80 anni con Achille Bonito Oliva
Il 4 novembre Achille Bonito Oliva ha compiuto ottant’anni. Aspettando la grande mostra che il Castello di Rivoli dedicherà alla sua critica nell’anno appena iniziato, lo raccontiamo attraverso lo sguardo di critici e curatori.
ANDREA CORTELLESSA ‒ CRITICO E SAGGISTA ‒ DOCENTE DI LETTERATURA ITALIANA CONTEMPORANEA – UNIVERSITÀ ROMA TRE
Se il moderno è stato annunciato da Mallarmé, per il quale “il mondo è fatto per entrare in un libro”, il tempo successivo ha visto i libri – queste protesi della nostra mente – squadernarsi in ogni dove. Rispetto alla prestigiosa “equivalenza verbale” delle immagini in parole, che il moderno porta al suo apice con Roberto Longhi, la “scrittura espositiva” che si afferma alla fine degli Anni Sessanta – con figure-chiave come Szeemann e Bonito Oliva – è una rivoluzione copernicana. Ma è stato A.B.O. ad associarla all’altra, che sovverte i riti della fruizione trascinandola in “luoghi non giurisdizionali”, per dirla col poeta, quali il parcheggio di Villa Borghese per Contemporanea nel 1973.
Nell’ultimo decennio mi è capitato di collaborare con lui quando, per paradosso, ha voluto riprecipitare il sapere del suo tempo nell’utopia neo-enciclopedica dei Portatori del tempo. Non posso che rimpiangere il ritardo col quale l’ho incontrato; ma la circostanza mi insegna che, se ogni esplosione conosce il suo contrario, questo può sempre preludere a un nuovo movimento verso l’ignoto. Chi vivrà vedrà.
PIETRO MARINO ‒ GIORNALISTA
Conosco e frequento A.B.O. da mezzo secolo almeno. Per questo, paradossalmente, mi è più difficile dipanare la rete immensa con cui si è fatto protagonista di inesauste indagini sul pathos dell’arte, con lucida ed erotica ironia. Ha saputo vedere prima di tutti, dagli Anni Settanta, gli smottamenti che il tempo storico induce nel “territorio magico” dell’arte. E la “vitalità del negativo” come prima risposta feconda alla crisi delle avanguardie. Con l’invenzione della Transavanguardia ha rilanciato la strategia dell’arte come arma di mira obliqua su un mondo in deriva dei continenti.
Dalla Biennale veneziana del 1993 a oggi ci propone “l’aperto” come metodo di contaminazioni linguistiche e transazioni multiculturali, ma anche di vivere nella società di oggi. Continua a segnalarci quanta agilità occorre nello scalare l’albero della cuccagna postmoderna. È un gioco serio come quello di Pino Pascali che indagammo insieme, anche litigando. E i suoi superstiti nemici, un aborismo li seppellirà.
MASSIMILIANO GIONI ‒ CURATORE E DIRETTORE ARTISTICO – FONDAZIONE NICOLA TRUSSARDI, MILANO ‒ EDLIS NEESON ARTISTIC DIRECTOR ‒ NEW MUSEUM, NEW YORK
Come molti, ho visto Achille Bonito Oliva nudo prima ancora di aver letto i suoi testi. Da adolescente (inquieto?) ero un vorace lettore di Frigidaire, ed è lì che ho conosciuto Bonito Oliva nel suo costume adamitico, seduto su una lavatrice se non sbaglio. Anche se avevo già letto alcuni dei suoi testi su Flash Art, l’incontro più importante con il suo lavoro l’ho avuto intorno ai sedici anni quando, per una serie di felici coincidenze, come le chiamava Alighiero Boetti, ho ricevuto in regalo i libri della collana A Mano Calda che Bonito Oliva dirigeva per la Galleria Mazzoli. Erano libri preziosi su carte raffinate: i miei preferiti erano quello di Nicola De Maria su carta Fabriano, quello di Francesco Clemente rilegato con un piccolo elastico ed EN DE RE di Mimmo Paladino.
Dei testi di Bonito Oliva capivo poco e niente ma avevano l’effetto di certa poesia o di certe canzoni in lingua straniera: conferivano l’impressione di contenere messaggi arcani e segreti importantissimi che si sarebbero svelati agli adepti… Grazie a Bonito Oliva ho scoperto che volevo ricevere quei messaggi criptati e che avrei dovuto leggere e imparare quanto più potessi per condividere quel linguaggio segreto (negli anni avrei anche capito, forse dopo aver letto L’ideologia del traditore, che forse non c’erano segreti da condividere, perché, come amava ripetere Bonito Oliva sulla scorta di Duchamp, “Non ci sono soluzioni perché non ci sono problemi”). Tutto questo per dire: buon compleanno e grazie, perché a Bonito Oliva devo una specie di iniziazione ai linguaggi misteriosi dell’arte.
CECILIA CASORATI ‒ CURATRICE
Nel 1991 in Germania esce, per le edizioni Insel Verlag, Die Kunst der Ausstellung, un libro che raccoglie la documentazione delle trenta mostre esemplari del XX secolo; la 29esima è Contemporanea, la mostra curata da Achille Bonito Oliva nel 1973 a Roma. Contemporanea è uno spartiacque che segna (e insegna) un modo nuovo non tanto di fare, quanto di pensare le mostre. Nel libro, Bonito Oliva, raccontando la genesi e le ragioni di Contemporanea, dice: “La mostra non è altro che la presentazione del punto di vista del suo organizzatore scientifico, la messa in scena di uno spettacolo concettuale, nel quale le opere singole servono ormai solo da pegni visivi alla conferma di un’argomentazione precisa”.
Credo che non servano altre parole per definire il contributo di Achille Bonito Oliva alla storia e all’attualità della critica d’arte, forse tre aggettivi: Assoluto, Bravo, Orizzontale.
LAURA CHERUBINI ‒ STORICA DELL’ARTE
Quando A.B.O. ha fatto irruzione sulla scena dell’arte, ha avuto certamente un ruolo molto innovativo e diverso da generazioni di storici dell’arte. Non veniva da studi di storia dell’arte, nasceva come poeta visivo. Il contributo che ha dato lo ha definito lui stesso come “autonomia e creatività della critica”. La sua specificità è stata quella del protagonismo, della critica e suo, beninteso. Ricordo un fatto che secondo me spiega meglio di ogni altra cosa A.B.O., il suo lavoro e il suo comportamento (d’altra parte da lui teorizzato come tendenza artistica): in una vecchia intervista, alla domanda “Cosa voleva fare da grande?”, A.B.O. aveva risposto: “Il bambino!”. Potremmo dire che in qualche modo c’è riuscito. È una chiave di lettura: il senso di onnipotenza del bambino, la libertà di cambiare rotta, l’aspetto ludico che ha permeato tutta la sua opera. La cosa che personalmente amo di più del suo lavoro è la scrittura. Ora c’è una generazione differente e per me di grande qualità: Bellini, De Bellis, Lo Pinto, Menegoi, Viliani, Viola, Rabottini coniugano ricerca e studio con curatela sempre accanto agli artisti. Non hanno bisogno di padri, così come A.B.O. non ha bisogno di figli (qualche tentativo di imitazione nella mia generazione riuscì abbastanza ridicolo). Dice sempre di non aver niente da insegnare a nessuno… Buon compleanno Achille!
LORENZO BENEDETTI ‒ CURATORE
Alla fine del XX secolo la figura del critico d’arte è entrata in crisi lasciando spazio a quella del curatore. Nelle eccezioni domina la figura di Achille Bonito Oliva che, attraverso la sua capacità di dialogare con gli artisti, le opere e i più svariati contesti espositivi, ha saputo mutare la figura del critico in una personalità che non conosce confini.
Sempre legato a un immaginario artistico dove ogni elemento ha una sua importanza e l’originalità non ha confini, Bonito Oliva riesce a mantenere quel codice artistico all’interno di un’attività che spesso tende a limitarsi all’interno di moduli standard. Attraverso il guizzo duchampiano, l’immensa fantasia di Raymond Roussel e il genio di Totò, Bonito Oliva amplia le frontiere dell’arte.
GIACINTO DI PIETRANTONIO ‒ CRITICO E CURATORE ‒ DOCENTE DI STORIA DELL’ARTE – ACCADEMIA DI BRERA, MILANO
Achille Bonito Oliva è un critico e curatore attuale, in quanto ha dato contributi fondamentali su diversi piani, sdoganando la possibilità di mostrare opere in luoghi inediti, o in spazi non proprio sistematici. Poi ha anche il merito di aver fatto mostre tematiche, legate a un’idea e non solo a una tendenza, come Vitalità del Negativo, recuperando all’arte la linea del pensiero nicciano. Oppure inventando, insieme a Szeemann, la sezione Aperto alla Biennale di Venezia nel 1980, da cui discendono le mostre alle Corderie della Biennale. Va quindi detto che ha teorizzato pensieri inediti e non scontati come Territorio Magico (1973), in un tempo in cui la razionalità era ancora trionfante, rafforzando la figura del critico teorico e non solo militante o militare, come lo chiama lui; un libro che non a caso un giovane e attento critico, rispetto ad Achille, come Stefano Chiodi, ha rieditato e chiosato. Da sottolineare anche che la sua ironia, con cui condiva e condisce le sue azioni e operazioni, non è campata in aria, ma affonda teoricamente nella storia, come dimostra il suo libro L’ideologia del traditore, geniale saggio sul Manierismo e sua attualizzazione pubblicato in anticipo sui tempi, nel 1976, tradotto e ancor oggi insuperato. Questo ha fatto, non a caso, da basamento teorico alla Transavanguardia da lui teorizzata, uno dei movimenti più interessanti a partire dalla fine degli Anni Settanta.
In tutta onestà, chi si occupa d’arte non può prescindere da tutto quanto prodotto da Achille. Purtroppo accade: ciò è dovuto non alla qualità del prodotto A.B.O., ma al suo carattere di Narciso guitto “totoista”, che ha fatto sì che dopo gli Anni Ottanta non venisse preso sul serio dalle nuove generazioni. Ma il tempo, essendo galantuomo, tornerà a dare ragione ad Achille, che ha liberato la critica e la curatela a 360 gradi, come dimostra tutto il suo lavoro, sintetizzato nella sua Biennale del 1993, anticipando anche in quell’occasione la multidisciplinarietà attuale.
STEFANO CHIODI ‒ CRITICO E STORICO DELL’ARTE
La forza, in un certo senso il segreto della traiettoria di Achille Bonito Oliva, dagli esordi alla fine degli Anni Sessanta del secolo passato e sino a oggi, è un’intuizione essenziale per comprendere la condizione sia dell’arte che della critica nell’epoca tardomoderna. Una duplice intuizione, anzi: quella dell’arte come “sistema”, come struttura storicamente determinata che può accogliere ormai ogni idioma, ogni medium, secondo un paradigma tollerante che si contrappone alla visione evolutiva, al “darwinismo”, come lo chiama A.B.O., dell’arte modernista. Quindi quella della critica come attività coinvolta sin dall’origine nella creazione artistica, suo doppio dialettico, non più momento esterno di giudizio e classificazione. Con la consapevolezza che l’azione del critico si esplica nel presente non più solo nei testi ma anche nella “scrittura espositiva”, nelle mostre, nella polemica, in una relazione non subalterna né al gusto dominante né al mercato.
Sono in definitiva proprio questa coscienza della propria natura contraddittoria, e la lucida disposizione al “tradimento” di ogni sistema irrigidito, che hanno consentito e consentono ad A.B.O. di praticare la critica d’arte come arte della critica.
ANTONELLO TOLVE ‒ CURATORE E CRITICO
Accanto a una nuova e irraggiungibile modalità critica di stampo creativo (e no, non ci sono più figure come A.B.O. nell’attuale sistema dell’arte) che nasce dalle ceneri del modello analitico, statistico, impersonale e neutrale, Achille ha organizzato saggi visivi esemplari e ancora oggi centrali per chi voglia provare a disegnare esposizioni. Il palinsesto di Contemporanea, ad esempio, ideato nel 1973 per gli Incontri Internazionali d’Arte, di cui cura personalmente negli spazi del parcheggio di Villa Borghese la sezione Contemporanea Arte 1973-1955, oltre a tracciare tre parabole artistiche decisive del momento – quella analitica, quella sintetica e quella processuale – e a lasciare un’Area Aperta a temi critici o a lavori di artisti nell’ambito di alcuni cicli d’informazione, evidenzia anche per la prima volta nella storia una nuova metodologia che mette lo sgambetto al diacronico per lasciare il posto al sincronico, per creare intrecci temporali, dialoghi linguistici, interferenze positive, importanti e necessari confronti artistici.
“Effettivamente ‘Contemporanea’ è frutto di questo sforzo, di questo atteggiamento ritenuto allora snobistico. Tuttavia la retrocessione è ancora oggi necessaria”, mi diceva in un lungo dialogo tenuto nel 2012 (è sempre un piacere dialogare con Achille, che reputo un maestro prezioso e generoso).
‒ Santa Nastro
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #52
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