Disegnare la realtà: l’emergenza sanitaria nelle illustrazioni di Gianluca Costantini
Noto per i suoi fumetti e le sue illustrazioni a tema politico, Gianluca Costantini è considerato uno dei massimi riferimenti del “graphic journalism” internazionale. Lo abbiamo intervistato per farci raccontare la sua ultima serie di disegni: un viaggio visivo nell'emergenza Coronavirus.
Sono giorni cupi, scanditi dal silenzio delle quattro mura. Una condizione, quella dell’isolamento, controbilanciata però dalla solita, mai pacata, esposizione mediatica: basta accendere un pc, collegarsi con il mondo, per venire assaliti da uno tsunami di informazioni sull’emergenza sanitaria che stiamo attraversando.
In questo clima così teso, e a cui probabilmente nessuno di noi era abbastanza preparato, qual è il compito del giornalismo visivo? E come fare in modo che le immagini che arrivano dall’esterno ci parlino in maniera inedita, facendoci sentire partecipi e non solo spettatori? Lo abbiamo chiesto a Gianluca Costantini (Ravenna, 1971), noto in tutto il mondo per le sue illustrazioni dal taglio politico e sociale.
Con The Voyage of Italy l’artista ha deciso di scendere in campo e raccontare l’epidemia: una scansione di disegni in bianco e nero, semplici e immediati, che sintetizzano gli eventi cruciali di queste ultime settimane.
Potremmo quasi dire che la realtà è un tuo “pallino”. Se c’è un evento politico e sociale da raccontare, tu sei lì…
L’arte è sempre un racconto della realtà. Anche disegnare una natura morta è un atto politico per me. Per oltre dieci anni ho raccontato dal mio studio i miei pensieri interiori, quasi mistici, poi all’improvviso – circa nel 2004 – sono uscito dallo studio, almeno con la mente, e sono sceso in piazza. Avevo il desiderio, inconscio, che il mio “fare” entrasse nella realtà e ora è proprio così. Il mio disegnare è diventato, attraverso Twitter, uno strumento per chi deve lottare, oppure un racconto disegnato della realtà che è stato catalogato poi come “graphic journalism”. Ma io mi ritengo un attivista artista.
Dopo le vignette anti-Erdogan, i disegni in omaggio a Giulio Regeni e quelli dedicati alle recenti rivolte sociali in Cile (solo per citarne alcuni), eccoti oggi di fronte all’emergenza sanitaria che stiamo attraversando. Da dove e perché nasce The Voyage of Italy?
Per almeno dieci giorni ero totalmente pietrificato da questa situazione, mi sembrava che tutto quello che veniva pubblicato creativamente su questo tema fosse in qualche modo ruffiano, che servisse solamente per farsi vedere, mettersi in mostra. Alla fine è scattata la necessità di far sapere soprattutto fuori dall’Italia cosa stesse succedendo qui, e cosa poi sarebbe arrivato anche lì.
Io considero il mio profilo Twitter la mia miglior opera, grazie alla quale sono in contatto veramente con moltissime persone in ogni angolo del globo. Sono molto seguito e godo di molta credibilità tra attivisti e giornalisti.
Le immagini sono frammenti visivi della situazione: medici alle prese con i pazienti, militari per le strade, la triste immagine dei camion dell’esercito con le bare dei morti di Bergamo.
I disegni sono semplici trasposizioni di foto spesso amatoriali di quello che succede, più che altro di operatori e luoghi, piuttosto che di vittime. Mi interessano principalmente le persone che stanno vivendo in prima linea questa situazione: medici, militari, lavoratori; sono queste le persone che mi piace rappresentare, perché sono loro che fanno questa storia. Naturalmente se disegno un militare che ferma le auto nei vari confini non lo disegno solo per sottolineare l’importanza di quello che fa, ma anche per puntare il dito sulla presenza dei militari nelle nostre strade, sulla perdita di libertà.
È chiaro l’intento documentaristico del progetto, e la resa delle singole tavole è sicuramente notevole. Ma cerco di andare più a fondo e ti chiedo: cosa aggiunge di più un disegno rispetto a quanto raccontato da una fotografia? Qual è il valore aggiunto di una illustrazione di questo tipo, in relazione al giornalismo convenzionale?
Questi disegni, anche se molto realistici, dichiarano prima di tutto una freddezza esecutiva: sono una linea sempre uguale senza neri pieni, vengono eliminati molti dettagli della foto originale. Con il disegno puoi veicolare lo sguardo di chi guarda e fargli vedere quello che tu ritieni importante. Oltretutto la sequenza aggiunge una narrazione degli eventi, ogni disegno aggiunge qualche tassello alla storia.
C’è molta differenza tra una foto e una sua rappresentazione. Certo, anche il fotografo ci può indicare una via per lo sguardo, ma il disegno complica le cose: è una dichiarazione soggettiva dell’artista. Anche solo il modo in cui viene tracciato il segno cambia la ricezione.
Chiaro! Ma non hai paura che la trasposizione grafica, e dunque la conseguente “estetizzazione” del problema, possano – per assurdo – distrarre dalla gravità oggettiva della situazione?
No, anzi la sua estetizzazione è proprio il fattore più importante: è proprio questa la diversità tra un reportage giornalistico classico con testo e foto, e il nuovo giornalismo con testo e disegno. Il graphic journalism fa parte del linguaggio del fumetto, della sua grammatica, ed è pura sperimentazione di questo linguaggio. Tutto è ancora in evoluzione, niente è definitivo per ora. Abbiamo pochi esempi di vero graphic journalism, se togliamo tutto quello che ci è stato propinato con questo termine e che invece sono semplici viaggi che gli autori hanno fatto. Il graphic journalism deve unire appieno le caratteristiche sia del fumetto che del giornalismo.
Come stai vivendo queste giornate in studio? Per uno come te, attivo (e attivista), sempre pronto a gettarsi sulla scena, cosa può rappresentare questo momento di “reclusione” e disciplina, anche creativa?
Avevo fatto di tutto per uscire dallo studio, oltretutto insegno all’Accademia di Bologna e mi manca anche l’ambiente accademico, mi manca incontrare le persone alle presentazioni, mi manca un confronto diretto che non si può avere sui social.
Per quanto riguarda il mio lavoro, però, è cambiato poco: il disegnatore è sempre una persona abituata alla solitudine – anche se quando questa solitudine è forzata è più dolorosa. Quando viene tolta la libertà tutto diventa più brutto. La libertà è un privilegio e un dovere.
‒ Alex Urso
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