gli ostacoli che spesso impediscono la realizzazione concreta di progetti artistici pensati per il bene comune?
Peter Fend: Credo che uno dei problemi fondamentali sia la mancanza di un approccio multidisciplinare da parte di colleghi artisti, scienziati e politici. I miei progetti, ad esempio, sono stati spesso visti come invasioni di campo. Mi è stato detto che non sono uno scienziato, che non ho i titoli per avvalorare queste teorie. In realtà sono già state convalidate dalla scienza. Io mi limito solamente a considerare le soluzioni che già esistono e renderle visibili agli occhi della gente. I veri cambiamenti di rotta finora non sono stati possibili perché non c’è un reale dialogo tra le diverse figure che potrebbero e dovrebbero attuarli. Ma queste barriere si possono superare. Si può uscire da questa zona grigia in cui ognuno difende i propri titoli e i propri ruoli ma nessuno fa niente. Forse, il luogo da dove partire è proprio questo, è la Sardegna.
‒ Camilla Mattola
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