#ARTISTSINQUARANTINE, il nuovo progetto su Instagram ai tempi del Coronavirus
Gallerie e musei chiusi? Il progetto via Instagram di Giada Pellicari tiene accesi i riflettori sull’arte contemporanea.
In questo periodo di limitazioni e restrizioni socioculturali, una giovane curatrice italiana ha avuto l’intuizione di utilizzare i social per riattivare una macchina che sta rischiando di arrugginirsi. E così, a ridosso dell’emanazione del Decreto DPCM ‒ pubblicato in data 8 marzo, dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri ‒, dodici artisti italiani sono stati invitati a uscire, almeno virtualmente, dalle rispettive zone rosse per far capire che l’arte non si può fermare così facilmente. La parola va a Giada Pellicari, curatrice di #ARTISTSINQUARANTINE.
Un progetto come #ARTISTSINQUARANTINE contribuisce sicuramente a dare una voce importante al settore artistico culturale che, in quest’ultimo periodo, sta affrontando non poche difficoltà. Il tutto sembra inoltre molto interessante sia perché rimanda ‒ almeno idealmente ‒ a storiche operazioni di un certo spessore socioculturale (un esempio su tutti può essere Terrae Motus, la celebre mostra promossa da Lucio Amelio subito dopo il disastroso terremoto del 1980) sia per la sua capacità di coltivare la puntuale tendenza delle esposizioni via social. Ci racconti il tipo di urgenza che ti ha spinto a concepire un progetto simile?
Credo che “urgenza” sia la parola corretta. Le ultime settimane sono state cadenzate da un susseguirsi di avvenimenti che hanno portato a percepire un clima sempre più pesante e negativo. Notavo che questa tensione si stava già fortemente ripercuotendo sul mondo dell’arte e su tutte le professioni che gli ruotano attorno.
Il 7 marzo, un sabato sera, ho letto il decreto non definitivo uscito su tutti i giornali che poi è stato firmato con delle piccole modifiche la mattina dell’8. In quel frangente di cinque minuti ho provato un forte senso di ansia e di sconforto, vedendo me stessa relegata e obbligata a stare nella zona rossa per un mese quando, invece, sono una persona che ama spostarsi e che lo fa abitualmente. Avevo immaginato che questo avrebbe posticipato o cancellato diversi progetti. E così è stato. Non solo per me.
E poi cos’è successo?
Era da un po’ di giorni che condividevo questo sentore di tesa incertezza con un po’ di amiche e amici artisti che, successivamente, sono divenuti il primo nucleo forte del gruppo “espositivo”. Quell’importante input di ansia mi ha spinta a reagire e ho pensato che avrei dovuto fare qualcosa. Creare un progetto in risposta all’urgenza del momento.
A quel punto, l’unico modo che avrei avuto per comunicare con il mondo dell’arte sarebbe stato prevalentemente telematico. Quindi anche con i social network. Ho pensato che molte persone sarebbero state collegate nei giorni successivi e avrebbero potuto seguire la mostra online. Sono innumerevoli le esposizioni che sono state cancellate. Questa, invece, può vivere. Non viene posticipata ed è contingente al momento storico. Anzi, ne parla.
#ARTISTSINQUARANTINE è una mostra su Instagram nata nella notte di sabato, con una e-mail confidenziale mandata alle 22.30 ad alcune persone e con un messaggino su whatsapp.
Quali responsabilità hanno, secondo te, curatori e operatori culturali in un momento così delicato?
Credo che sarebbe importante emergere come movimento culturale forte e unito. Usare questo momento di forzata attesa per ipotizzare nuovi progetti comuni, per dare risalto al mondo dell’arte italiano anche a livello nazionale, non solo all’estero.
Oltre alle responsabilità di questi ruoli, proverei a portare sul tavolo anche i loro diritti, come anche quelli degli artisti e delle figure che ruotano attorno al mondo dell’arte. Si tratta, alla fine, di piccola imprenditoria.
Leggendo i nomi degli artisti selezionati, quello che salta subito all’occhio è un profondo senso di eterogeneità. Mi riferisco non solo alle differenti pratiche portate avanti singolarmente, ma anche a un discorso prettamente generazionale. In base a quali criteri hai fatto tale cernita?
Inizialmente la scelta è ricaduta su un gruppo di artisti a me molto vicini. Ce ne sono alcuni di loro che hanno appoggiato #ARTISTSINQUARANTINE a occhi chiusi, sulla fiducia e sulla stima. In quel momento avevo bisogno di persone che salissero a bordo e mi aiutassero a navigare. Si tratta, alla fine, di un progetto messo in piedi in due giorni.
Corinne Mazzoli, Lucia Veronesi, Andrea Grotto e Sophie Westerlind sono stati fondamentali in questo, hanno ascoltato le mie idee, mi hanno aiutata a riflettere e hanno supportato il tutto. Corinne Mazzoli, inoltre, ha realizzato la parte grafica. È un’immagine talmente allarmante e kitsch che rientra pienamente nella sua pratica artistica, lo reputo un effettivo lavoro. Il giorno dopo ho parlati con gli altri. Tutti gli invitati appartenevano alle prime zone rosse dell’8 marzo. Mai avrei immaginato che la sera prima di uscire con il comunicato e andare online ci fosse l’estensione delle misure restrittive a tutta l’Italia.
Dunque qual era il tuo intento iniziale?
Volevo tracciare una panoramica da quelle prime aree come se gli artisti fossero dei corrispondenti: Alvise Bittente, Andrea Grotto, Corinne Mazzoli, Maria Morganti, Lucia Veronesi, Sophie Westerlind per Venezia; Antonio Guiotto per Padova; Andrea Chiesi per Modena; Marco Gobbi per Brescia; Mara Oscar Cassiani per Pesaro e Urbino; Vera Portatadino per Milano. Kamilia Kard, di Milano, si trovava in una situazione di messa in quarantena a Parigi quando ci siamo sentite al telefono, perché rientrata in Francia dopo essere stata a Milano. Hai ragione quando parli di eterogeneità. Credo fortemente nell’arte e non nella differenza tra gli stili o i segmenti. Credo nella qualità del lavoro di tutti loro e penso che possano dare equamente un grande contributo al progetto. Sono comunque artisti con cui ero già in contatto o che seguivo. E questa situazione di urgenza va a creare, a mio avviso, un forte legame sia a livello artistico sia tra le diverse generazioni.
Vivendo e lavorando a Venezia da anni, è stato sicuramente importante condividere momenti e riflessioni con diversi artisti che, come te, si muovono nella laguna. Come ti sembra che la scena artistica locale stia reagendo a questa nuova emergenza? Come si sta presentando Venezia, e che effetto ti fa abitarla in questo preciso momento storico?
La mia vita si è sempre alternata tra Venezia e Padova. Sono entrambe due città a cui devo molto e in cui sono cresciuta, creando anche relazioni importanti. A Venezia, che si è mossa da sempre con l’arte e la cultura, la situazione è drammatica. Molte persone stanno perdendo il lavoro. La macchina economico-culturale si è spenta. Tuttavia credo che questo momento possa dare la possibilità di creare una nuova e alternativa Venezia, più auto-sostenibile, maggiormente vivibile per i cittadini. Per certi versi, potrebbe anche bloccare la speculazione che negli ultimi anni è avvenuta ed è aumentata esponenzialmente. Credo che la scena locale stia provando ancora di più lo stesso senso di incertezza che prova tutta Italia. La reazione sarà lenta ma, credo, sostenuta e motivata.
Un piccolo riscontro è stato l’entusiasmo avvertito verso questo progetto e la forte volontà di mettersi in gioco, sei dei dodici artisti invitati, infatti, vivono a Venezia e molti altri vi sono legati in qualche modo.
Il parallelismo che delinei tra i vincoli concreti di una condizione IRL (*In real life) e una prettamente online è estremamente attuale, ma come mai hai deciso di affidarti a un social come Instagram piuttosto che a un apposito sito internet o a piattaforme altre?
Secondo diversi studi, Instagram viene ritenuto il social network più seguito dal mondo dell’arte. In certe analisi di mercato viene ampiamente dimostrato che molti collezionisti o nuovi collezionisti si avvicinano alle opere semplicemente vedendo le foto condivise online.
Anche molti contatti che sto avendo con professionisti del mondo dell’arte avvengono tramite Instagram. In aggiunta, altri siti internet o piattaforme non avrebbero dato l’idea di viralità, la possibilità dei repost. Attualmente si parla anche dell’esistenza delle Viewing Room che, in sintesi, sono delle piattaforme nei siti di gallerie dove possono essere visibili e acquistabili dei lavori per un certo periodo di tempo. Io però cercavo un mezzo più fresco e veloce che denotasse, anche visivamente, la condizione di iperconnessione che viviamo nella contemporaneità e che, in questa fase, è divenuta, invece, una situazione quasi obbligata.
In passato ti sei interfacciata molto con lo spazio urbano, dedicandoti soprattutto alla Street Art. Come si configura la tua pratica curatoriale all’interno di un progetto di matrice espressamente digitale?
In realtà, nel mio libro dedicato all’argomento, più inerente al Writing che alla Street Art, avevo dedicato un intero capitolo relativo a un parallelismo tra Graffiti e New Media. All’epoca ero una ventiseienne coraggiosa a scrivere certe cose. Ma devo dire che diverse persone ancora ne parlano e me lo ricordano, anche se a me sembra un passato remoto. Credo però che la capacità dei writer di agire in maniera viscerale e virale nello spazio urbano e, di conseguenza, su tutte le sue ramificazioni come lo sono i treni, sia stato un reale caposaldo per lo sviluppo della creatività dei meme o di altri elementi digitali.
Ad esempio, Mapping e Graffiti a mio avviso sono fortemente correlati. Evan Roth, inoltre, è stato per me un punto di riferimento nello sviluppo di quel capitolo. La relazione tra viralità, arte urbana e mondo digitale è molto più forte di quello che si pensi. Spesso, dietro a importanti studi di creativi vi sono attuali o ex writer. Purtroppo sono fatti che non si conoscono. Inoltre, gli stessi writer e anche la Street Art si sono fortemente spostati nel mondo digitale dopo la nascita dei social network. Esiste anche un libro a riguardo che si chiama Viral Art. A ogni modo, non vorrei definire il mio progetto come digitale, come non vorrei definire gli artisti che ne fanno parte. Lo ritengo, però, contingente, e usa gli strumenti della nostra epoca.
Nel comunicato stampa si legge che “‘#ARTISTSINQUARANTINE’ è una sfida sociale e immateriale, culturale ed economica, che durerà i giorni della “quarantena”, fino al 3 aprile 2020”: riesci già a prevedere qualche eventuale evoluzione del progetto? Quali riscontri auspichi?
Sinceramente non ho fatto previsioni, anche se mi piacerebbe molto uscire successivamente con una piccola pubblicazione per raccogliere le opere “esposte” all’interno della pagina, anche perché in alcuni casi saranno lavori ex novo. Spero che il progetto abbia un grande riscontro e che divenga virale. Vorrei che aiutasse a porre l’attenzione su tutti i partecipanti e sulle opere che “esponiamo”, stimolando curiosità verso gli artisti e il loro lavoro. Non si sa mai che dopo la quarantena arrivino per noi nuove opportunità.
Come hai appena affermato anche tu, il tuo progetto parla esplicitamente sia di virus che di viralità della comunicazione digitale. Secondo un personaggio come Donna Haraway, l’elemento del virus coincide, in maniera quasi armonica, con il concetto stesso di vita. Da questa prospettiva si può immaginare che esso possa addirittura essere visto sotto un’accezione positiva. Qual è la tua opinione a riguardo?
Davanti ai nostri interessi teorici e culturali non dobbiamo comunque dimenticare che molte persone stanno morendo anche a causa di questo virus. La sua presenza sta radicalmente cambiando le nostre abitudini di vita, sta creando delle forti imposizioni e restrizioni. Ci sta bloccando, come se fossimo sospesi in un tempo non ben definito. Tuttavia, se non ci fosse stato, almeno per me, non sarei stata spinta a realizzare un nuovo progetto. Questa piccola risorsa non sarebbe mai nata.
Credo anche che quando tutto questo finirà apprezzeremo ancora di più la nostra libertà. Non ci sembrerà dovuta, ma riconquistata. Di positivo abbiamo che possiamo ricostruire.
Gli artisti, d’altro canto, è come se fossero quasi obbligati a creare in maniera forzata in questo periodo. Alcuni di loro, nel caso di #ARTISTSINQUARANTINE, temevano di subire delle mie imposizioni per produrre opere nuove, cosa che mai avrei fatto.
In questa fase stiamo tutti collaborando in un clima di grande fiducia e rispetto, ascoltando le ipotesi e le esigenze di ambo le parti. Telefonicamente siamo molto vicini e ci confrontiamo quotidianamente. Siamo tutti veramente stimolati. In realtà, direi che alla fine il loro lavoro stia emergendo fortemente in maniera naturale e, addirittura, evolvendosi. Trovo sia interessante il paragone che hai fatto, spero che #ARTISTSINQUARANTINE diventi virale, che travolga le persone e che dia anche un senso di “cura” e, sì, di nuova vita culturale. Vorrei che le persone percepissero il nostro canale come un appuntamento a cui connettersi, come una forma di compagnia comune tramite l’arte contemporanea.
Qualche suggerimento per sensibilizzare maggiormente pubblico e Paese stesso sulla questione culturale?
Credo che negli ultimi anni vi sia stata un’apertura verso il mondo artistico e culturale. Sono avvenute diverse iniziative con il fine di portare più pubblico a vedere mostre o visitare musei e di rendere la cultura più accessibile. Il Forum dell’Arte Contemporanea e l’Italian Council sono degli organismi fondamentali per lo sviluppo dell’arte italiana. Mi piacerebbe se venissero divulgati anche a un pubblico eterogeneo. Credo che tutti questi elementi andrebbero rafforzati. Si dovrebbe, ad esempio, partire già dalla prima educazione scolastica per far comprendere che l’essere artista e che le professioni culturali siano un lavoro.
Noi, di fatto, parliamo sempre di pratica artistica. Significa che è un metodo, un qualcosa che avviene in maniera costante.
‒ Valerio Veneruso
https://www.instagram.com/artistsinquarantine/
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