Il collezionismo contemporaneo si mette in mostra. A Piacenza
Inaugura in grande stile XNL, il nuovo polo espositivo di Piacenza. Ad aprire la danze è la mostra curata da Alberto Fiz e dedicata al collezionismo italiano moderno e contemporaneo.
La rivoluzione siamo noi è una mostra dedicata al collezionismo di arte moderna e contemporanea in Italia ospitata nel nuovo centro espositivo XNL a Piacenza, collegato con la Galleria Ricci Oddi, balzata alla ribalta della cronaca per il recente ritrovamento del Ritratto di Signora di Gustav Klimt, rubato 22 anni fa. Curata da Alberto Fiz, la rassegna riunisce 150 opere provenienti da 18 collezioni private, in una panoramica che va da Giorgio de Chirico a Tomás Saraceno, scelte secondo criteri di cui abbiamo discusso con il curatore.
Com’è nata l’idea di una mostra sul collezionismo italiano?
Il punto di partenza è stato Giuseppe Ricci Oddi, grande collezionista del primo Novecento. La sua collezione è il fulcro della galleria Ricci Oddi, collegata con un passaggio a XNL: quindi è parso naturale inaugurarlo con un’indagine sul collezionismo in Italia.
Quando hai cominciato a lavorarci?
Un anno fa. È stato un lavoro lungo e faticoso.
Come hai selezionato i collezionisti?
Per tipologia di collezione. Alcuni erano più orientati verso il contemporaneo, mentre altri più focalizzati sul moderno, come Paolo Consolandi. Volevo una scelta di opere che fossero proiettate verso il nuovo ma con una base storica significativa: per esempio Laura Mattioli ci ha prestato un Morandi ma anche un Laib e un Favelli, mentre Giuliano Gori ha dato due opere di Sol LeWitt ma anche un Fogliati.
Come sono state scelte le opere?
Le ho scelte io, e le ho proposte ai collezionisti. Le mie scelte sono state condivise con loro, discusse e quasi sempre accettate, all’interno di un progetto di mostra molto preciso, che ha permesso di tracciare una panoramica del collezionismo non confusa, divisa in sezioni che suggeriscono ai visitatori relazioni tra moderno e contemporaneo.
Hai avuto qualche rifiuto?
Qualche collezionista non ha voluto partecipare perché non si sentiva rappresentato da questo progetto. Una delle prime ad aderire è stata Gemma Testa, presidente di Acacia, che è stata la prima a vedere lo spazio, poi hanno partecipato collezionisti che non prestano frequentemente, come Laura Mattioli.
Quante opere hai chiesto a ogni collezionista?
Un numero variabile, a seconda della tipologia di collezione.
Come hai selezionato le opere che hai collocato nella galleria Ricci Oddi?
Nelle sale della galleria volevo una sorta di pausa, per cui ho scelto opere monocrome, come un Achrome di Manzoni, insieme a tre grandi installazioni, che hanno rotto l’ordine espositivo della galleria in maniera dirompente.
Chi ha realizzato l’allestimento?
Il progetto di Michele De Lucchi è stato condiviso con Massimo Ferrari, presidente della Ricci Oddi, ma è stato poi modificato per rispettare le diverse tipologie di opere.
Qual è l’opera alla quale sei più affezionato?
Tenevo molto al lavoro di Saraceno, mentre l’opera di Mike Nelson alla Ricci Oddi è stata allestita dall’artista. Un’altra opera che mi ha fatto molto piacere avere è l’installazione di Giuseppe Penone, che l’artista ha realizzato per l’occasione.
Quale sarà a tuo avviso la reazione del pubblico?
Penso che ci sarà un’adesione a questo progetto, che si propone in una città che non ha dimestichezza con il contemporaneo. Credo che le opere sappiano raccontarsi senza troppe difficoltà: si tratta di un contemporaneo caldo, non freddo e iperconcettuale.
La regia della mostra è tua?
Mi sono assunto la responsabilità di effettuare una sorta di hackeraggio nelle collezioni, dei prelievi di opere che potessero dialogare tra loro per costruire una “collezione di collezioni”.
‒ Ludovico Pratesi
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